“Nel 1987 la sitcom Horsin’ Around andò in onda sulla rete ABC, lo show in cui un giovane puledro scapolo rivede le proprie priorità accettando di crescere tre ragazzini. Inizialmente fu liquidato dalla critica come eccessivo, stucchevole e inutile ma la commedia trovò il favore degli americani e lo show andò avanti per nove stagioni. La star di Horsin’Around BoJack Horseman stasera è nostro ospite. Benvenuto BoJack.”
– BoJack Horseman 1×01 –
BoJack Horseman si siede alla scrivania di uno studio televisivo, di quelli che utilizzando una bassa illuminazione cercano di ottenere quell’aura di spessore che contenutisticamente non riescono a raggiungere. Siamo importanti, intervistiamo al chiaro di luna. Qualcosa del genere. BoJack non c’entra molto con questo tipo di trasmissioni: qualcuno di più smaliziato direbbe che si tratta di una trappola, BoJack invece ne parlerebbe come l’ennesima intervista monografica sulla sua vita interessante e sulla sua carriera la cui luce non si è mai assopita.
La verità però, è un’altra cosa. BoJack ha ottenuto un successo clamoroso negli anni novanta grazie a uno show su gente amabile dove si vogliono tutti bene e dove qualunque cosa succeda alla fine di quella mezz’ora è tornato tutto a posto. Un comfort movie, un cuscinetto per i dolori moderni dell’esistenza dove, tra una sequela di risate registrate e una morale da portare a casa alla fine di ogni puntata, tutto finisce in un abbraccio e in una promessa di fare meglio la prossima volta.
Pronto a finire faccia al muro in un articolo dal titolo ‘Che fine hanno fatto gli attori di Horsin’ Around?’ BoJack Horseman tenta, con quell’ennesima ospitata di mettere una lettera maiuscola al suo nuovo inizio, accendendo così la speranza di una vita che lo riporti a quel successo che lo vide protagonista 18 anni prima.
”Che cosa hai fatto da quando è finito lo show diciotto anni or sono?”
” Bella domanda Charlie! Io…ehm…io…mmm”
BoJack Horseman 1×01
La vita di BoJack Horseman in questi anni è stata ciò che lui stesso definì poco prima solo un lungo calcio tirato nell’uretra, alternato però a infinte quantità di cibo ingurgitato compulsivamente, tanto, tantissimo alcol e un costante mix di psicofarmaci che nell’insieme rendono ancora più incredibile la vita del cavallo. Non tanto per il successo quanto più per come sia straordinariamente riuscito ad arrivare alla soglia della mezza età , innanzitutto vivo e senza particolari problemi di salute a cui farsi, o molto più probabilmente, fare carico agli altri. Sono passati 18 anni e non è successo letteralmente niente. Niente di noto a eccezione di quella festa in cui BoJack vomitò zucchero filato o ancora prima di quell’altra festa dove Todd, entrò in casa di BoJack come invitato e ne uscì – non uscendo davvero mai – come coinquilino-parassita a tempo indeterminato.
Diciotto lunghi anni trascorsi nell’ossessione del ricordo del più minuzioso dettaglio di ognuna del quasi centinaio di puntate di Horsin’ Around i cui dvd gelosamente conservati da BoJack e portati con sé in ogni dove sono ormai consumati dalla spasmodica usura. Ridere alle stesse battute trite e ritrite è la medicina di BoJack per scordarsi del trascorrere del tempo, e quello che non fa la spiccia comicità di una sitcom anni novanta lo fa la vodka. Il mal di testa è assicurato tanto quanto l’amnesia del vivere. Nascosto in piena vista, il disagio di BoJack è visibile fin dal primo capitolo della sua storia, celato da un atteggiamento supponente e da un’attitudine presuntuosa fino all’inimmaginabile. Apparentemente inconsapevole dei suoi insuccessi BoJack finge di avere tutto sotto controllo, come quell’autobiografia che spera che prima o poi si scriverà da sola o il telefono delle occasioni che non squilla più da molti anni. Per non pensarci, annebbia.
Qualcosa però sta cambiando, e il primo episodio della lunga e altalenante storia di BoJack Horseman ce lo imbocca suggerendocelo negli ultimi minuti della puntata. Diane Nguyen è stata assunta come ghostwriter dell’autobiografia di BoJack. Lui non la scriverà mai, e lei ha troppa urgenza di scrittura e voglia di emergere per farsi scappare un’occasione del genere. Timida e impacciata Diane comincia a scambiare le prime parole con la star fallita di Horsin’ Around cercando di scorgere, al fine di scrivere un incipit accattivante, qualcosa di più oltre l’autocompiacimento del sé e la misantropia di quest’ultimo. Qualcosa si muove. Annoiato da tutto, per un attimo BoJack sembra sottilmente interessarsi a quel dialogo improvvisato nel terrazzo di casa sua, in una festa che non voleva fare. Un’elettricità a pochissimi watt che inizia a insinuarsi rendendo improvvisamente la festa meno scadente.
Quello del primo capitolo della storia di BoJack Horseman non è un incipit poderoso, o meglio, lo è solo nella misura in cui si sa cosa aspettarsi, si parte preparati. Abituati come siamo sempre stati a serie animate estremamente irriverenti o comunque per lo più solo ed esclusivamente comedy, rimaniamo spiazzati da un cavallo antropomorfo che parla di depressione e odia incondizionatamente tutti. Eppure è proprio qui che BoJack Horseman ci ha fregati, ci ha preso in pieno con tutto il suo pesante bagaglio emotivo in cui riconosciamo molto di noi stessi. Nelle risate a metà tra lo scanzonato e il nevrotico e nello specchiarsi opacamente nelle vite degli altri, anche in quelle dei protagonisti antropomorfi di una serie animata per adulti.