La sala è gremita. Tante facce note sono pronte a godersi lo spettacolo. Ai titoli di testa parte un applauso. Un applauso rincorso da una vita, che finalmente si tramuta in realtà. E a battere le mani c’è, in mezzo ai suoi due colleghi, Valerio Aprea, la versione televisiva di Mattia Torre. Presente, anche se non c’è più, in mezzo alle altre due versioni fittizie dei compagni di quello straordinario viaggio che è stato Boris. Poi il film parte, con le parole di Giuda che ammette di aver sempre voluto cambiare il mondo. E come un’eco, chi è seduto in sala non può non chiedersi: “ma un film può cambiare il mondo?” E la risposta è sì, perché il mondo ai suoi colleghi Mattia Torre l’ha cambiato. E pure a tutti noi col suo straordinario lavoro.
Conosciamo molto bene la parabola di Boris. Da serie ignorata a fenomeno di culto, oggi la fuoriserie è unanimamente riconosciuta come uno dei migliori titoli della produzione italiana e il merito è da ascrivere a diversi fattori. Tra questi, un posto di rilievo è occupato dalla straordinaria sceneggiatura, curata dal trio formato da Luca Vendruscolo, Giacomo Ciarrapico e dal compitissimo Mattia Torre. E per lui è quell’omaggio che abbiamo descritto sopra. Il suo fantasma che osserva la meraviglia realizzata da René Ferretti. Un po’ come sicuramente ha osservato la grandiosa quarta stagione, a lui dedicata e che senza di lui non sarebbe mai potuta esistere. E noi, come il pubblico in platea, non possiamo che battere fragorosamente le mani per omaggiare un autore che ha dato tanto alla serialità, ma che avrebbe potuto dare ancora molto di più.

Boris e la riscrittura della serialità italiana
Il 19 luglio del 2019 Mattia Torre è venuto a mancare. Strappato via da questo mondo da un tumore. Il demone dei nostri tempi. È stata una perdita enorme, che ci ha segnato nel profondo. Il suo retaggio consiste in una serie di grandissimi lavori, ma si traduce pure in un’eredità che ha continuato a fiorire pure dopo la sua morte. Nel 2021, ad esempio, è arrivato il David di Donatello per la sceneggiatura di Figli, ritirato da sua figlia. Un anno prima il regista Francesco Bruni gli aveva dedicato il suo film Cosa sarà, che tratta proprio il tema della malattia. E poi nel 2022 c’è stata la quarta stagione di Boris. Il momento di maggiore commozione, probabilmente, nel ricordo di questo autore straordinario.
La quarta stagione della fuoriserie (visibile, insieme a tutte le altre stagioni, su Disney+) è ricca di omaggi a Mattia Torre. Ma c’è un senso più profondo in questo citazionismo, che va oltre l’affetto, la riconoscenza e tutti i valori che ovviamente si rintracciano nella dedica fatta all’autore. La presenza di Mattia Torre sotto forma di fantasma era necessaria perché, pur realizzata in assenza dello sceneggiatore, la quarta stagione di Boris è figlia del suo lavoro (qui trovate la recensione della stagione). Di quel lavoro eccezionale fatto con gli amici Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico. Abbiamo amato la quarta stagione di Boris perché ha saputo rimanere se stessa. Recuperare e perpetrare quell’identità che Mattia Torre ha plasmato a creare.
Proprio riguardando Boris, ci rendiamo conto del contributo eccezionale che la serie tv ha dato all’intera serialità italiana. La costruzione di una satira talmente totalizzante da arrivare a essere pure satira di se stessa. Una meta-parodia che racconta la televisione, tramite la televisione, prendendo in giro la televisione. E questa straordinaria capacità che ha Boris di parlare di se stessa attraverso il filtro della satira è evidenziata proprio dalla presenza in scena, dalla prima alla quarta stagione, dei tre sceneggiatori. Come le migliori parodie, quella di Boris è di un‘intelligenza unica. Raramente rintracciabile in altre opere.
Mattia Torre, Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico oltre Boris
C’è stata vita, poi, oltre Boris. Mattia Torre si è formato nel mondo del teatro. In quel fervido e stimolante ambiente romano e qui la sua strada si è intrecciata con quelle degli altri due autori. E non solo, perché ad esempio nel 2003 ha lavorato a un monologo teatrale dal titolo In mezzo al mare proprio con Valerio Aprea. Il suo fantasma. Che giri a volte che fa la vita. A ogni modo, questo background è prezioso sicuramente per plasmare quella che poi sarà la realizzazione di Boris. Il culmine, con tutta probabilità, di un percorso sempre in ascesa.
Boris ha fornito una vetrina preziosa, che poi ha condotto al grande schermo. Col film della serie, certo, ma soprattutto con uno dei titoli più interessanti di quel periodo: Ogni maledetto natale. In quello che è un lavoro che, almeno sulla carta, aderisce a uno dei generi più battuti della commedia italiana, i tre autori, ancora una volta, mischiano le carte in tavola. La commedia natalizia diventa l’occasione ideale per delineare un ritratto spietato che va a colpire con forza tutti quei temi cari al genere. Le differenze sociali inconciliabili. Le tradizioni messe in ridicolo. La stessa commedia natalizia viene ribaltata (un po’ come accaduto per la fiction con Boris), togliendole tutti quegli orpelli sentimentalisti che di solito pervadono il racconto, e dando spazio a una realtà molto più grottesca, ma forse, allo stesso tempo, molto più reale.
Ogni maledetto Natale si concilia con Boris nel parodiare con intelligenza un qualcosa che tutti amano, ma che in pochi intendono vedere per quello che è. Il natale, un po’ come la fiction, possiede dei codici di racconto tanto sedimentati da oscurare l’effettiva resa. E il ribaltamento di questi codici, con conseguente rivelazione di questa effettiva resa in cui poi molti, in fin dei conti, si ritrovano, è possibile solo tramite un lavoro intelligente. Ancora l’intelligenza, il segreto di ogni sana decostruzione. Ciò che impreziosisce la risata, rendendola pure un momento formativo.

La Linea verticale, il “testamento” di Mattia Torre
Abbiamo finora voluto ripercorrere il lavoro di Mattia Torre dando spazio soprattutto al connubio con Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico. Un po’ perché siamo tutti figli di Boris, e non possiamo fare a meno di pensare a questi tre grandi autori come un corpus unico. Un po’, però, anche perché a emozionarci è stata proprio questa unione tra i tre, evidenziata nella quarta stagione della fuoriserie, e per omaggiare Mattia Torre ci sembrava giusto legarlo ai suoi due compagni di viaggio. Ora, però, dobbiamo un attimo allontanarci da questo trittico della meraviglia e tirare fuori Mattia, per parlare di una serie tv straordinaria, che forse anche più di Boris riesce a essere il manifesto della grandezza dello scrittore.
Stiamo parlando de La linea verticale (serie passata in sordina, ma che ultimamente ha finalmente ottenuto maggiore visibilità). Un’opera totale, scritta e diretta da Mattia Torre. Tratta da un suo libro. Insomma, c’è un livello di personalismo incredibile nella narrazione, che si può rintracciare pure nella materia narrata: le vicende di un uomo affetto da un tumore a un rene, in un reparto di urologia oncologica. La meraviglia di questa serie sta nel constatare come, anche nell’affrontare la tematica più dura, Mattia Torre non abbia perso il suo splendido sguardo.
La satira rimane pervadente ne La linea verticale, animata da un tono grottesco e surreale, che mescola alla perfezione il drama e lo humor. È impossibile non guardare la serie con la consapevolezza del beffardo destino a cui è andato incontro l’autore. E proprio in virtù di ciò non possiamo non constatare, ancora una volta, la straordinaria intelligenza della sua scrittura. La linea verticale rimane oggi una serie unica, capace di raccontare in maniera ancora una volta unica una tematica spaventosa, resa più affrontabile grazie a quello sguardo ironico che Mattia Torre ci ha regalato nel corso di tutta la sua carriera.
Abbiamo voluto ricordare Mattia Torre perché ci ha dato davvero tanto. Oggi parliamo molto di golden age della serialità italiana e questo momento d’oro passa senza dubbio dal lavoro dei grandi scrittori. Mattia Torre è stato uno di questi. E nonostante oggi non ci sia più, la sua lezione prosegue, cristallizzata nello spazio da quegli omaggi dei colleghi e da tutto l’amore di un pubblico che ha amato le sue opere. E che ne avrebbe volute vedere molte altre.