A seguito dell’ennesima, ordinaria, giornata grigia nella filiale della Dunder Mifflin Paper Company di Scranton, l’impiegato Jim Halpert è sull’orlo di una crisi di nervi. La noiosa vita da ufficio, fatta del costante rumore della stampante che si inceppa puntualmente, dei tasti digitati sui polverosi computer e delle innumerevoli ore passate davanti allo schermo, inizia a star stretta. Il personaggio della sitcom NBC The Office ha raggiunto il proprio limite di sopportazione. Si era rivolto all’impresa cartiera per mera sussistenza, e per diverso tempo l’impiego gli ha permesso la sopravvivenza e la possibilità di togliersi anche qualche ludico sfizio. Ma ogni cosa ha una fine, e al termine della giornata Jim Halpert torna dopo diversi anni a ripensare a quella che era la sua vera vocazione da giovane: il cinema, una passione coltivata da autodidatta ai tempi del college, ma messa da parte per un futuro più solido e stabile.
Ebbene, ora che Jim Halpert ha passato diversi anni della propria soporifera esistenza a lavorare per la Dunder Mifflin di Scranton, i soldi che è riuscito a risparmiare gli permettono di mettersi finalmente in gioco e tentare un salto nel vuoto che possa scuoterne l’esistenza.
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Intimorito, a bocca aperta e dallo sguardo perso, sognante, attonito, Jim riesce finalmente a esperire nel concreto quel sogno prima tanto lontano. Si sente finalmente al posto giusto nel momento giusto: il luogo in cui la magia viene creata. Un sogno a occhi aperti interrotto dalla voce gracchiante del buon vecchio René Ferretti: «Dai, Dai, Dai, AAAAAAAzione!».
Jim Halpert è riportato a terra con un primo cinico contatto con quello che è probabilmente il contesto di lavoro più frenetico, eccentrico e cinico del panorama televisivo italiano. Se la Dunder Mifflin diretta da Michael Scott sembrava fuori controllo e strampalata oltre gli ordinari limiti di un’industria cartiera, il set de Gli Occhi del Cuore 2 va oltre ogni sua umana aspettativa. Alla ricerca di Arianna, l’assistente alla regia che l’ha assunto in una situazione disperata in cui il nuovo stagista ha dato forfait all’ultimo, Jim si scontra con il burbero Biascica che alla sua richiesta di aiuto e informazioni risponde caldamente con:
Prima de tutto: de che squadra sei?
Senza sapere che a Scranton il calcio non è proprio di tendenza. Al tentativo di controbattere in un modo vagamente interessante, col suo italiano dal livello scarnamente basso, Jim non può che beccarsi il primo vaffanc*lo della giornata, il primo francesismo di tanti. Alla quale il personaggio risponde sempre silenziosamente col tipico sguardo in camera con la quale è solito a raccontare tutto il suo implicito disagio.
Nel giro di pochi istanti, l’industria dell’intrattenimento si mostra per come è realmente: il set di Boris non è di certo come se lo immaginava Jim Halpert, e i cinici personaggi con la quale si trova ad avere a che fare non sono semplici da affrontare. Ecco che spunta Arianna che con uno sguardo gelido non gli da nemmeno tempo di presentarsi.
Primo: Tu non parli se non interpellato, mai. Secondo: Se ti dico di fare una cosa, tu la fai e basta. Terzo: Tu non sei lo stagista di regia, sei una macchina, sei una scheggia, sei un furetto. Se non ti sta bene, te ne vai.
Jim non è neanche sicuro di aver capito bene. Nel dubbio rimane fermo, in silenzio e in attesa di ordini. Ma, nel giro di pochi secondi, il vuoto cosmico dei pensieri che lo assillano viene interrotto dall’arrivo della vera star di Boris: Stanis La Rochelle. «Appena posso la mollo ‘sta serie», esordisce il mancato divo hollywoodiano. Nell’omaggio ipocrita al lavoro minuzioso e da veri artigiani degli operatori del set, Stanis impone sin da subito la sua ingombrante personalità sul luogo di lavoro. Il suo occhi di falco per le anomalie e il suo fiuto per tutto ciò che è angloamericano, lo conducono subito verso il nuovo arrivato.
E tu chi c*zzo sei? Non mi interessa, tu da oggi in poi ti chiamerai Tonno.
E anche quando Jim pensava quanto meno di essersi lasciato alle spalle gli irritanti soprannomi di Andy Bernard, le cose non potrebbero che andare peggio. Quanto meno è a migliaia di chilometri di distanza dal fastidioso e competitivo Dwight Schrute. Nonostante il karma sembri aver appositamente incarnato Stanis La Rochelle come compenso e corrispettivo italiano. Ed è proprio per questo che Jim Halpert ha un click istantaneo e individua immediatamente nel divo de Gli Occhi del Cuore la proprio valvola di sfogo. Come Dwight Schrute è stato negli anni la vittima principale dei geniali scherzi silenziosi e infami di Jim, il carattere scomodo di Stanis, che sembra peggio persino di Dwight e Michael messi insieme, merita decisamente qualche scherno.
Nonostante Stanis sia comunque estremamente interessato alle energia positiva e al contributo internazionale che Tonno può apportare alla produzione della seconda stagione de Gli Occhi del Cuore (che forse è un po’ troppo italiana), il nuovo stagista mette in atto la sua personale vendetta. Tra un «Thank you for being so not italian» e l’altro, La Rochelle trova il suo cellulare infilzato in una maleodorante e appiccicosa gelatina verde. Il disgusto e l’affronto sono totali per un attore del suo calibro, che opera in capolavori televisivi che strizzano l’occhio alle produzioni angolamericane.
E’ guerra. Con lo scherzo, Jim Halpert ha ufficialmente firmato la sua condanna a morte nel set di Boris.
Stanis lascia infuriato, basito, il set e le riprese non possono andare avanti. Il disilluso René Ferretti è lasciato allo scoperto e una giornata intera di lavoro è mandata all’aria. La prima di tante. Il modo di operare a c*zzo di cane non si sposa bene con la vena e vocazione cinematografica di Jim Halpert. Lui, che sognava Kubrik e Fellini, è finito col Roberto Saviano della fiction italiana, pur non sapendo nemmeno chi diamine sia Roberto Saviano. E, visto che al male non c’è mai fine, il povero stagista non ha nemmeno avuto l’onore di incontrare Favino, che ormai sembra fare tutti i ruoli, persino quelli statunitensi. Rimanendo dunque intrappolato in un set fuori controllo e spregiudicato che è persino capace di fargli rimpiangere i folli colleghi Dwight Schrute, Andy Bernard, Michael Scott e tutto l’amplesso di stralunati, ordinari, individui che operano nella statica filiale di The Office. La Dunder Mifflin non era poi così male, e il sogno per il cinema necessità sicuramente una corazza ancora da formare per l’inesperto e ambizioso Tonno.