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Il desiderio di non essere BoJack Horseman

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Vogliamo tutti giocare nella squadra dei pacifici, quelli che stanno bene con loro stessi e il braccio lo usano per darsi una pacca sulla spalla, e non per rimanere a galla onde evitare di annegare. Quella è la squadra vincente, e lo sappiamo bene. Giocano tutti con armi pari, vivono la magia della coerenza. Se falliscono si rialzano, se perdono ri-giocano. Se vincono non trovano un modo per auto-sabotare la propria vittoria. Fanno dei progetti che portano a termine. Non hanno paura di quello che arriverà dal futuro. Riescono a concentrarsi sui loro rapporti. Riescono ad amare in modo semplice. Se dicono A non pensano B. La loro è la squadra più forte. La nostra no. Facciamo parte di una squadra di cui non vorremmo far parte, che ci obbliga a vedere i residui di pioggia dove tutti vedono arcobaleni. Facciamo parte della squadra di BoJack Horseman. Collezioniamo taccuini in cui scriviamo non voglio essere come lui a caratteri cubitali. Ci impegniamo nel cercare di cambiare, ma se facciamo parte di ‘sta squadra è perché non siamo così bravi a farlo. Più che cambiare, ci promettiamo un cambiamento che posticipiamo, a cui non diamo mai un tempo di scadenza. Procrastiniamo il momento in cui la parte migliore di noi stessi uscirà, perché farla arrivare – come insegna il vecchio BoJack – significa prendersi le proprie responsabilità. Ma noi sto coraggio non ce l’abbiamo.

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Il desiderio di non essere BoJack Horseman si inserisce dentro di noi ogni volta che facciamo del male gratuitamente, ogni volta che feriamo e scappiamo. Perché non è vero che in questa squadra non sentiamo niente. Sentiamo, sentiamo tutto. E fare male ci fa più male che riceverlo. La coscienza, quella che tutti pensano sia qui inesistente, urla e si fa forte ogni volta che collezioniamo la nostra serie di picassi disastrosi. Fa di tutto per fermarci, ma noi non siamo bravi a capirci. D’altronde, il suo ruolo è perfettamente collegabile a quello di una moglie o un marito perfetto, ma che continuiamo a tradire. Perché se lei è nostra moglie, l’incoscienza è la nostra amante. Ci seduce, non si aspetta niente. Vive nell’attimo esatto in cui erriamo, e poi sparisce come nulla. La guardiamo affascinati, e non ci saziamo mai di lei. Continuiamo a tradire e cadere negli stessi schemi perché con lei non esiste mai moralità, non esistono reazioni giuste o reazioni sbagliate. Abbiamo il nostro sacrosanto diritto di essere pessimi. E come ci stiamo comodi qui. Tutto si sussegue con una certa incoerenza, con un certo distacco mentale che non ci fa rendere conto di cosa stiamo combinando, di quanto – in quel momento – stiamo rovinando.

La coscienza di BoJack Horseman ha sempre urlato, ma lui non l’ha mai ascoltata. Ha sempre tirato avanti, dritto per una strada in salita in cui feriva tutte le persone. Più faceva male, più la sua incoscienza lo stringeva forte. Più feriva, più la sua coscienza gli chiedeva una tregua. Ma lui, una tregua, non ha mai saputo darla.

L’unica cosa che ti rimane da fare quando scopri di essere uno stupido pezzo di m***a come lui è scavare dentro te stesso per scoprire quanto sia forte il desiderio di non esserlo. Ma la tragedia, per alcuni, è scoprire che neanche quel desiderio riuscirà a portare un po’ di quiete alla propria inquietudine.

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Non voglio essere BoJack Horseman. Non voglio essere BoJack Horseman. Non voglio essere BoJack Horseman.

Puoi ripetertelo quanto vuoi. Il solo fatto di volerlo ti aiuta a diagnosticare almeno le tue volontà, ma la cosa più triste è che queste non sempre hanno un potere concreto. Puoi non voler essere come BoJack Horseman, ma i fatti continuano a dimostrare che nelle tue vene scorra un sangue tanto, troppo simile a quello dell’amato e odiato cavallo antropomorfo. Lo vedi tutte le volte in cui non ti permetti una pausa, in quelle in cui procrastini le tue prese di coscienza. Lo vedi tutte le volte in cui scarabocchi il nome di tutte le cose che non hai il coraggio di fare, e di quelle che invece sono così terribili che fai comunque. Lo percepisci ogni volta che qualcuno ti si avvicina e tu, senza un apparente motivo, sia già che non potrai fare quel passo in più, che tutt’al più potrai starci insieme per poi abbandonarlo. Così lo inviti a correre veloce con te, per poi – di fronte a un bivio – capire che direzione voglia prendere, per proseguire da quella opposta.

Non voglio essere come BoJack Horseman, ma mi macchio continuamente dei suoi più grandi errori e vizi. Non voglio essere come BoJack Horseman ma continuo a cadere nelle sue stesse trappole. Non voglio essere come BoJack Horseman ma continuo a proseguire in una strada di soli burroni, lasciando stare totalmente quella asfaltata. Non voglio essere come BoJack Horseman ma continuo a ferire Todd, a illudere Princess Carolyn, a piagnucolare su Diane. Continuo a volere ciò che non posso avere, a perdere tutto quello che ottengo. A giocarmi la carta sbagliata, a scuotere la testa quando voglio dire sì. Ad annuire quando sarebbe meglio dire no.

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Non facciamo parte della squadra di quelli bravi. Facciamo parte di quella di BoJack Horseman. Qui le cose vanno così: ci piangiamo addosso senza comprendere che il potere di far cambio team stia tutto nelle nostre mani, ma noi non sappiamo usarlo. Così ci promettiamo un cambiamento, illudendoci e sperando. Fare queste due cose ci risolleva dalla fossa promettendoci un domani differente, uno di quelli in cui riusciremo a far coincidere le nostre volontà con le nostre azioni. Quel domani potrebbe essere la cosa più lontana da noi, così come la più vicina. Non lo sappiamo. Ma quando quel domani arriverà, la nostra coscienza non sarà più la moglie tradita e bistrattata. Sarà il nostro sentimento più totalizzante. Sarà la pace sperata e goduta. Sarà il ricordo del rumore, quando finalmente il rumore smette. Sarà la pace che BoJack Horseman non ha mai conosciuto.

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