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Quanto è bello Bojack

Bojack Horseman
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Bojack Horseman siamo tutti noi. Quante volte lo abbiamo pensato? Eppure la natura del personaggio potrebbe spingerci a prenderne le distanze più volte. Il cavallo antropomorfo più famoso della televisione ci viene presentato infatti come quello che gli americani chiamerebbero “trainwreck”. Un rottame, un relitto umano. Una persona distrutta nel corpo e nello spirito. Un trainwreck è molto spesso vittima di droga, alcool e dipendenze di vario genere che sembrano alleviare momentaneamente le sue pene, ma finiscono solo per alimentarne l’autodistruttività.

Eppure anche un rottame senza speranza può vivere un’evoluzione. O involuzione, a seconda dei casi. La potenza di Bojack Horseman risiede in questo: nelle innumerevoli sfumature che lo rendono un personaggio tutt’altro che piatto. E il suo sviluppo, crudo e realistico, lo avvicina intensamente allo spettatore.

Bojack Horseman

L’autore della serie, Raphael Bob-Waksberg, è riuscito con grande maestria a delineare la crescita emotiva del personaggio. Ogni punto saliente della vita di Bojack ha dato origine a uno tsunami che lo ha travolto in un oceano di amare riflessioni. Bojack Horseman ci fa sentire parte di una storia, spesso priva di lieti fine, che sembra raccontare noi stessi. Ci esime da ottimismo spicciolo con un sarcasmo tagliente, mostrandoci la ferocia della vita che si abbatte su di noi lasciandoci inermi, incapaci di reagire.

Percorre assieme allo spettatore un viaggio introspettivo che non porta risposte, ma domande. È una lotta continua col proprio essere in cui il premio è imparare ad accettarsi. Non nella speranza di un improbabile cambiamento, ma di un più realistico miglioramento. E un comune mortale come Bojack Horseman a volte ci riesce, ma molto più spesso fallisce.

Lo vediamo partire da una condizione di stasi. Stella ormai spenta di Hollywoo(d) che vive nel ricordo dei gloriosi tempi della sua fama. Al centro della storia, una sorta di processo autoinflitto in cui l’imputato è la sua stessa umanità. Bojack Horseman è un cinquantenne ormai sfiorito, chiuso in un’aura di detestabilità che lo relega a una solitudine che lui si convince di desiderare. Opportunista, egocentrico, volubile, noncurante dei sentimenti altrui. L’empatia non è esattamente il suo forte, perciò finisce per maltrattare chiunque gli stia accanto. Dalla partner sessuale di una notte al suo migliore amico. Allora perché ci immedesimiamo in lui?

Bojack Horseman

Non è difficile capire che non è la sensibilità a mancargli. È la gabbia dietro cui la nasconde il problema. Il suo scudo di protezione.

Per capirne le origini Bob-Waksberg ci accompagna in un viaggio a ritroso nel passato di Bojack Horseman. Scopriamo così di aver a che fare con un uomo in cui alberga una voragine affettiva che ha influenzato tutta la sua vita e il suo essere. L’odio di una madre che in lui ha visto la sua catena, un padre che lo considera responsabile della sua mancata gloria. L’infanzia di Bojack è stata impregnata di senso di colpa e rancore da chi avrebbe dovuto insegnargli l’amore incondizionato. E come in una sindrome di Stoccolma in chiave parentale Bojack tenta per tutta la vita di rendere fiera sua madre, ricevendo in cambio solo sarcasmo. Purtroppo non può sapere che l’amore materno negatogli è figlio di un’esperienza traumatica. Bea – sua madre – da bambina si difende dal dolore facendo proprio il monito della madre, reduce da una lobotomia:

L’amore fa agli uomini cose terribili. Non amare mai nessuno come io ho amato Crackerjack (fratello deceduto in guerra di Bea)

I promise. Rispose la piccola.

E così ha inizio la ruota di anaffettività che costerà a Bojack la possibilità di sentirsi amato, di saper gestire i propri sentimenti e lasciar entrare le persone nella sua intimità.

Bojack Horseman

Bojack Horseman affronterà la vita con la paura di chi teme d’essere abbandonato finendo per essere lui stesso la mannaia che cade sui propri rapporti umani.
Tuttavia, sulla base di ciò, Bojack bypassa quel momento in cui la vita ti fornisce gli strumenti per ristrutturare te stesso, decidendo chi essere e cosa conservare del passato. Cade nel tritacarne di Holliwoo(d) e, accecato dalle luci del successo, rinuncia al suo riscatto emotivo sacrificando il suo migliore amico sull’altare della carriera. Affronta il senso di colpa e l’odio verso se stesso con una massiccia deresponsabilizzazione. Lo capiamo quando urla a Wanda “dirigenti televisivi come te mi hanno rovinato la vita!”

È così un po’ tutta la sua vita, sempre piena di qualcuno o qualcosa da biasimare in quanto causa dei suoi mali.

Una pessima madre, un superiore che non gli ha lasciato scelta, una ragazzina che lo ha provocato, un premio non ricevuto. Ogni volta che fa “un’altra discutibile scelta di vita” c’è sempre una scusa, e non è qualcuno da incolpare è l’alcool o la droga. Per non dire l’odio verso se stesso con cui convive. Eppure la decisione finale è sempre una scelta personale…
Glielo ricorda persino Todd:

Non puoi fare sempre la stessa cosa! Non puoi continuare a fare ca****e per poi sentirti di m***a pensando che così sia tutto a posto! Tu DEVI ESSERE migliore! Tu sei tutto ciò che c’è di sbagliato in te. Non è l’alcool, la droga, o qualsiasi brutta cosa ti sia capitata durante la tua carriera o la tua infanzia. Sei TU! Ok? Sei tu.

Bojack Horseman

La crescita di Bojack nelle prime stagioni si concentra proprio sulla sua deresponsabilizzazione. La consapevolezza dei suoi comportamenti errati, giustificati però da mille ragioni. Questo pensiero in qualche modo lo solleva, perché, come vediamo fin dall’inizio, Bojack è ossessionato dalla volontà di essere una brava persona. Osteggia la biografia scritta da Diane proprio perché cruda e onesta su ciò che di buono e cattivo c’è in lui. Verità che Bojack non vuole vedere. Sapere di non essere semplicemente uno st***o per genetica gli dà sollievo, ma altresì lo paralizza. Consapevole delle sue lacune, Bojack fatica a colmarle. Procede per vie traverse finendo sempre per cacciare se stesso e gli altri in guai in cui il prezzo più alto, spesso, lo paga chi è con lui. Come Sarah Lynn, che forse era destinata a fare quella fine, ma non è certo stata aiutata dalla presenza di Bojack. La sua morte devasta Bojack con sensi di colpa e nuove conferme.

La sua codardia, la sua noncuranza finiscono sempre per travolgere le persone che gli vogliono bene. “Lui è veleno”.

E lo sarà fin quando non avrà imparato a rapportarsi con quell’“io” che tanto detesta. È in quel viaggio in macchina verso l’ignoto che rivediamo noi stessi in Bojack Horseman. In quella corsa cieca col piede schiacciato sull’acceleratore percepiamo tutto il suo bisogno di comprendersi, di SENTIRE qualcosa, di liberarsi dalla gabbia che lui stesso ha creato per sè e sentirsi vivo. È bello quanto straziante vedere Bojack osservare i cavalli allo stato brado che corrono liberi nella valle! Chiedersi perché anche lui non possa essere così, cosa lo separi da quello stato.

Inizia lì un viaggio più lungo e insidioso di quello verso la casa al lago del Michigan: il viaggio dentro se stesso.

Alla scoperta delle radici del male, nella speranza di trovare una spiegazione a quello che è. La quarta stagione ci spezza il cuore con la storia di Bea e ce lo ricompone parzialmente con l’inaspettato legame con Hollyhock. Bojack si riscopre finalmente felice, a riprova che la forza dell’amore può essere più forte dei propri demoni e che anche un trainwreck può “guarire” quando un amore incondizionato si impone nella sua vita. Ma il feroce realismo di Bojack Horseman non lascia scampo neanche stavolta. Nella quinta stagione, forte di un nuovo lavoro e di una parvenza di amore familiare mai provato, Bojack si propone di essere migliore. Più facile a dirsi che a farsi. L’impegno sul lavoro, gli amici, l’amore, le sedute di psicanalisi, il taglio all’alcool, sembra andare tutto nella giusta direzione finché Bojack non fa i conti con se stesso.

bojack horseman

La verità è che non è facile affrontare se stessi e accettarsi. Significa dover lavorare solo su ciò che si ha. A se stessi non si può mentire: ogni bugia raccontata ti inseguirà ovunque nella tua solitudine.

E Bojack ci dà una grande lezione sulla stessa e sulla fuga da se stessi. I sensi di colpa che dal passato tornano a tormentarlo, la paura di non sapersi perdonare e accettare, filtrati attraverso l’immedesimazione ossessiva in Philbert nella vita di tutti i giorni, finiscono per divorarlo. Quel rifiuto di affrontarsi si traduce in un bisogno estremo di annebbiarsi, in questo caso, con antidolorifici da cui finisce per essere dipendente. Il trainwreck che abbiamo conosciuto all’inizio della serie, credendo che il peggio fosse già in corso, non sapeva che il percorso di rinascita è lastricato di prove massacranti e che la prova più difficile dovesse ancora arrivare. Per Bojack è stato interfacciarsi con se stesso. Una prova che lo ha schiacciato senza sconti. Ma una flebile speranza si fa strada anche nel tunnel più buio: Bojack va in riabilitazione, chiede aiuto.

Bojack Horseman

È la lezione sulla solitudine che abbiamo dolorosamente imparato insieme a lui: imparare a dire la verità e a chiedere aiuto. Che bello vedere Bojack prenderne atto ed entrare in quella clinica. È stato un po’ come entrarci insieme a lui e capire che, per quanto soli e distrutti da noi stessi possiamo sentirci, ci saranno sempre delle forze (seppur poche) da raccogliere per compiere una scelta coraggiosa: volersi bene.

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