Alla punta del tavolo, vicino a una bottiglia finita e vuota, siede BoJack Horseman, l’inevitabile frutto di una vita non capita. Nessuno è mai riuscito a comprendere davvero cosa lui abbia dentro, cosa sono le cose che interiorizza e quali, invece, decida di lasciare fuori dalla sua esistenza. Non è semplice e fa male non comprenderlo, ma forse – in un altro mondo – qualcuno potrebbe riuscire a capirlo e lo farebbe perché si specchierebbe solo in sé stesso: Don Draper, il protagonista di Mad Men.
Don Draper e BoJack Horseman condividono le stesse radici, sono due frutti caduti dallo stesso albero. Se il loro differente universo convergesse scoprirebbero che esiste una loro esatta copia, forse un po’ diversa all’apparenza ma con le stesse sembianze della loro essenza.
Il mondo di Don ha le forme del mondo di Horseman in versione reale: se BoJack non fosse stato un cartone sarebbe stato così e avrebbe avuto quella mimica facciale, quegli sguardi persi, quell’oscurità dietro un sorriso spento. Perché i due – in maniera devastante – riescono a essere lo stesso risultato dell’altro: non migliori, non peggiori, gli stessi. Non c’è qualcosa che BoJack possa insegnare a Don, e non c’è qualcosa che Don possa insegnare al cavallo antropomorfo e così il meglio che insieme potrebbero fare è farsi compagnia, confortarsi per poi capire che in realtà, non sono gli unici a essere persi.
Nel 2014 è arrivata la Serie Tv BoJack Horseman, e solo un anno dopo Mad Men arrivava alla sua fine definitiva, dopo aver iniziato il viaggio già nel 2007. Proprio in quell’anno – l’anno della prima stagione – Don ci dava la prima ed efficace versione reale di un cavallo antropomorfo che dopo qualche anno sarebbe arrivato. Solo al secondo episodio della prima stagione il pubblicitario si svela conclamando ad alta voce tutto quello in cui non crede e lo fa servendosi di cinismo, disprezzo per ciò che lo circonda e una velata apatia che – spera – possa aiutarlo ad affrontare tutto quel circo che si esibisce di fronte a lui ogni giorno.
“La verità è che nasci solo e muori solo e il mondo ti sommerge di regole per fartelo dimenticare, ma io non me lo dimentico. Vivo senza guardare al domani, perché il domani non c’è.”
Entrambi i protagonisti faticano la convivenza forzata con loro stessi. Quello di cui si cibano sono attimi momentanei di vita che, per lo più, tendono a fargli venire il mal di stomaco e non li aiutano mai. Un momento in più segna un passo verso il baratro e la speranza che le cose possano cambiare non li ha mai neanche accarezzati. Forse è quella voce, la stessa del doppiatore Fabrizio Pucci, a unirli ancora di più dando lo stesso tono a ogni loro delusione interiore ma siamo sicuri che questa somiglianza sarebbe balzata comunque agli occhi di ogni telespettatore che sia venuto a conoscenza anche solo di qualche puntata delle due Serie Tv. Condividono perfino lo stesso modo di devastare chiunque gli stia attorno: forse proprio su questa base vediamo somiglianze tra le due serie anche grazie ai personaggi con cui si rapportano.
Diane è per certi versi simile a a Peggy. Le due, in qualche modo, cercano smisuratamente di salvare i protagonisti nonostante conoscano la loro integrità e quindi siano ben consapevoli delle poche possibilità di riuscita delle loro azioni. Salvarli dal baratro non è semplice e farlo potrebbe essere il risultato di un inutile spreco di energie, ma lo fanno comunque. Qualcuno doveva pur prendere le redini di quel salvagente che mai Don e Horseman prendono. Entrambi condividono la voglia di annegare, di farla finita e salutare questo mondo che spesso li lascia ai margini.
Ma il margine è, comunque, l’unico posto in cui riescono a stare davvero perché solo lì, da soli, riescono a comprendersi meglio e auto consolarsi.
Quel narcisismo che sembrano ostentare, e che probabilmente c’è, non implica la loro voglia di stare sempre al centro dei riflettori. La loro esistenza è un’altalena che va veloce, non riescono a far tutto da sé ed è lì che hanno bisogno degli altri, ma quando questi arrivano e fanno il loro dovere standogli accanto loro hanno la necessità di correre via. Per questo motivo quando i rapporti interpersonali giungono alla fine per volontà altrui, nonostante tutto, riescono a comprendere il perché: sanno benissimo di esser stati loro a determinare l’addio, di non aver avuto la forza e il coraggio necessario per dargli costanza. Proprio così, come da tradizione, ogni loro rapporto è connotato da un bisogno di lontananza che li rende crudi e che li spinge verso l’inevitabile desiderio di fuga.
L’insoddisfazione e il senso di vuoto connotano la loro vita di drammi e negatività: non sarà mai felicità e i momenti più sereni saranno solo fatti di attimi di dimenticanza.
Ma come possono dimenticare, se sono così lucidi? Ed è lì che cercano l’aiuto nell’unica cosa che abbia la possibilità di alleggerirli: una bottiglia da svuotare. Perché se riescono a finirla, quella bottiglia, diventerà la loro porta d’ingresso per un momento in cui non pensano, in cui sono distaccati e lontani da quello che sono e che fanno. Se la utilizzano bene possono correre al riparo e consolarsi un po’, lontano da tutto quel caos e anche da loro stessi: due giocattoli rotti, due stupidi pezzi di m***a, come dirà Horseman stesso nel sesto episodio della quarta stagione.
Non è solo una bottiglia, è una passaporto, un aereo. Bere significa fare i bagagli, e finire il bicchiere implica essere giunti a destinazione in un mondo fatto di dimenticanze in cui si è sempre meglio di ciò che si è realmente. Don e BoJack non sono ipocriti: sanno quanto siano fatti male ma non sanno come affrontare la cosa, come migliorarsi, e così cedono a qualsiasi cosa che possa, in qualche modo, aiutarli a fargli superare l’ennesima giornata di una vita triste e malinconica. Ma è proprio questa sensazione di malinconia che li rivitalizza perché, nonostante tutto, sono vivi nel senso più profondo e vero. Ogni tragedia li uccide ma non si può uccidere qualcosa che non sia vivo, è questa la base della loro esistenza: morire un po’ ogni giorno e ricordare, proprio su questa base tragica, che dunque sono vivi.
La malinconia che si portano addosso è la stessa e vive in quell’attimo che stanno vivendo consapevoli che sia già passato. Come dirà Don, la nostalgia è uno struggimento del cuore, l’organo più dissacrato che hanno.
BoJack Horseman e Don Draper sono l’involucro di tutto quello da cui le persone attorno a loro, per lo più, cercano di proteggersi. Feticizzano la loro tristezza e cercano di idealizzarla trovando in questo compromesso la chiave per restarsi accanto, sopportandosi meglio.