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Diane Nguyen: cosa crediamo di essere e cosa realmente siamo

BoJack Horseman
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Autodeterminazione è una parola che Diane Nguyen ha scoperto di recente: tra il carico emotivo che prevede l’amicizia con BoJack Horseman e la costante pressione a cui è sottoposta, e molto più spesso si sottopone, Diane ha passato gran parte della sua vita a chiedersi chi realmente fosse.

A partire dalle serate passate a cercarsi nel riflesso della piscina di BoJack, ai molteplici viaggi dentro e fuori di sé alla ricerca di qualcosa o qualcuno in cui specchiarsi, Diane ha sperimentato varie versioni di sé, prima perseguendo l’ideale a cui si era immolata, poi seguendo solo la sua stessa scia.

Prima di tutto scrittrice: Diane, nell’incertezza dei suoi mille perchè ha sempre saputo che quello era l’unico obiettivo a cui avrebbe ambito con sicurezza.

Ghost writer e poi redattrice per Girl Croosh, tutto aveva solo un unico scopo, una sola direzione a cui ambire: scrivere un libro, e che sia per sempre.

Agognato quel momento fin da quando ne aveva memoria, Diane quel libro l’ha sempre voluto scrivere. Un grande saggio sui traumi, i suoi. Un’occasione per riprendersi indietro anni di negligenze genitoriali, mancanze emotive e fisiche, danni su danni che l’hanno resa, non senza poche difficoltà, la persona che è oggi. Lo voleva scrivere quel libro, lo voleva con tutta se stessa, ma qualcosa è cambiato.

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Quel libro non lo sapeva più scrivere.

Il profondo trattato sui danni ai quali per anni aveva relegato una qualsiasi forma di felicità, ora nella sua mente non riusciva a trovarvi più dimora.

Diane, incapace di portare a galla i suoi traumi, si perde in un fiume di parole a cui non sa dare un senso. Incomprensioni adolescenziali, crisi interiori e tutte le maledette volte in cui non si è sentita valorizzata: ora sono solo pagine sgualcite del suo passato, che non vedranno mai il futuro di rivalsa a cui avevano sempre ambito.

Spiattellare su carta stampata la verità davanti a tutti non sarà la risposta al dolore di Diane. Sbugiardare il padre e rinnegare la sua vita pre Los Angeles non saranno i lasciapassare della felicità.

Perché in fondo è proprio questo che ha sempre legato Diane Nguyen a BoJack Horseman: la feticizzazione del dolore.

Cullarsi tra le oscure braccia del passato, è sempre stato per entrambi un porto sicuro per non affrontare il presente. ‘Io sono così’, ‘Io sono fatto così perché ho vissuto queste cose’: niente di più maledettamente vero, ma chi lo dice che debba essere così per sempre?

Per quanto tempo ancora i danni potranno aver presa su di noi facendoci affondare in un baratro inconcludente di autocommiserazione?

Certo, BoJack Horseman è il marcio frutto della sua esistenza, ma cosa ha fatto per cambiare e non perseguire più quegli stessi schemi che l’hanno reso schiavo della sua infelicità?

Diane no, seppur affine a BoJack Horseman, non è mai stata come lui, come spesso ha voluto sottolineare lei stessa ogni qual volta BoJack cercava di renderla complice delle sue debolezze: ‘Noi siamo uguali’ – ‘No.’

Tossico per se stesso e per gli altri, il cavallo, pur con il costante timore che Diane potesse voltargli le spalle da un momento all’altro, in fondo ha sempre saputo che no, uguali non lo sono affatto.

Sempre meno vicini con il proseguire delle stagioni, Diane prende le redini della sua vita scoprendo poco per volta che il mondo in cui si era sempre vista, non era il suo. Ci si idealizza, lo facciamo tutti: ci ridisegniamo in luoghi e situazioni che vediamo perfette per noi, ma solo sulla carta. Perfette per le persone che ostinatamente crediamo di essere, senza lasciare emergere ciò che ancora potremmo diventare.

Diane se l’era immaginata così la sua vita, incastrandosi in ambientazioni che a livello teorico erano perfette per lei, ma che nella pratica non sono mai riuscite a renderla davvero felice.

‘Le cose belle sono faticose’ diceva a se stessa per spronarsi a scrivere quel libro che non riusciva a iniziare. Abituata a votarsi al dolore, Diane arrivava al punto di accettarlo, di abbracciarlo, fino a renderlo parte del processo creativo e della sua intera esistenza.

”Se non scrivo la mia raccolta di saggi adesso non la scriverò mai più (..) Devo farlo, se non lo faccio significa che tutti i traumi subiti non sono dei traumi positivi, ma solo traumi. Non ne avrò ricavato nulla, e tutti gli anni di infelicità, non saranno serviti a nulla. Avrei potuto essere felice e scrivere libri su una ragazza detective ed essere allegra e popolare e avere dei bravi genitori. È questo che vuoi dire? A cosa è servito tutto?”

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I traumi sono l’unica cosa che Diane crede di poter tenere a bada, l’unica sulla quale sente il pieno controllo. Convinta di non essere nient’altro che una matassa d’irrisoluzione, e che tutto quello che abbia da offrire sia il suo dolore, Diane continua imperterrita a disegnarsi in quel mondo, ergendosi a vittima sacrificale di un sistema complesso in cui non ha scelto di vivere ma dietro al quale continua a rifugiarsi.

Che la maggior parte dei risentimenti che proviamo da adulti provengano da traumi infantili è una realtà assolutamente autentica: ma cosa succede quando si cresce?

Si diventa adulti con quella attanagliante sensazione che ci fa sentire continuamente vuoti, mutilati. Manca un pezzo, e sempre mancherà. Possiamo fingere che non sia così, possiamo dissociarci dal nostro passato, dai traumi e pure da noi stessi, ma non sarà questo a cambiare le cose.

Provare a scrivere il libro della sua vita è stato per Diane quell’agognato punto di svolta: arrivare a un passo dal realizzare un sogno per poi capire di non esserne tagliata, o semplicemente di non voler più raccontare quella versione si sé. Ed è stato inconscio, ed è stato bellissimo, ma come per magia è successo.

Ripetere a se stessi quanto si è infelici non farà la differenza nel gioco a premi della felicità. Farsi limitare, soggiogare, oscurare da eventi passati non potrà mai portarci a quel punto di svolta, e Diane lo sa bene. BoJack Horseman ancora no.

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E non sarà ciò che scrivi a definirti, e non sarà ciò che hai visto e vissuto a dire ciò che sei. Sei tu adesso, a dover rendere quei traumi positivi, a rifuggire, anziché rifugiarti, dalla parte peggiore di te e a vivere quello che verrà con la massima conoscenza e profondità di cui sei capace, servendoti di quel dolore per mettere un limite tra quello che sai di voler essere e quello che mai ti farà star bene.

E se sarà con un libro per ragazzi farà lo stesso, forse non sarà come credevi perché sarà anche meglio di ciò che speravi: e questo, cara Diane, non lo avresti mai saputo se solo non avessi provato fino in fondo a essere ciò che realmente sei.

In conflitto perenne tra il modo in cui ci presentiamo al mondo, e la nostra intimità, tra ciò che crediamo di essere e ciò che realmente siamo, Diane fa una cosa che BoJack Horseman non ha mai avuto il coraggio di fare: lascia andare i suoi malesseri, per godere in piena consapevolezza della più pura delle libertà.

Il dolore esiste, è qui: potrai tenerlo eternamente nel taschino, pronta a scagliarlo al suolo oppure potrai farne un amico. Un complice da cui sfruttare il peggio per ricavarne solo il meglio, il meglio per te.

‘Non è facile’ – ‘Si, lo so. Ma non sarebbe bello se lo fosse’

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