Renè Ferretti, l’appeaser, il paciere, il conciliatore, quello che cerca di metterci sempre una pezza, di ricucire ogni strappo. Se, come no. Ferretti, la vecchia volpe Ferretti, ha quel viso un po’ pacioccone che delle volte fa anche tenerezza. Ha sempre la parolina giusta da tirar fuori per spronare i suoi attori bisognosi di attenzioni. Ammansisce e blandisce per cercare di portare a casa la giornata. Ma quando sta per incazzarsi, lo capisci subito. Le guance iniziano a gonfiarsi, gli occhi a roteare in maniera un po’ anomala, il viso a contorcersi pericolosamente, una specie di vulcano pronto a sparare fuori lava dappertutto. In Boris c’è uno stato di allerta, una sorta di Defcon2, oltre il quale è sempre meglio non spingersi. Il problema è che nessuno se ne accorge mai in tempo. Così, ogni tanto, René Ferretti sbotta.
E quando succede, è pura magia. Quella che ti fa amare davvero Boris.
Perché René è uno che ha tante belle idee che gli ronzano in testa, ma che alla fine vanno a sbattere sempre contro un muro di superficialità e pressappochismo. Si spiaccicano sui vetri incrostati di una realtà che celebra il mediocre e si accontenta del dozzinale. E lui, il vecchio René Ferretti, si adagia, con quel senso di distaccata rassegnazione che lo tiene con un piede dentro e con un piede fuori dal caotico mondo di Boris. Passa tre stagioni ad abbozzare, come un vulcano a riposo. Poi lo vediamo salire a bordo di un motoscafo, mezzo ubriaco, pronto ad assaltare il fortino in mezzo al mare degli sceneggiatori de Gli occhi del cuore. Al grido di “pezzi de m***a”. Un eroe della banalità che ogni tanto si prende la sua rivincita.
Un personaggio carismatico, René Ferretti. Un regista che sopporta e lascia correre, ma senza esagerare. Perché poi, quando si incazza, si straccia le vesti e dà il meglio di sé. E il meglio del maestro Ferretti è un assolo di batteria in un mondo di musica commerciale. O meglio, un bel coro da stadio nel bel mezzo di un festival di reggaeton.
Vediamole, dunque, le cinque peggiori (migliori) sfuriate di René in Boris.
5) “Gli americani c’hanno rotto er c***o”
In uno dei primi episodi di Boris, sul set de Gli occhi del cuore arriva Gioacchino Pané (Pietro De Silva), collega di René che ha lavorato negli Stati Uniti accanto a Stanley Kubrick. René, preoccupato del giudizio dell’amico, prova ad iniziare la giornata all’insegna della qualità. Qualità o morte, va ripetendo. L’esatto contrario della filosofia delle cose alla c***o de cane a cui tutti sono abituati.
Il problema è che il materiale che si ritrova tra le mani non gli consente di fare il grande salto artistico. Pané intanto scruta con occhio indagatore tutto il set, stando sempre col fiato sul collo di Ferretti. Che dopo l’ennesimo ciak con la De Silvestri, un’attrice mediocre ingaggiata solo per fare un favore all’influente marito, non regge più. E sull’appunto del puntiglioso Pané, sbotta che è una meraviglia:
Questi che vengono dall’America e vogliono insegnarci come fare il nostro mestiere ci hanno rotto er c***o!
Tié. E metti pure il ketchup sulle fettuccine che noi qua, intanto, ricominciamo a fare le cose come si deve: a c***o di cane.