Vi è nel mondo un’ampia fascia di artisti forti di un dono naturale: quanto più li si conosce tanto più li si apprezza. Un degno rappresentante del mondo seriale appartenente a questo paradiso artistico è Vince Gilligan. Regista che dai primi timidi passi compiuti dietro la macchina da presa di X-Files ha firmato nell’arco di un decennio opere che hanno segnato il mondo della televisione al punto da cambiarlo per sempre. Ma l’aver scritto e diretto serie eccelse come Breaking Bad e Better Call Saul rispecchia quella che è solo una pallida rappresentazione della profondità della sua poetica.
Perché tanto Breaking Bad quanto Better Call Saul non si limitano a rimarcare quella che è – al netto di tutto -un’enorme polemica sociale incorniciata da una raffinatissima tecnica.
Entrambe scavano nell’animo umano. Lo fanno percorrendo un cammino ai cui bordi scorre un fil rouge sempre più evidente nella poetica di Vince Gilligan. Il compromesso morale. Un tassello fondamentale della struttura umana, delineato con raffinatezza e incredibile versatilità dal regista attraverso le diverse evoluzioni di personaggi spesso agli antipodi tra loro.
Ogni protagonista di Breaking Bad e Better Call Saul si può dire al centro di un’evoluzione che vede il compromesso morale motivo centrale della sua narrazione. In un modo o nell’altro. Persino molti dei personaggi secondari lo sono. E questo ha permesso allo sceneggiatore di affrontare la questione da più punti di vista, delineando un quadro generale che include genesi, evoluzione e conseguenze di diverse tipologie di compromesso morale.
Il risultato è un racconto coerente e armonioso al centro del quale possiamo cogliere la vera umanità dei personaggi rappresentati, ovvero quella in cui convivono virtù e demoni di un essere umano.
Partendo dalla serie madre dell’universo di Vince Gilligan – Breaking Bad – ci siamo imbattuti in personaggi che ci hanno mostrato la complessità del loro compromesso morale mostrando questo concetto da diverse angolazioni. Dettaglio importante se consideriamo quanto questo sia stato protagonista della serie almeno quanto Walter White.
Nel caso di quest’ultimo – ad esempio – la sua genesi vede un interessante fattore di innesco: la scoperta di avere un cancro. Cosa che unisce alla reale preoccupazione per il futuro della sua famiglia una rinnovata visione della vita. Nel caso di Walt abbiamo un esempio di compromesso morale che nasce dalla disperazione, dalla sensazione di non aver più nulla da perdere. Che si nutre col tempo dell’evidente sensazione di sporgersi oltre il bordo della vita, a un passo dalla caduta. E l’evoluzione che trasforma quello è stato solo all’inizio un genuino compromesso morale in un irreversibile processo di corruzione, è storia.
Ma se la corruzione morale che ha trasformato Walter White in Heisenberg affonda le sue radici in quello che è in fin de conti un terreno fertile – la reale natura di Walt – diverso è il discorso per Skyler. Anche la tanto odiata moglie del protagonista di Breaking Bad si ritrova a fare i conti con la disperazione e la necessità di proteggere la sua famiglia. Ma a differenza del marito non ha modo di scegliere che strada imboccare. Si ritrova dinanzi al fatto compiuto a optare per la strada apparentemente meno traumatica, mantenendo in tasca tuttavia un più che comprensibile potenziale d’errore.
E infatti non mancano conseguenze dovute proprio agli errori di valutazione nella vita di Skyler. Quando la perfetta madre di famiglia si ritrova a gestire un consorte malato e trasformato in chissà chi, e milioni di denaro sporco da riciclare.
Disperazione sì, è quella che guida Skyler, ma non quella da shock, che nasce dalla consapevolezza della malattia e di una morte imminente, bensì quella da soffocamento. Tipico di un animale in gabbia. Il compromesso morale di Skyler è quello dell’essere umano prigioniero di se stesso e della sua vita. Di una silente violenza domestica travestita da attenzione al suo futuro. Della paura, per se stessa e per i suoi figli, che la situazione possa sfuggire di mano. E allora il compromesso nel suo caso nasce dal desiderio di controllare ciò che è potenzialmente incontrollabile. Un ultimo straccio di potere in una tana pregna di paura.
Una corruzione morale un po’ scelta e un po’ forzata dall’esterno, com’è stato nel caso di Jesse Pinkman, che a differenza di Skyler ha tuttavia pagato il prezzo della sua fragilità e di una più invadente manipolazione da parte di Walter White. Perché se Jesse è all’inizio la rappresentazione dell’irresponsabilità più superficiale – a fronte della più pesante coscienza di Walt – alla fine è invece nient’altro che rappresentazione d’autodistruzione estrema. Ovvero causa e conseguenza del suo personale compromesso morale: quello che lo ha reso vittima di se stesso e delle sue azioni.
Jesse Pinkman rappresenta in Breaking Bad forse l’emblema della forza distruttiva che può scatenare un compromesso morale preso sotto gamba e sfuggito di mano.
La forza autodistruttiva che lo governa viaggia a una potenza crescente che nel corso delle stagioni finisce per consumarlo, falciando senza pietà anche chi si trova nel suo raggio d’azione. Come Gale Boetticher, che in questo senso – in Breaking Bad -rappresenta il compromesso razionale. Non la corruzione morale, non il risultato di una manipolazione esterna o della più umana disperazione. Solo il razionale pensiero che porta a prendere decisioni come tante altre, seppur meno comuni.
Come quella di mettere le sue conoscenze al servizio del mercato della droga. Quello in cui dal suo punto di vista non vi sono altro che adulti alla ricerca di un prodotto, di un servizio come tanti altri. Lui è lì per dar loro la versione migliore, offrendo nient’altro che il corrispettivo di una normale domanda. Un compromesso che mette d’accordo i principi cardine della comune morale con una spietata razionalità a cui difficilmente si riesce a controbattere su due piedi.
E se dopo aver goduto dell’incredibile percorso di Breaking Bad si pensava che tale cammino narrativo fosse giunto a termine, è lì che Vince Gilligan ci ha mostrato come il meglio dovesse ancora venire.
E lo ha fatto con un’opera forse ancora più matura di Breaking Bad, Better Call Saul. Una serie in cui le sue capacità tecnico-narrative si affinano. Ai virtuosismi che gli abbiamo visto compiere dietro la macchina da presa infatti si sono uniti i percorsi evolutivi dei due protagonisti di questo spin-off che hanno reso ancor più chiaro come il compromesso morale fosse un importante fil rouge nella poetica di Vince Gilligan. E di come la sua presenza all’interno di questo universo narrativo sia forte quanto quello nella vita di tutti i giorni, del mondo in cui viviamo e della società che siamo.
Se la trama di Breaking Bad parte infatti da un pretesto narrativo che tutto sommato sa di finzione al punto giusto, Better Call Saul si innesta in un contesto molto più pratico e realistico. Uno molto più vicino al mondo reale. Quello che attraverso dinamiche fatte di intrecci socio-economici, emotivi e familiari trasforma un normale Jimmy McGill – appena sopra le righe – in Saul Goodman.
Un uomo che, presa coscienza di se stesso e del mondo attorno, ha semplicemente deciso di scendere a patti con la propria persona. Di seppellire la morale comune, e qualunque concetto di normalità omologata, per viaggiare sul filo del rasoio che separa appena appena il suo essere fondamentalmente una brava persona dal suo essere un po’ un mascalzone.
A differenza dei protagonisti della serie madre, quelli di Better Call Saul vivono un’evoluzione probabilmente molto più complessa, perché più umana. Fatta di piccoli tasselli che uno dopo l’altro portano a una trasformazione meno traumatica, ma forse più evidente.
Jimmy/Saul e Kim Wexler sono le due facce di una stessa medaglia. Entrambi esempio di come le dinamiche di vita possano influenzare in modo diverso le persone a seconda della loro indole. E come ciò possa portare a una trasformazione che sappia di corruzione morale definitiva e irreversibile – come fu per Walt – o di autodistruzione con cui poi dover fare i conti.
Accade così che Kim Wexler, all’inizio irreprensibile avvocata, legata a principi che sembravano fortemente ancorati al suo codice morale, “diventi il pericolo”, lasciando che la vita e le situazioni vissute – direttamente o indirettamente – la corrompano.
E succede invece che, come in Breaking Bad assistemmo alla graduale autodistruzione di Jesse, in Better Call Saul assistiamo a quella altrettanto inconsapevole di Saul: vittima del mondo, di suo fratello, delle mancate occasioni, sì, ma soprattutto di se stesso. Al netto di qualunque comprensione nei suoi riguardi che siamo riusciti a sviluppare nel corso delle stagioni.
Perché in fondo Vince Gilligan voleva mostrarci proprio questo: origini e ragioni della corruzione morale. Ma non per trovarne giustificazione, anzi. Bensì per godere di un’osservazione che ci desse modo di guardare il mondo nella sua complessità da un’altra angolazione, quella che ci fa capire le difficoltà di essere una persona sempre retta e corretta in un mondo corrotto fino al midollo.