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Certo il disordine è una forma d’arte

bojack horseman
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“Certo il disordine è una forma d’arte.”
Una frase che sembra riassumere perfettamente il complesso mondo di BoJack Horseman. Una serie complicata e allo stesso tempo estremamente semplice: ci si perde nei meccanismi contorti della mente dei personaggi, che tuttavia ci risultano così facili da comprendere proprio per la loro universalità. Il prodotto targato Netflix, che si è concluso lo scorso gennaio (qui la recensione dell’ultimo episodio), ha fatto delle debolezze il suo punto di forza. Il caos che regna sovrano nella vita di ognuno dei protagonisti è lo specchio del loro io interiore, altrettanto disturbato e confuso.

Ma questo caos si tramuta in arte, in una poesia agrodolce e malinconica e per questo motivo così affascinante.

Le vicende del cavallo dalle sembianze umane hanno coinvolto il pubblico per sei stagioni e tutti abbiamo – almeno una volta – empatizzato con lui, ci siamo ritrovati, rivisti nelle sue “boJackate” e nei suoi sentimenti. Non c’è nulla di lineare nella sua vita: ogni volta finisce per complicare irrimediabilmente le cose, anche quando tenta di metterle a posto. In questo perenne stato di confusione, in bilico tra il provare a rigare dritto e il sentirsi sempre inadeguato, sbagliato. Questo timore che sembra non andrà mai via e che continua a trascinarlo a fondo. E come lui, anche gli altri protagonisti si sentono schiacciati dalle loro paure, dal loro sentire che c’è qualcosa che non va senza però riuscire a far nulla per risollevarsi.

La stessa Diane, così “normale” in apparenza, nasconde dentro di sé traumi e ferite che forse non si rimargineranno mai. Lei continua a provarci, continua a sforzarsi di vedere i suoi problemi come un trauma positivo per un libro che farà da monito ai suoi lettori. Così tenta disperatamente di rendere interessante la sua vita, i suoi disagi, e di esprimerli in modo chiaro. Ma non vi riesce, si perde nella sua mente, nei ricordi dolorosi e nelle fantasie spaventose. Finché, da questo magma informe, prende vita una storia. Non il racconto che si era prefissata, ma qualcosa di nuovo e altrettanto catartico, rivolto a giovani lettori che ne potranno trarre gli insegnamenti.

Ciascuno di loro lotta costantemente per impedire che la propria realtà vada in frantumi, che crolli pezzo dopo pezzo lasciando disordine e disperazione. Lo fanno Princess Carolyn e Todd: la prima così indaffarata che sembra moltiplicarsi per cercare di stare dietro a ogni cosa. Il secondo con la mente traboccante di idee nuove e folli, così preso dall’attuare ogni suo strambo piano da vivere nella più totale disorganizzazione. Eppure, da queste vite caotiche riescono a trarre qualcosa di buono.

BoJack, che nell’ultimo episodio non sembra arrivare da nessuna parte, è nel suo disordine arte.

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La serie riassume questa importante verità: nel dolore e perfino in quello che sembra totalmente sbagliato c’è una scintilla di bellezza. Spesso è da questi punti di debolezza che nascono le migliori delle idee, da questi sentimenti allo sbando escono fuori le più toccanti forme d’arte. E BoJack Horseman attinge alla forza distruttiva dei suoi protagonisti per regalarci un prodotto commovente e originale. È la prova provata che il caos più totale può trasformarsi, può emozionarci e insegnarci qualcosa. BoJack Horseman è fatta di luci e ombre, queste ultime più frequenti delle prime. Ma è grazie a questo gioco chiaroscurale che arrivano decisi i sentimenti e le sensazioni che ognuno dei protagonisti vuole trasmettere.

Certo il disordine è una forma d’arte, cantano Morgan e Bugo sul palcoscenico di Sanremo. E BoJack Horseman fa del disordine la sua musa ispiratrice, tramutando disturbi e dolore in un melanconico capolavoro.

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Le brutte intenzioni la maleducazione, la tua brutta figura di ieri sera. La tua ingratitudine, la tua arroganza, fai ciò che vuoi mettendo i piedi in testa. Ma tu sai solo coltivare invidia. Ringrazia il cielo sei su questo palco, rispetta chi ti ci ha portato dentro. Ma questo sono io.

Che succede?