Spesso e volentieri ci si trova a disprezzare qualsiasi prodotto televisivo italiano, alcune volte senza provare a guardarne uno specifico con la dovuta attenzione. Effettivamente, il panorama televisivo targato Rai e Mediaset ha prodotto una miriade di fiction parecchio discutibili. E di discutibile hanno un po’ tutto, a partire dai dialoghi al limite dell’incomprensibile per arrivare ad ambientazioni decisamente grottesche e passando attraverso cast diversamente talentuosi. È quindi facile rimanere stupiti quando ci si imbatte in quell’ago nel pagliaio in cui molti italiani hanno sperato e sperano tuttora. Una di queste eccezioni è rappresentata da Boris, serie prodotta dalla Fox, andata in onda dal 2007 al 2010.
Boris si fa amare fin dalla prima puntata, con una meravigliosa citazione. Il titolo “Il mio primo giorno”, infatti, è un chiaro omaggio a Scrubs il cui pilot è intitolato allo stesso modo.
Fin da subito capiamo che questa serie non ci proporrà i soliti argomenti politically correct a cui le fiction si prostrano tanto servilmente. Boris è costituita da tre stagioni di pura e sprezzante ironia. Ogni puntata è lo specchio dell’Italia con cui veniamo in contatto ogni giorno. L’ambientazione è quella di un set, ma è plausibile estendere le dinamiche a cui assistiamo nel corso della serie alla maggior parte degli ambienti lavorativi.
Boris narra del dietro le quinte della serie Gli Occhi del Cuore, una fiction inventata che, pur con i toni esasperanti della satira, rispecchia perfettamente la realtà delle fiction italiane.
Il protagonista principale è Alessandro, un ragazzo poco sotto i 30 anni, appena assunto come stagista. È umanamente impossibile non identificarsi in lui e nella sua condizione. Boris ci sbatte in faccia una realtà di precariato, purtroppo radicata, rappresentata proprio dal personaggio interpretato da Alessandro Tiberi. Iconica è la scena in cui il nostro protagonista firma un contratto che il produttore Sergio tiene subito a specificare essere “non proprio un contratto, più un’assicurazione” (episodio 1×02, L’anello del conte). In pratica l’azienda è tutelata mentre il lavoratore, in caso di infortunio (e di infortuni Alessandro ne subirà parecchi), non sarà tutelato in nessun modo. Inizialmente il ragazzo tenterà di lottare per ottenere qualche diritto, ma successivamente si abituerà a tal punto alla sua condizione da diventarne quasi assuefatto.
Alessandro rappresenta quei ragazzi che ce la mettono tutta per realizzarsi, ma la cui creatività e voglia di fare vengono puntualmente calpestate da un sistema lavorativo e da una mentalità corrotti e che fanno molta fatica a migliorare.
Un’altra figura che ci ha fatto innamorare di questo prodotto è l’amatissimo Renè Ferretti, ineccepibilmente interpretato da Francesco Pannofino. Renè è un regista ormai disincantato, anche se in fondo spera ancora di riuscire a girare qualcosa che si possa definire di qualità. Nel corso della sua carriera ha fatto monnezza, come lui stesso ammette, che è servita esclusivamente a sopravvivere. Quando nella terza stagione sembra finalmente ottenere la possibilità di girare Medical Dimension, lo spettatore crede nel progetto insieme al regista. Il volto espressivo di Pannofino ci fa sperare che il cambiamento è possibile, anche in questo paese.
Ed è per questo che ci si spezza il cuore quando il sogno va in frantumi.
Insieme a René capiamo che esistono forze superiori che non vogliono il cambiamento in questo paese, schiavo dell’ Auditel e del cattivo gusto.
Questa serie non si avvale di luoghi comuni, non lascia niente al caso e, cosa più importante, riesce a farci ridere e al tempo stesso riflettere. E ci manca perché è la dimostrazione che l’Italia è ancora capace di produrre prodotti di qualità che ridonerebbero valore artistico alla nostra amata penisola! Non resta che chiederci perché, in un paese in cui sono state prodotte ben 588 puntate di Incantesimo e oltre 5000 di Un Posto al Sole, non è possibile regalarci almeno un’altra stagione di una serie intelligente e controcorrente come Boris.