Io non lo avevo capito, non mi è stato chiaro fino all’episodio rivelazione Churro Gratis, ma quel cavallo antropomorfo non era soltanto il protagonista di una bella Serie Tv: era il protagonista della Serie Tv della mia vita. Poteva essere Breaking Bad, I Soprano, Twin Peaks, poteva essere qualsiasi cosa perfetta e definibile come un capolavoro la Serie Tv della mia vita, e ho lottato per far sì che potesse essere così, ma non è stata questa la risposta che mi sono data quando, una volta giunta alla sesta puntata della quinta stagione, BoJack Horseman ha cominciato a parlare, a raccontare i no e sì della sua vita, l’esigenza di essere visto, la sua voglia di non fallire e l’inevitabile caduta che – atto dopo atto – si concretizzava come unica reazione alle cose. Cadere e ricadere, e forse un giorno alzarsi. Un giorno che non sai quando si paleserà, né se lo farà mai. BoJack ci spera, forse più di me. BoJack brama che le cose un giorno trovino il loro posto da sole senza il suo aiuto, perché sa che se la soluzione dovesse dipendere da lui allora non accadrà mai. Si sottovaluta, potrebbe dire chiunque dopo aver visto la serie ma senza averla davvero ascoltata, ma la verità è che BoJack non si valuta neanche.
Non si vede, non si sente, non si percepisce. Tira avanti fino al giorno dopo cercando di capire se quello che accadrà sarà, per l’ennesima volta, teatro di un disastro generato da se stesso. C’è chi cade per rialzarsi, e chi invece cade facendosi così male da non avere più le forze di mettere un piede di fronte l’altro e darsi la spinta in avanti. C’è chi spera che le cose migliori possano ancora accadere e chi, come me e BoJack, crede che se qualcosa ci stupirà lo farà solo per un tempo determinato, per poi diventare ordinaria, spenta e precedente a un fallimento. Perché se c’è una cosa che proprio non sappiamo fare, quella è pensare che le cose belle siano destinate a rimanere attaccate a noi.
BoJack Horseman non è la Serie Tv della mia vita perché è la migliore che io abbia mai visto. BoJack Horseman è la Serie Tv della mia vita perché ha visto in me cose che neanche io avevo visto
Ecco una storia. Quand’ero ragazzo, recitai un brano comico per il talent show della scuola. C’era questa giacca figa che volevo mettere perché mi avrebbe fatto sembrare Albert Brooks. Per mesi risparmiai per questa giacca, ma quando finalmente racimolai abbastanza, andai al negozio ed era andata. L’avevano venduta a qualcun altro. Così, andai a casa e lo dissi a mia madre. Lei disse: «Ti sia da lezione. Questo succede se si desiderano cose». […] Ma poi, il giorno del talent show, mia madre aveva una sorpresa per me. Mi aveva comprato la giacca. Anche se non sapeva come dirlo, io sapevo significasse che mi amava. Ora, questa è una buona storia su mia madre. Non è vera, ma è una buona storia, giusto? L’ho rubata da un episodio di Maude che vidi quando ero bambino, quando lei parla del padre.
A un certo punto della propria vita venire a patti con il passato e con tutto quello che abbiamo sempre desiderato ma non si è mai avverato è necessario, anche se fa male più di quanto crediamo. Churro Gratis racconta qualcosa che di me forse non era ancora chiaro, e che invece adesso risulta così concreto e disturbante. Vedo le cose da delle prospettive che non sempre purtroppo si rivelano reali e la cosa ancor più fastidiosa è che cerco di attaccare un significato a qualsiasi cosa, nella speranza che nel profondo qualcosa di meraviglioso possa accadere. Spero che quel brutto pensiero non si riveli reale, e allora comincio a disegnarci sopra qualcosa che possa in qualche modo arrestare la caduta quando non si avvererà, perché lo so che quando cado, poi, non so rialzarmi con facilità. E come lo so io, lo sa BoJack, un cavallo antropomorfo che utilizza il funerale e la tomba sbagliata di sua madre per parlare di se stesso, per raccontare come – in quegli anni – non sia mai stato visto e di come, nonostante tutto, abbia sempre sperato.
Sperare quando si è disillusi è un bel paradosso, ma chissà come – alla fine – accade. Perché BoJack Horseman insegna quanto le due cose non sempre vadano di pari passo. A volte credi che possa esser così, ma in realtà la propria essenza non può non seguire le leggi della natura, e la natura dice a chiare lettere che un essere umano non può non pensare alla propria autoconservazione, non può imporsi di non credere che qualcosa – da un momento all’altro – possa salvarlo. BoJack non ci ha mai creduto davvero, ma in Churro Gratis qualcosa fa pensare di sì. Per la prima volta, solo quando i suoi genitori sono oramai inermi, Horseman si svuota di qualsiasi rimorso e di qualsiasi cosa non detta, annunciando a una platea fatta di sconosciuti che il tempo per agire è oramai scaduto, perché su quella tomba adesso non c’è solo sua madre, ma anche tutte le cose che negli anni non sono state fatte, dette, raccontate. Il funerale, in questo senso, rappresenta la fine di un’era per BoJack, il momento in cui tutte le sue parole non dette partono dal suo stomaco e vengono fuori dalla sua bocca per poi, a un certo punto, morire nel momento esatto in cui sono state pronunciate.
Nulla di quello che dirà gli servirà per recuperare il rapporto ormai perso, e niente di quello che farà potrà cambiare il passato. La cosa più triste, forse, è che – come diceva Kafka – il materiale di cose da dire supera nettamente il suo intelletto. Ci sono troppe cose e troppe poche parole nel mondo per descriverle con la cura che meritano, e BoJack – prima di quel momento – non ci era mai riuscito. Non aveva idea di come radunare tutte quelle parole per creare un discorso degno di essere definito come la consacrazione di ciò a cui ha sempre pensato, ma che mai ha saputo dire ad alta voce. La sua decisione avviene nel momento in cui né il padre né la madre possono rispondergli, nel momento in cui – vigliaccamente, si potrebbe dire – avrebbe comunque avuto ragione. <<Mamma, batti un colpo se sei orgogliosa di me>> BoJack non era mai stato in grado di fare questa domanda, ma decide di farla solo quando la risposta è impossibile. Vuole giocare in casa, vuole – per una volta – avere la vita più semplice, sfogandosi così con un corpo che non potrà mai contraddirlo e che, dopo anni, finalmente – con il suo silenzio – gli dirà che aveva ragione.
La verità è che BoJack Horseman è la Serie Tv della mia vita perché esiste Churro Gratis, la puntata che spiega cose che di me non avrei mai capito davvero. In quei 25 minuti sono condensati, paradossalmente, 25 anni d’esistenza. Venticinque anni in cui scappo, torno, mi metto in discussione e perdo, mi metto in discussione e quello che raggiungo fatico a tenermelo per poi vivere di una gloria morta e sepolta alla stessa stregua di quella di BoJack.
Io lo so che chiedendo in giro esistono più persone che si identificano in BoJack che in altri, e questa è una cosa che in qualche modo – a un certo punto – tutti dovremo affrontare. Perché identificarsi in lui non significa identificarsi in un cavallo antropomorfo che alza il gomito quando le cose non vanno, significa identificarsi nella stessa m*rda che ci fa fare cose assurde, come rimandare e procrastinare il momento in cui veniamo a patti con la realtà. Arrivare a quel momento fa paura e fa tremare come neanche la vista di un animale feroce libero dallo zoo, ma forse dopo quel momento riusciremo a vedere le cose più chiaramente. Perché BoJack Horseman non è la Serie Tv della mia vita soltanto perché il protagonista condivide il suo disagio con lo stesso mio, ma anche per quel finale di serie che, di nuovo, mette al centro quella naturale speranza che è impossibile non provare. Nulla trova la propria collazione durante quell’episodio finale, ma trova un nuovo punto d’inizio, un nuovo spazio da cui cominciare a sperare. Le carte sono state svelata del tutto, e da adesso la partita la conduciamo noi, ora finalmente consapevoli di ogni cosa.
Forse un giorno BoJack Horseman lascerà spazio a una nuova Serie Tv preferita che prenderà il suo posto, ma quando mi verrà chiesto di chi sarà il mio cuore la risposta sarà sempre e solo una: di BoJack Horseman. Grazie a quella volta in cui mi fece aprire gli occhi su tutte quelle cose che ho messo da parte per anni, per poi riuscire finalmente ad accettarle come ovvie e naturali, come la pioggia che scende durante il primo mese di settembre.