Ha un berretto di lana con scritto “asshole” e una tuta da elettricista che non sembra cambiare davvero mai. Magari non è il bello e impossibile dal sapor mediorientale della Nannini ma a qualcuno piace. Perché Augusto Biascica a casa ha una moglie e due figli, ma con poche domande sa come far cadere le donne ai suoi piedi. Basta un’orata all’acqua pazza (o all’acqua calda) e due pachino. In fondo si sa che il fascino dell’uomo rozzo può comunque avere il suo perché. E Boris ce lo ricorda con il più entusiasta dei suoi tecnici di set quando è tempo di girare Gli Occhi del Cuore “all’olandese”.
E per fortuna che non è retrosessuale! Sennò vedi come pure gli schiavi del set ci restavano sotto come la truccatrice, con quel fascino da maschio alpha. Dice lui.
Anche se, ammettiamolo, magari tutti i torti non ce li ha. Perché in fondo Biascica in Boris rappresenta esattamente quello: la voce del popolo. Di quello più ruspante e verace. L’italiano medio, con una vita media, in mezzo a fantomatici o veri artisti. Il maschio di una volta, carico di una buona dose di mascolinità tossica da una parte e valori popolari dall’altro. Quello che lavora sodo per portare il pane a casa ma non disdegna di tornare a respirare un po’ di libertà e giovinezza con la bella collega.
In altre sedi potremmo piantarci una grana infinita su un tale personaggio. Specie in tempi in cui l’abbattimento del patriarcato che ha dominato la cultura di massa dall’alba dei tempi rappresenta un tema clou. E forse dovremmo, approfittando proprio del personaggio che vogliamo analizzare oggi (qui potete trovare l’analisi di un altro protagonista). Ma la verità è che con Biascica non ce la facciamo a essere troppo critici. O a prenderlo troppo sul serio. E forse il suo problema è stato proprio quello.
Gli sceneggiatori di Boris anche in questo caso sono stati dei veri artisti. In grado di creare un legame tra caratterizzazione del personaggio e percezione da parte dello spettatore raffinata quanto la stessa sceneggiatura di Boris.
Perché così come a noi risulta difficile prendere sul serio Biascica senza citare almeno 3-4 delle sue più celebri battute nel giro di 5 minuti (e riderne a crepapelle), così si sostanzia la caratterizzazione del suo personaggio nel contesto in cui è inserito. Biascica è per definizione uno che non dev’essere mai esser preso sul serio dal resto dei protagonisti della storia. Paradossalmente neanche quando si arrabbia.
E infatti uno dei suoi più famosi “sbrocchi” – consistente per lo più in una raffica di bestemmie – dà vita a una delle più esilaranti gag di Boris. Ossia la “sanzione” di 20€ per ogni bestemmia detta sul set da cui nasce la celeberrima massima del “do tu des”. Per non parlare del “rapporto equo e solitario: nun me paghi? Almeno famme bestemmià!”
E tutto questo al fine di porre l’accento sull’amara verità che si cela dietro la parabola di Biascica: ovvero quella dell’invisibilità dell’operaio. Di quello stesso italiano medio. Dell’uomo semplice, che non può e non deve crollare. O lamentarsi. Che lavora, lavora sodo, tutto per la famiglia, o per se stesso, ma dandosi sempre da fare onestamente. O magari non troppo onestamente, con i cavi non a norma del set di cui è responsabile. Ma lo fa nei limiti dei poteri e degli strumenti che possiede. E di cui avrebbe dovuto esser dotato da qualcuno ben più in alto di lui.
E allora si arrabbia, urla, bestemmia e pretende che ciò che gli è dovuto gli sia dato. Ma in un paese in cui la relazione tra le due cose non è né automatica né scontata in moltissimi casi, l’operaio invisibile non è più qualcuno che chiede ciò che gli spetta di diritto. Ma è solo un “rompipalle che pretende”, finendo per dar persino fastidio.
Non è forse fastidio quello che vediamo sul volto di Lopez quando già nel primissimo episodio di Boris Biascica gli chiede degli “straordinari di aprile”? Non è fastidio da tipico scaricabarile (ma nemmeno troppo, come vedremo) quello che percepiamo nelle risposte di Sergio quando Biascica chiede che ciò che gli è dovuto per il lavoro extra gli sia pagato?
Per noi è solo una gag dai toni amari intrisa di neorealismo. Ma pensandoci con serietà, quanto è triste la parabola di Biascica? Quanto è devastante “ridere” al pensiero di come veritiero sia il quadro delineato da Boris con le vicende raccontate attraverso Biascica. Quelle con cui scopriamo, tra una battuta e l’altra, di cos’è fatta la vita di un operaio. In questo caso un operaio che potrebbe perfino essere un privilegiato. Al servizio diretto di un’industria ricca, vicina a una buona copertura mediatica, fatta di persone che avrebbero il potere di influenzare – o sensibilizzare – la gente con la loro popolarità.
Boris per farci ridere ci dice che può essere una vita fatta di cameratismo tra colleghi e qualche scappatella. Ma è una vita fatta soprattutto di lotte. E non nel senso romantico del termine.
Lotte con superiori di diversi dipartimenti che si scaricano responsabilità a vicenda. Lotte con i sindacati, con la CGIL, con chi dovrebbe mettersi al sicuro e invece se ne frega. È una vita in cui un uomo più o meno spensierato e mediamente stabile può ritrovarsi dallo psicanalista senza neanche saper come. A cercare de farse guarì ‘a capoccia da problemi che non sa neanche che forma abbiano.
La storia di Biascica che cerca di guarire dal suo malessere sconosciuto è forse una delle cose più geniali viste in Boris. Una metafora perfetta, meravigliosamente costruita, della tragedia silenziosa che attanaglia con spaventosa regolarità un gran numero di persone rappresentate dal personaggio di Biascica. Chissà quanti, nell’Italia dei nostri giorni, sono attanagliati da malumori, mal di testa, magari vertigini, e/o qualsiasi sintomo possa essere ricondotto ai problemi di “stress” di cui la società moderna tanto si riempie la bocca.
In tanti saranno andati dallo psicologo, come hanno fatto Biascica e quel suo amico che a un certo punto della sua vita non riusciva a smettere di piangere. E magari se ne sono pure vergognati, perché nell’Italia di oggi andare dallo psicologo è ancora un tabù. Qualcosa che fanno i “malati”.
Quella di Boris, a ogni modo, è anche una simpatica frecciatina alla classe degli psicoterapeuti che spesso e volentieri “medicalizzano” sintomi e pazienti troppo velocemente.
E allora finisce che persone “normali” come Biascica ripensano alla madre, al padre, ai problemi avuti con loro durante l’infanzia. La durezza, la severità un tempo tipica dei rapporti genitori-figli. E finiscono magari per perder tempo a “estroiettà tutto”. A cercare un modo di dar sfogo ai propri pensieri e a quelle emozioni che raramente prima si esprimevano. Che è una buona cosa, ma finisce per rivelarsi inutile quando si capisce che non è stata l’educazione severa la fonte dei propri problemi.
Ma che lo è un sistema che soffoca il pesce più piccolo per ragioni che ormai nemmeno capiamo più. Che i problemi di un uomo semplice come Biascica non sono il padre o la madre, ma gli straordinari d’aprile! La metafora di tutto ciò cui un operaio semplice avrebbe diritto: lavoro regolare, serenità, sicurezza. Semplicemente quello che gli spetta. Ciò che gli spetterebbe senza dover chiedere e finanche pretendere, snervandosi solo per finire con l’esser considerato persino una petulante scocciatura per i capoccioni.
Biascica, diciamocelo, non sarà uno che ha studiato poi molto. Non sarà un lord, e nemmeno un gran professore d’etica. Ma è un uomo onesto, semplice. Perfetta rappresentazione di tanti uomini comuni, padri comuni, troppo spesso dimenticati e sfruttati.
E la sua storia è la misura perfetta dello strazio silenzioso e spesso invisibile che affligge questa fascia sociale in un’epoca – quella moderna – in cui forse non ci accorgiamo più dei problemi di chi sta dietro le quinte. Su più livelli, in diversi settori, in svariate industrie. Biascica è quello che rappresenta quella frangia sociale per la quale le cose non sono mai cambiate troppo. Ma a noi interessa meno di quanto interessasse ai nostri padri magari.
Quella frangia popolare di cui, a seconda dei casi, magari ci divertono dialetti e battute, modi di fare e gesti. Salvo criticarli quando è tempo di fare i raffinati. Tutto per ricordarci che è la stessa frangia sociale che spesso e volentieri manda avanti la baracca Italia. E che “straordinari” o meno, dovremmo prendere sul serio andando oltre le bestemmie che ci fanno ridere.