Poi è più facile. Ogni giorno diventa più facile. Ma devi farlo tutti i giorni, questo è difficile. Poi diventa più facile.
BoJack Horseman, al suo finale della seconda stagione, ci aveva lasciato con queste parole. Ci aveva spinto a pensare che una volta toccato il fondo, non si potesse fare altro che risalire. Proprio come nel mito di Sisifo, chiara ispirazione del finale di stagione, il cambiamento cui BoJack aspira rappresenta per lui il masso da spingere quotidianamente, quella fatica giornaliera che richiede dedizione e solidità d’animo.
Ma cambiare richiede, appunto, impegno e costanza, coscienza e autoanalisi. Cambiare significa anche doversi perdonare, guardare al proprio passato consapevoli degli errori commessi e agire per rimediare e per migliorarsi. BoJack questo lo sa, ed è proprio la ragione per cui ne è così terrorizzato. BoJack Horseman è il marcio frutto della sua esistenza. Ricadere nell’autocommiserazione e nell’autosabotaggio è semplicemente più facile, e così BoJack ricorda allo spettatore che una volta toccato il fondo, si può sempre scavare più giù.
Se la seconda stagione della serie frutto delle fatiche di Raphael Bob-Waksberg aveva lasciato lo spettatore con un dono prezioso e dal valore inestimabile, questo è proprio la speranza. Speranza di risalita, di redenzione. Speranza che viene però tradita e disattesa, da un protagonista che resta costantemente vittima del suo passato. La terza stagione si apre al pubblico esattamente da qua: da una rapida ma inesorabile spirale verso il basso, verso le profondità più inesplorate del senso di colpa di BoJack; profondità in cui diventa sempre più difficile esprimersi, comunicare i propri sentimenti, accettare e conseguenzialmente perdonare i propri errori. E così lo spettatore assiste ad un susseguirsi di autoflagellazioni, troppo ripetitive per penetrare nel suo animo e lasciarlo in quello stato di catalessi a cui la serie ci aveva abituato al netto delle prime due stagioni.
Non fraintendete, la terza stagione di BoJack Horseman è e resta un ottimo prodotto: si riconferma una serie cult, in grado di fregiarsi di animazioni di altissimo livello, di dialoghi mai banali, di critiche taglienti tanto al mondo dello show business quanto a temi sociali particolarmente sensibili. Il quarto episodio in particolare (che abbiamo approfonditamente analizzato qui) ci mostra il tenore artistico e tecnico di un prodotto destinato a lasciare il segno a lungo ed in profondità, mentre il sesto episodio affronta il tema dell’aborto con arguzia e rinnovato spessore.
Ma la storia di BoJack non convince. Non c’è speranza, solo disperazione. Non c’è redenzione, solo commiserazione.
Tra un episodio flashback, un episodio crime ed un episodio quasi totalmente muto, ciò che viene mostrato allo spettatore è sempre lo stesso male cronico di cui BoJack soffre – senza neanche la lontana speranza che il nostro protagonista possa rialzarsi. Aggrappandosi al passato, costantemente in bilico tra il voler andare avanti e l’impossibilità di lasciare andare ciò che lo ha reso grande e lo ha posto al centro dell’attenzione, affranto per aver sprecato l’unica occasione che avrebbe potuto finalmente redimerlo – la mancata candidatura agli Oscar – e abbandonato da tutti, lasciato a sé stesso, BoJack Horseman si rifugia nell’unica cosa che non l’ha mai tradito: la dipendenza. E come ha sempre fatto, tenta di portare qualcuno a fondo con sé, ed è ancora una volta al passato che guarda.
Gli ultimi episodi della terza stagione, che vedono protagonista il delirio alcolico e psichedelico di BoJack Horseman e Sarah Lynn, si presentano come una boccata d’aria in mezzo ad una stagione troppo ridondante, ma si dimostrano essere solamente una scintilla. Infatti, nonostante l’atmosfera cupa e le tematiche particolarmente sensibili, questi episodi ci riportano ai livelli altissimi delle prime due stagioni, per poi riportarci con i piedi per terra con il finale di stagione. Proprio quando sembra che BoJack Horseman abbia compreso il primo passo da fare per risalire quella spirale, la morte di Sarah Lynn lo riporta con i piedi per terra, trascinando lo spettatore con sé.
Visto Sarah Lynn? Non siamo spacciati. Nel grande scenario della vita siamo solo dei granellini che un giorno verranno dimenticati. Non importa cosa abbiamo fatto in passato e come verremo ricordati. Quello che importa è il presente, questo momento, quest’unico momento spettacolare che stiamo vivendo.
E di nuovo: nessuna speranza, nessuna risalita.
Proprio per questo il finale della terza stagione ci appare vuoto e meno carismatico e incisivo di quanto ci si aspetti da una serie del livello di BoJack Horseman: la fuga del protagonista dinnanzi all’ennesimo ingaggio mancato, il suo passato che torna a tormentarlo ogni volta che cerca di liberarsene, la blanda e sterile volontà di guardare al futuro sono tutti concetti che la serie ha ampiamente affrontato nell’arco di tre stagioni e che, inevitabilmente, finiscono per non attecchire sullo spettatore.
L’episodio conclusivo, insomma, non aggiunge nulla ad una incredibilmente cupa e tormentata serie di episodi che, inevitabilmente, finiscono per non lasciare abbastanza spazio a momenti di distensione e rilassamento – se non pochi, e generalmente poco convincenti. Se nelle due stagioni precedenti eravamo riusciti a ridere dei comportamenti spesso patetici di BoJack, ma anche di tutti quei personaggi più o meno marginali, in questa terza stagione l’ironia finisce per lasciare spazio al tragicomico: Anche personaggi come Todd e Mr. Peanutbutter, prima spalle comiche incredibilmente efficaci, finiscono per affrontare situazioni tese e drammatiche che non aiutano ad alleggerire l’intensità del racconto, ma anzi finiscono per stimolare una risata amara nello spettatore.
Ma nonostante le nostre speranze di risalita e di redenzione siano state disattese, concedeteci di esprimere un personalissimo giudizio:
Ci piace immaginare che in questa terza stagione i creatori abbiano volontariamente disatteso le nostre aspettative, proprio per ricordarci che cambiare è difficile, che richiede impegno e costanza e che non sempre si cambia per il meglio. Vogliamo davvero credere che BoJack Horseman sia destinato ad un lieto fine. D’altro canto, lo avevamo già sentito: poi diventa più facile, ma bisogna farlo tutti i giorni, e questo è difficile.