Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: luci di scena in fiamme smarmellate durante le riprese, ho visto le espressioni basite balenare nel buio davanti alla macchina da presa. E tutti questi momenti non andranno mai perduti nel tempo, come le attrezzature rubate da ‘i zingari o da ‘i rumeni’, ma rimarranno e si evolveranno con una nuova stagione di Occhi del Cuore. Ora, è tempo di tornare nella mia boccia di vetro. Chi sono io? Credo che lo avrete capito, ma state attenti a non sbagliare. Io, come il mio padrone, vengo da Fiano Romano capito? Io ve stampo ‘na pinna in faccia! Provate a entrare nella boccia d’acqua che c’ho la spatola, ve lo faccio vedè io chi sono e come mi chiamo! Capito? State attenti a come parlate. Io sono il pesce più famoso d’Italia, sono Boris.
Renè invece è un pezzo di pane, un uomo che insegue la sua passione di serialità e di cinema, un artista che insegue la sua utopia di Galeano. E a cosa serve questa idea utopica? L’ha detto un suo amico che lo ha aiutato nella realizzazione di Natale con la casta: a continuare a camminare. E così, io e Renato camminiamo assieme, come ha camminato con McEnroe, con Federer e con tutti i miei fratellini che non sono sopravvissuti a questo frullatore che è l’industria dello spettacolo in Italia (e nemmeno all’esplosione dell’acquario per colpa della coppia M***a+Schiavo). Il mio padrone in questo percorso si è trovato di fronte a raccomandati, attori molto italiani e collaboratori di dubbia moralità. Ed è per questo che ci amate tanto, per questo siete felici per il nostro ritorno (i miei amici di Hall of Series ne parlano qui).
Quindi stiamo per tornare, Boris sta per tornare.
E io sarò lì ad aspettarvi sopra lo schermo del regista. Da lì continuerò a vivere le sceneggiate di Stanis e ricorderò quelle del passato, che suonano quanto mai attuali. Ricorderò la sua mania di non essere troppo italiano, di studiare recitazione da Marcel Marceau, e questo è tuttora il problema più grande di molte serie tv italiane di oggi, che a forza di guardare oltre i nostri confini sono finite per perdersi totalmente. E poi vi ricordate di Martellone? BBBBBBUCIO DE CULO! Proprio lui, la cartina tornasole della comicità italiana ci ha lasciato la più grande profezia di Boris: oggi li fa tutti Favino. E da dentro la mia boccia di acqua rimango F4 per quanto tutto quello che ho vissuto sia incredibile.
Sì, perché l’acqua come ben sapete amplifica l’effetto ottico e ovatta quello sonoro. Sento parole sfocate, spesso però vedo nitidamente un uomo alto alto che chiede spiegazioni su dei soldi, li chiama “straordinari di aprile”. Non so bene cosa voglia dire, ma lo stesso uomo poi si sfoga con un povero ragazzo che tutti chiamano “schiavo”. Che strano nome, ho sempre pensato, e che strano modo di sfogare la rabbia. Il set mi ha insegnato anche questo, che quando si spengono le telecamere, quando la luce fa il suo giro, chi vi fa divertire e vi strappa una risata ha gli stessi vostri problemi.
Pensate ad Arianna e Alessandro, alla loro storia
“Se qualcosa può andare male, fidati, ci andrà” diceva un filosofo tanto amato dal Conte Mariano Giusti prima di scoprire la religione cristiana. E così è andata la loro storia d’amore. Le altre serie tv ci hanno raccontato che l’amore è un sentimento che cambia, che è cattivo ma poi diventa buono, ‘sto amore si trasforma, ‘sto amore è ‘na sinfonia, ‘sto amore questo, sto amore quello e invece ‘sto amore ‘sto ca*zo! Lo posso da umile pesce rosso? ‘Sto c***o!
Quella che vedo tutti i giorni non è una storia alla Occhi del Cuore, perché non è tutto facile come nelle fiction e nelle soap opera. Perché è vero, uno dei grandi meriti di Boris è che non ci sono toscani che con quel senso dell’umorismo da quattro soldi hanno devastato questo Paese. È anche vero che l’altro suo merito è raccontarci come stanno veramente le cose. Raccontarci che quando si piange, si piange da soli, in una macchina (qui trovate tutti i momenti che ci hanno spezzato il cuore). Spiegarci, strappandoci un sorriso, che bisogna avere gli agganci giusti pure per fare un lavoro umiliante.
I pesci come me hanno una grande qualità, anzi, due: osservano tutto e sono muti.
E quindi, durante tutto il tempo passato con Renato, Alessandro, Stanis, Corinna e tutto il resto della troupe ho capito una cosa: il nostro set è un campione di quello che è davvero il nostro paese, un microcosmo che racconta la realtà. Perché alla fine, quando le porte del teatro si chiudono, quando torno a casa insieme a Renè e lo vedo rimanere sveglio di notte, pensando alla sua giornata, capisco la grande verità di tutto quello che ho intorno. Proviamo, in alcuni casi, a sorridere per non piangere e questo è il grande merito della serie tv che porta il mio nome. Racconta il difetto più grande di questa Italia: un conservatorismo patinato da simpatia, colore e paillettes. Un paese di musichette, mentre fuori c’è la morte.