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È la locura, René

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Con le sue pennellate irriverenti Boris ha dato vita a ritratti dotati di quell’accuratezza lucida e spietata a cui soltanto la satira di qualità può ambire. Tra i più riusciti c’è sicuramente quello della locura (che non a caso abbiamo annoverato tra i 10 momenti più geniali della serie), quel “quid” che René è invitato a ricercare per risollevare le sorti di Occhi del cuore, fiction con un buon seguito di pubblico ma bollata dal web come un prodotto superato. “È la locura, René, è la c***o di locura: se la acchiappi, hai vinto” prorompe lo sceneggiatore che ha il volto e la verve di un superlativo Valerio Aprea (l’esilarante terzetto di cui il suo personaggio fa parte ve lo raccontiamo qui). Ma a cosa deve ambire René esattamente? Che cos’è la locura vagheggiata in una delle scene più brillanti di Boris? Se dovessimo provare a sintetizzare il concetto, diremmo che la locura è una mentalità, un modus operandi, una strategia comunicativa tipicamente italiana.

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L’incipit fa riferimento a un fantomatico futuro da ricercare e da accorpare alla sceneggiatura.

Renato, svegliati: serve un qualche c***o di futuro!

A che cosa si pensa quando si parla di futuro? Verso cosa ci si aspetta che esso tenda? Il futuro, quello vero, è slancio, sviluppo, innovazione, superamento degli standard su cui il presente si assesta. È in questo che consiste, quindi, l’apporto che la locura dovrebbe dare al copione. In teoria. In pratica, la locura rappresenta l’esatto opposto. È “la cerveza, la tradizione, o m***a“, come la chiamerebbe René, ma condita da “una bella spruzzata di pazzia“.

Ed eccolo qui l’elemento che rende la locura una carta vincente: il travestimento, la finzione, la parvenza che si spaccia per una modernità di sostanza. Il futuro della locura è un’esca, un paravento, una veste scintillante che ha lo scopo di distrarre la mente. A indossarla è l’altro polo del progresso, quella tanto cara tradizione trasformata dai suoi sostenitori in un pretesto per continuare a tramandare simulacri, per restare aggrappati a ciò che è noto e sicuro, per espungere il nuovo dalla narrazione.

Se ciò che è grande è anche ciò che è in grado di restare eternamente attuale, basterà guardarsi intorno per cogliere la levatura della locura di Boris. A distanza di dieci anni dalla messa in onda dell’episodio che le ha dato i natali, la locura continua a palesarsi sullo schermo ogni volta che accendiamo la tv. È nell’involucro luccicante con cui l’intrattenimento riveste il catto-bigottismo, nelle goliardate innocue per cui vengono fatte passare volgarità e diseducazione, nell’umorismo intriso di stereotipi di cui la comicità si alimenta per far ridere.

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Qual è il reale contenuto di questi contenitori ben studiati? Che cosa celano “la simpatia, il colore e le pailettes” usati come stratagemma ornamentale? La risposta che viene fornita è di un realismo crudo e disilluso: la locura è il veicolo di un pensiero retrogrado e reazionario, di un moralismo fasullo, di un perbenismo che è un vizio e non di certo la virtù che si vorrebbe far credere. È, in due parole, “il peggior conservatorismo” che si presenta con un volto fintamente affabile, che sorride di un sorriso gentile dietro cui si nasconde un ghigno mellifluo. Mettendo questo conservatorismo dentro a una confezione esteticamente appetibile, la locura non fa altro che favorirne la diffusione.

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Poiché la realtà non si divide in compartimenti stagni, la locura non si riversa soltanto in questa incessante sfilata di brutture e vacuità, ma anche nelle forme pacchiane che talvolta assume la propaganda politica. E qui la locura si fa ancor più meschina e insidiosa, perché mira a ottenere consenso in quello che smette di essere pubblico per diventare elettorato e pretende di sostituirsi alla progettualità e all’impegno, alle qualità individuali e a tutti quei parametri che andrebbero assunti per misurare il merito. La locura è la bugia di chi ti fa credere di essere avanti quando in realtà è indietro anni luce, di chi si mostra vicino apposta per tenerti a debita distanza.

Possiamo quindi tornare alla domanda di partenza e fornire nuove e più mirate risposte: la locura è lo status quo che si mantiene identico a se stesso mentre simula il cambiamento, è il manifesto di un’ipocrisia becera e spudorata, è l’identikit socio-culturale di “un paese di musichette” che suonano incuranti “mentre fuori c’è la morte“.

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