Se mi chiedessero di stare in piedi, parlare a un pubblico e in più riuscire a farlo ridere di gusto facendogli portare a casa un sorriso e una riflessione, comincerei a correre più veloce che posso, alla maniera di Forrest Gump. Forse non mi fermerei più pur di evitare la situazione.
Ma tutto questo cosa ha a che fare con BoJack Horseman?
Naturalmente io non c’entro nulla, ma di recente sta diventando pratica comune e comunque decisamente ben accolta quella della stand up comedy anche qui in Italia. È bastato poco per far appassionare il pubblico a questo genere di comicità. Sì, perché quando ci si rende conto del potere salvifico della risata e della riflessione che urge a causa di un sorriso, non ci si può più sottrarre. Per BoJack Horseman la situazione è simile ma leggermente diversa.
La serie che ha per protagonista un anticonformista e amorale cavallo ha ormai conquistato una fetta importante di pubblico, nonché la critica seriale che ha riposto grandi speranze in questo prodotto. Si tratta comunque di una serie innovativa e inedita, lontana dagli standard a cui siamo ormai abituati e questo anche e soprattutto grazie all’utilizzo intelligente della stand up comedy.
È un aspetto particolare che aiuta a muovere le fila della serie rimanendo costantemente in sottofondo, aiuta a reggere temi importanti e profondi riportando sempre tutto a un tipo di interpretazione gestibile e quotidiana.
La chiave è semplice quanto geniale: usare il sarcasmo e il più o meno manifesto escamotage della risata per trattare ciò che in un certo senso fa paura a tutti. La solitudine, la pesantezza delle incertezze e in egual modo la pesantezza delle certezze che non possono essere perseguite. Il modo in cui un animale – un cavallo in questo caso – riesca ad adeguarsi perfettamente alla quotidianità di un essere umano crea un altro squarcio nel velo di Maya, e permette di capire che attraverso una trasposizione e un’oggettivizzazione riusciamo a capire davvero (e meglio) la nostra universale condizione.
Non è da sottovalutare la capacità degli autori di prendere tutto ciò che di imperfetto c’è in noi e nel mondo che abitiamo, metterlo insieme, rassettarlo e ricomporlo in maniera scomposta come in un quadro cubista e presentarcelo senza filtri apparenti.
Non a caso ricomposto in maniera scomposta. BoJack Horseman non è perfetto, non sfiora neanche un po’ l’idea di ordine ed equilibrio. Ed è così che vediamo anche la vita che cerca di vivere, tra la scomposizione del suo presente in confronto al suo passato e quella del suo mondo, rappresentazione nel contenuto fedele a quello che abitiamo noi.
BoJack Horseman è un po’ quello che ci si aspetterebbe dalla nostra mente se non avesse censure o controllo sociale. Ovviamente tutto prenderebbe una piega più vera e oggettiva, ma questo porterebbe al caos a cui assistiamo in questa serie tv.
L’utilizzo della stand up comedy influenza il modo in cui le cose vengono dette, come i temi vengono trattati e come tutto viene percepito e compreso. Una tecnica usata alla grande da una delle stand up comedian dei giorni nostri, Arianna Porcelli Safonov. Il suo modo di intrattenere potrebbe essere effettivamente associato senza troppe forzature a quello che vediamo in BoJack Horseman.
L’ironia e l’autoironia sono protagoniste, ma d’improvviso diventano solo comparse dietro a temi che sentiamo profondamente nostri. Poi tornano ad avere assoluta importanza cancellando il resto. E così fino alla fine della performance e della puntata. Chi ha bisogno dell’ordine e della realtà filtrata quando è ancora più interessante cercare tra le pieghe profonde, e a volte banali, della quotidianità nostra e di chi ci sta intorno?