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BoJack Horseman e quella corsa che poi “diventa più facile”

Bojack Horseman
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Se ci chiedessero quale scena di BoJack Horseman ci ha strappato il cuore con più forza difficilmente riusciremmo a dare una risposta in un’unica soluzione. La serie animata di Bob-Waksberg è riuscita a centrare così tanto e così spesso la tragedia della realtà umana che è difficile circoscrivere quali di questi momenti ci abbiano segnato più nel profondo. Qualunque fan di BoJack Horseman converrebbe che ce ne siano stati tanti e di diversa natura.

Ci sono stati momenti della serie che ci hanno lasciato dentro il vuoto cosmico tipico di quelle consapevolezze dolorose che si acquisiscono solo quando qualcuno è in grado di mettere per iscritto – o per immagini – il dolore umano. Come accade con la storia di Bea, della catena di dolore e anaffettività che si è portata dietro. O della frammentazione emotiva di un soggetto come BoJack stesso. Giusto per citarne alcuni.

Poi ci sono stati momenti che per fortuna ci hanno colpiti con una spada meno affilata. Ci hanno lasciato addosso una nota di speranza e di ottimismo cui raramente BoJack Horseman si è abbandonato.

Tra questi, il finale della seconda stagione. Un finale molto diverso da altri final season che la serie ci ha regalato come diverso ne risulta il tono rispetto alle stagioni successive. Perché – come sappiamo – se BoJack Horseman nasce con l’impronta generica di una serie animata dai toni ironici e – solo a tratti – un po’ bui, si evolve poi in una narrazione estremamente dark. In cui temi di incredibile potenza emotiva fanno da padrone.

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E proprio per il realismo con cui tali temi vengono trattati, la serie non manca di regalarci momenti come questo finale, che vogliono lanciarci al contrario un messaggio di speranza. Di quelli che magari soggetti come BoJack riescono a recepire ma non a cavalcare a sufficienza da uscire dal proprio tunnel. Ma che per altri invece, possono rappresentare una svolta. L’inizio di una nuova era, di nuove idee, di un nuovo IO (per citare un altro famoso finale di serie che forse qualcuno ricorderà).

Il finale della seconda stagione di BoJack Horseman lo ricorderanno tutti. Rappresenta per definizione il concetto di “nuovo inizio”.

Lo fa con poche semplici parole, e con una marea di immagini e metafore. Alcune gigantesche e sotto gli occhi di tutti, anche di quelli meno attenti. Altre invece più sottili e raffinate, ma non meno potenti delle prime. Inizia tutto da una canzone. Una canzone dalle note sorprendentemente allegre, seppur nella loro rilassatezza.

La canzone in sottofondo accompagna un BoJack alle prese con un nuovo giorno, di una nuova era in cui all’orizzonte fanno capolino speranze e sogni sopiti da molto tempo. Speranze di un possibile rinnovato BoJack che arrivano dopo le devastazioni della “Fuga da L.A.”. Uno dei punti più bassi della sua vita, quello che in questo caso segna il fondo dal quale risalire.

BoJack tenta fisicamente di “risalire” in corsa una strada di L.A., la città da cui aveva provato a scappare precedentemente. In quella che non era altro che l’ennesima fuga da se stesso palesatasi nella fuga materiale da una città che spesso e volentieri, in questa serie tv, è presa di mira dai personaggi nel tentativo degli stessi di deresponsabilizzarsi delle loro colpe.

Perfino in questo microcosmo narrativo da 90 secondi risulta difficilissimo decidere quale sia la metafora più bella messa in scena da BoJack Horseman.

Se la decisione di iniziare un nuovo giorno con una corsa, la salita o ciò che la corsa in sé rappresenta nello specifico per il protagonista. Quella corsa che, nella vita reale, rappresenta spesso per molti un nuovo inizio cui auspicare quando ci si vuole rimettere in forma, per BoJack segna una novità molto più incisiva. La volontà – almeno a questo punto della serie – di abbandonare parte di quei vizi che lo hanno confinato a lungo nel dimenticatoio in cui risiedono molti dei cosiddetti “train-wreck” hollywoodiani.

La salita è ovviamente simbolo della difficoltà di quest’impresa. L’immagine più pratica per rappresentare la fatica che comporta il tipo di cambiamento che un soggetto come BoJack si propone. E il sottolineare “un soggetto come BoJack” si connette strettamente all’utilizzo della corsa in sé come strumento di rinascita del personaggio (o di tentativo di rinascita). Perché non dimentichiamoci che per quanto BoJack rappresenti perfettamente l’essenza del più reale degli esseri umani, in questa serie ha le fattezze di un cavallo.

E l’immagine di un cavallo che non sa correre (o che fatica a farlo) è di una potenza senza pari. Rappresenta con semplicità e forza al tempo stesso la profondità di quelle crepe nell’anima del protagonista.

BoJack Horseman

In inglese direbbero che BoJack rappresenti il perfetto esempio di una “broken soul”. Quanto intensa è in questi secondi della serie l’immagine di un cavallo talmente “rotto nel profondo” da non riuscire a correre? Da non riuscire in ciò che per natura dovrebbe venirgli meglio? Un po’ come un esser umano che non sa convivere con la propria emotività. Quanto può essere danneggiata l’anima di chi, per una ragione o per l’altra, vive la propria esistenza portandosi il peso di un’emotività mutilata?

Ne sa qualcosa il jogger che gli si para davanti quando dopo appena 30 secondi BoJack stramazza al suolo col fiatone, incapace di proseguire la sua prima corsa. Ovvero il vecchio babbuino che dall’inizio della serie vediamo correre vicino casa di BoJack in compagnia della moglie. In molti avranno notato come a questo punto della serie il babbuino non sia più accompagnato ma sia solo nel suo giro di corsa.

Quella che forse sarà stata la sua partner di vita per lungo tempo, non c’è più, eppure lui ha fatto qualcosa di fondamentale: ha continuato a correre.

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C’è una poetica straordinaria nella decisione di lasciare che sia lui, un’anima mutilata da una perdita, a dire quelle semplici parole a un BoJack sdraiato a terra stanco e scoraggiato.

“It gets easier. Everyday it gets a little easier. But you gotta do it everyday, that’s the hard part. But it does get easier.”

Ci sarebbero così tante cose da dire sulla bellezza di questa frase che rischieremmo finanche di banalizzarne il significato. Ma chiunque abbia pianto tutte le proprie lacrime di gioia e commozione su questo finale sa quanto vasto sia il suo significato nel contesto BoJack Horseman. Sa quanto la corsa sia una metafora straordinariamente riuscita per spiegare cos’è che poi “diventa più facile”.

La resistenza fisica sicuramente. Ma quella emotiva ancor di più. O ancor meno, a seconda di quanto il diretto interessato riesca a seguire fino in fondo il consiglio del babbuino. La parte difficile è farlo ogni giorno. Non vale solo per i km corsi, il respiro e la velocità. Ma vale soprattutto per quella volontà di mettersi in gioco e cambiare. Di affrontare se stessi, i propri limiti e le proprie disgrazie. Nulla di tutto ciò è facile, ma può diventarlo a poco a poco. Con una lotta personale con i propri demoni, combattuta ogni giorno. La propria mente diventa qui un vero campo di battaglia.

E se ogni giorno ci si guarda allo specchio e, come il babbuino, si decide di “continuare a correre”, nonostante la perdita, il dolore e i cambiamenti, allora sì che diventa un po’ più facile.

Quel semplice ‘ok’ di BoJack è forse una delle risposte che più di tutte riesce a trasmetterci un’intensa sensazione di serenità interiore. Sappiamo come si siano evolute davvero le cose con l’andare delle stagioni. Ma in quel momento no. In quel momento tutto ciò che BoJack ci ha trasmesso è il pensiero che ci sia una speranza per tutti. Che chiunque, non importa quanto danneggiato o senza speranza sembri, possa risalire in corsa la strada della propria vita.

Mettersi di fronte ai propri limiti, ai propri dolori e alla propria solitudine. Guardarli e decidere ogni singolo giorno di voler continuare a correre.

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