BoJack Horseman, a quasi cinque anni dalla sua conclusione, merita uno sguardo approfondito e onesto, libero dall’entusiasmo del momento o dalle inevitabili polemiche che accompagnano ogni opera culturalmente rilevante. La serie creata da Raphael Bob-Waksberg (disponibile su Netflix) ha segnato un punto di svolta nella serialità televisiva, soprattutto per il modo in cui ha unito l’umorismo e la profondità emotiva a importanti riflessioni sulla società contemporanea. BoJack Horseman è stata una delle prime serie animate che è riuscita a dimostrare che l’animazione può essere un veicolo per storie complesse e mature. A prima vista, questa serie poteva sembrare una bizzarra commedia animata su un cavallo antropomorfo che vive nel lusso e nel caos di Hollywood.
Tuttavia, sotto questa patina surreale si nascondeva una delle rappresentazioni più autentiche e brutali della condizione umana ma viste in TV.
Uno dei grandi meriti di BoJack Horseman è stato quello di rompere i confini tradizionali dell’animazione. Prima del suo arrivo, l’animazione per adulti era associata a serie tv satiriche (come, per esempio, I Griffin, South Park, I Simpson) o a format dissacranti (come, per esempio, Rick & Morty). BoJack, invece, ha osato abbracciare il dramma, il silenzio, la malinconia e i difetti umani con una rara intimità e delicatezza. Questa serie tv non seguiva una narrazione lineare né prevedibile: spesso i personaggi restavano intrappolati in cicli di autolesionismo, incapaci di evolversi realmente. La scelta di dare una visione esistenzialista rispecchia la consapevolezza secondo la quale le persone non cambiano facilmente e, anche quando (e se) lo fanno, il passato non smette mai di pesare.
Il finale stesso (di cui abbiamo ampiamente parlato in questo articolo) rifiuta ogni facile (e scontata) redenzione: BoJack non diventa una brava persona, ma non riceve nemmeno una punizione definitiva. Rimane sospeso in un limbo emotivo: un finale che riecheggia la realtà più di qualsiasi altra chiusura netta. BoJack Horseman è riuscito ad affrontare con rara profondità alcuni temi umanamente difficili e complessi. In primis, le sue dipendenze da alcol e droghe, mai romanticizzate nel corso delle sei stagioni. La serie ci mostra in modo brutale e sfacciato le conseguenze devastanti delle sue scelte, non solo su di lui, ma anche (e soprattutto) su chi lo circonda.
Ci viene mostrato come la dipendenza non sia solo una conseguenza della sofferenza di BoJack, ma anche un fattore che contribuisce a peggiorarla. Le sue scelte sotto l’effetto di sostanze lo conducono a situazioni che alimentano ulteriormente il suo senso di colpa: BoJack è un personaggio intrappolato in una spirale di autocommiserazione e insoddisfazione. La depressione di cui soffre è rappresentata in modo realistico, come una condizione cronica che, anche se sembra migliorare in alcuni momenti, tende a ripetere i vecchi schemi, evidenziando quanto sia difficile uscire completamente da un ciclo di dolore e autodistruzione.
I traumi generazionali, inoltre, sono raccontati magistralmente in BoJack Horseman.
Gli episodi che esplorano il passato di BoJack sono tra i più potenti della serie (soprattutto il devastante Time’s Arrow). Il peso del passato è un tema ricorrente, che viene esplorato sia attraverso il protagonista sia attraverso gli altri personaggi, in modi che rivelano quanto profondamente le esperienze passate, soprattutto quelle traumatiche, modellino il presente. La serie usa questo tema non solo per costruire la psicologia dei personaggi, ma anche per riflettere sull’impatto delle relazioni familiari e delle scelte personali. BoJack non propone soluzioni semplici, ma invita a una riflessione onesta e obiettiva. È proprio questa disamina che la rende un’opera profondamente umana, in grado di parlare a chiunque abbia mai lottato con il proprio bagaglio emotivo.
La potenza dei personaggi, inoltre, è uno dei punti di forza di questa incredibile serie tv. Se BoJack è l’anima della serie, i personaggi secondari ne sono il cuore pulsante. Essi sono molto più che semplici supporti alla narrazione principale: ognuno di loro ha un arco narrativo complesso che offre prospettive alternative alla crisi esistenziale del protagonista. Basti pensare ai personaggi di Todd o Mr. Peanutbutter: inizialmente relegati a ruolo comico, si rivelano, nel corso delle stagioni, personaggi profondamente umani e sfaccettati. Ciò che rende BoJack unica è che ogni personaggio, principale o secondario, ha una storia degna di essere raccontata. Essi arricchiscono la serie con le loro esperienze, i loro traumi e le loro vicende personali.
Insieme, creano un caleidoscopico ritratto dell’umanità, fatto di fragilità, errori e speranza.
Se da un lato la profondità dei temi trattati è stato un punto di forza, dall’altro la serie è stata talvolta criticata per il suo “tono didascalico”. I monologhi tra BoJack e Diane, per esempio, benché potentissimi ed emotivamente devastanti, rischiavano di diventare inutilmente delle prediche, perdendo l’equilibrio tra l’ironia e la profondità emotiva che contraddistingue i migliori momenti della serie. Alcuni episodi, infatti, spiegano troppo apertamente i temi o le emozioni dei personaggi, privando il pubblico della possibilità di interpretare e riflettere autonomamente. Un approccio che in alcuni momenti è parso artificioso, come se la serie non si fidasse della capacità di noi spettatori di cogliere i sottotesti. Inoltre, in alcuni momenti la serie sembra voler insegnare una lezione morale in modo troppo palese, rischiando di essere percepito come una predica piuttosto che come un invito alla riflessione.
Insomma, oggi, a distanza di quasi 5 anni dalla fine della serie, possiamo affermare che BoJack Horseman non è perfetto.
Ma è proprio per questa sua imperfezione che lo rende drammaticamente umano. È una serie che ha avuto il coraggio di essere sincera e onesta, di scavare nei meandri delle emozioni umane senza offrire risposte semplici. Ha ridefinito ciò che ci aspettiamo dalla televisione, sia in termini di contenuti che di emozioni. Anche a distanza di anni, le sue domande risuonano nella nostra testa: possiamo cambiare davvero? Possiamo perdonarci? E, soprattutto, possiamo realmente essere felici? Forse non abbiamo tutte le risposte, e probabilmente non le avremo mai. Ma BoJack Horseman ci ha insegnato che va bene così.