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3 cose che nessuno ha il coraggio di dire su Breaking Bad

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Breaking Bad non è una serie tv, è un’esperienza di vita. Io stesso, qualche anno fa, titolavo così un articolo in cui dichiaravo tutto il mio amore per questa serie tv leggendaria, che a tutt’oggi – vari anni e varie esperienze televisive dopo – considero la mia preferita nonchè la migliore e più completa Serie Tv di sempre. L’amore però non deve accecare mai, nemmeno quando si tratta di serie tv. Ed è per questo che oggi ho deciso di mettere a nudo qualche difettuccio di una serie che viene considerata quasi intoccabile data la sua pressochè totale perfezione. Ma perfetta non è nemmeno Breaking Bad, ed è innegabile che ci siano alcune cose che siamo arrivati a perdonarle e ad altre – serie – forse non avremmo perdonato così facilmente. Gliele abbiamo perdonate perchè in fondo, impostando la soglia di sospensione dell’incredulità su livello medio, non sono poi così gravi. E gliele abbiamo perdonate, parliamoci chiaro, perchè è Breaking Bad. Cinque cose su cui Vince Gilligan e i suoi sono stati un po’ più approssimativi rispetto alla geniale e minuziosa costruzione di tutto l’universo di Walter White.

Chiariamo: ovviamente queste 5 cose non condizionano IN NESSUN MODO il giudizio complessivo della serie, che è un capolavoro probabilmente inarrivabile. Ma siccome nessuno è davvero impeccabile, ma se a non essere impeccabile è un rinomato capolavoro si tende a far finta di niente quasi per reverenza, ecco a voi 5 cose che nessuno ha il coraggio di dire su Breaking Bad,

1) Il Mistero mai risolto dell’avvelenamento di Brock Cantillo

Nessuno ha il coraggio di dirlo chiaramente, ma parliamoci chiaro: nel mistero dell’avvelenamento di Brock Cantillo qualcosa non ci è mai tornata. Nel finale della quarta stagione, Walter White si serve del bambino – figlio della fidanzata del momento di Jesse Pinkman – per ribaltare una situazione impossibile e, avvelenandolo, riesce a riportare Jesse dalla sua parte facendogli credere che sia stato proprio Gus Fring ad avvelenare il piccolo. In questo modo, Walt mette a segno una mossa importantissima per arrivare allo scacco matto che porterà poi all’uccisione di Gustavo. Gilligan, come sempre abilissimo, gioca con noi senza darci la certezza su chi sia effettivamente stato ad avvelenare Brock fino all’ultima scena della quarta stagione, quando inquadrando una pianta di mughetto – con cui si scoprì poi il bambino era stato intossicato – in casa di Walt, ci dà la certezza definitiva sul fatto che era stato proprio Heisenberg a compiere il fattaccio.

Tuttavia, non sembra ben chiaro come Walt abbia potuto fare: in una situazione così convulsa come quella in cui White aveva ormai Fring e i suoi scagnozzi alle costole, desiderosi di ucciderlo da un momento all’altro, riuscire a organizzare l’avvelenamento di un bambino dentro casa sua, senza farsi notare e senza destare alcun sospetto ne dalla madre, ne dal bambino, ne da Jesse e neppure dagli scagnozzi di Fring che lo perseguitavano, la riuscita dell’operazione appare abbastanza improbabile anche per un genio come Walter White. Uno dei tratti caratterizzanti di Breaking Bad è sempre stato la sua aderenza alla realtà: gli sceneggiatori ci hanno sempre mostrato come White riuscisse a tradurre in atti concreti dei colpi di genio improvvisi, spiegandoci sottilmente ogni cosa. Col mistero di Brock non è mai successo, e non basta inquadrare una pianta per farci ritenere soddisfatti.

2) Non basta uccidere il boss per smontare un Impero della droga

Gustavo Fring

L’eterna lotta tra Walter White e Gustavo Fring si conclude nella quarta stagione, con l’uccisione del secondo da parte del primo. Fin li’, niente da dire: White sfrutta un’alleanza lampo con Hector Salamanca e si approfitta di quella che probabilmente si era dimostrata fino a quel momento l’unica debolezza di Fring, compiendo un omicidio pirotecnico e narrativamente inappuntabile. Il problema, però, è quel che succede dopo. Di punto in bianco infatti, con la morte di Fring, si dissolve completamente anche tutto il suo Impero. Il comando passa a Mike Ehrmantraut che a un certo punto si rende conto, suo malgrado, che è meglio allearsi con Walter White piuttosto che affondare. Questa narrazione però ha un’aderenza alla realtà veramente discutibile: è impossibile pensare che un uomo potente a tal punto da poter andare a casa di uno dei più grandi boss del cartello messicano e sterminargli la famiglia senza che nulla accada, veda dissolversi tutto ciò che ha costruito dopo la sua morte.

Impossibile ancor di più per come avevamo conosciuto Gus Fring: un uomo di una precisione chirurgica, maniaco dei dettagli e della pianificazione. Uno che avrebbe dovuto programmare non solo quel che sarebbe successo dopo la sua morte, designando eventuali vice e successori di fiducia che avrebbero dovuto prendere le redini della sua organizzazione criminale, ma avrebbe dovuto programmare addirittura per le 3 generazioni successive del suo Impero. E non basta, come giustificazione, il fatto che altri pezzi dell’Impero di Gus fossero ormai finiti nel mirino della DEA: la sua organizzazione criminale avrebbe dovuto subire uno scossone, ma non dissolversi dall’oggi al domani. In questo caso, Breaking Bad ha sacrificato l’aderenza alla realtà sull’altare della spettacolarità: Walter White doveva essere il nuovo boss, e così è stato costasse quel che costasse.

3) E anche se bastasse uccidere il boss, non è così scontato che Walter White debba prendere il suo posto. Anzi

Breaking Bad Walter White (dì il mio nome)

Fino all’uccisione di Gus Fring, l’evoluzione criminale di Walter White era stata totalmente coerente e credibile. Da quel momento in poi, però, le cose cambiano. Walter era diventato criminale inizialmente per disperazione, cominciando da un’improbabile ma fruttuosa alleanza con l’ex alunno Jesse Pinkman e uccidendo qualche criminale di second’ordine qua e là senza farsi beccare. Le sue doti da fuoriclasse della chimica erano arrivate all’orecchio di Gus Fring, un boss di quelli veri, un imprenditore criminale che sin da subito ha percepito l’importanza di avere in squadra un elemento del livello di Walt che avrebbe fatto crescere gli emolumenti della sua azienda criminale in maniera esponenziale. Il fatto che quindi Walt diventi ricco in breve tempo e si trovi all’apice della scala criminale non è surreale all’interno di questo universo narrativo: è il chimico migliore d’America ed è protetto da una struttura organizzata al minimo dettaglio come quella di Fring.

L’ambizione però divora Walt che arriva a uccidere Gus per prendere il suo posto. Ed è qui che Breaking Bad fa il passo un po’ più lungo della gamba. Detto del fatto che è abbastanza surreale pensare che senza Fring, il suo Impero si ritrovi senza padroni, in una narrazione più aderente possibile alla realtà Walt sarebbe stato costretto quantomeno ad avere un confronto con chi stava appena dopo Fring nella scala criminale della sua cosca, e capire cosa farne del Professore che aveva ucciso il “Jesse James” della droga.

Non per forza Walt doveva finire morto dopo il regolamento di conti: data la sua importanza capitale nella produzione di metanfetamina, White sarebbe potuto rimanere a bordo, volendo esagerare anche con un ruolo più decisionale, ma mai e poi mai si sarebbe potuto prendere il posto di boss assoluto con quella estrema facilità. L’evoluzione di Walter White nella quinta stagione diventa quasi fumettistica: dal Say My Name pronunciato nel deserto davanti a criminali con vent’anni d’esperienza alle spalle all’arrivare addirittura a decidere chi vive e chi muore in un carcere facendo scoppiare una rivolta con una sola telefonata, è tutto decisamente troppo. Troppo rapido, e troppo esagerato. E infatti l’impero col solo White al comando crolla rapidamente: Walt è sempre stato più un genio dell’improvvisazione che della pianificazione pezzettino per pezzettino, e quando si trova lui a dover comandare tutto, non essendoci abituato, finisce con l’essere preda di se stesso, del suo egocentrismo e della sua scarsa attitudine in quel ruolo. Il finale col rapido crollo dell’Impero di White è quindi totalmente realistico, ma non è tanto realistica la rapidità con cui Heisenberg arriva a ricoprire quel ruolo: in fondo era solo un grande chimico con un annetto di esperienza criminale alle spalle, e pur con tutto il talento, il carisma e l’ambizione del mondo, diventare il boss criminale degli Stati Uniti d’America nel giro di due secondi non era una cosa in nessun modo plausibile.

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