*Attenzione, l’articolo contiene spoiler su Breaking Bad *
Il tema della dissoluzione morale contaminava la serialità, e il cinema, ancora prima dell’arrivo di Breaking Bad, avvenuto nel 2008. L’universo AMC (di cui la serie tv è figlia) è ricca di storie popolate da antieroi, da parabole negative e da conflitti morali shakespeariani che coinvolgono e attanagliano lo spettatore. Si è parlato tanto, tantissimo, del dilemma morale nella serie di Vince Gilligan che è stato rappresentato squisitamente sia dalla tecnica che dalla poetica. La lunga lista dei caduti, 269 morti complessive, in quello sconfinato campo di battaglia chiamato Breaking Bad ci mostra però che qui siamo oltre il compromesso morale. Siamo sconfinati in un territorio nuovo della narrativa seriale, una landa nemica dove ci hanno abbandonato senza darci scelta. Siamo caduti in trappola di un unicum, una serie tv che ha annientato ogni riferimento morale: in queste 269 morti non c’è moralità perché non c’è più umanità e il sollievo che gli schemi narrativi classici ci concedono di solito, svanisce. Le regole sono state annullate in funzione di un’aderenza sconcertante alla realtà, ma non si tratta della realtà sociale – quella governata dalle leggi stabilite dall’essere umano – bensì quella naturale, cioè quella governata dalle leggi stabilite dalla natura. Appunto, dalla chimica.
La chimica è, tecnicamente… la chimica è lo studio delle sostanze, ma io preferisco vederla come lo studio dei cambiamenti. Ad esempio, pensate a questo: elettroni, loro cambiano i loro livelli di energia; molecole. Le molecole cambiano i loro legami; elementi: si combinano e cambiano in composti. Beh, questa… questa è la vita, giusto? Cioè è solo… è la costante, è il ciclo: creazione e dissoluzione, poi di nuovo creazione poi ancora dissoluzione, è crescita poi decadimento, poi trasformazione! Ed è affascinante, davvero!
Breaking Bad annulla il dualismo bene-male
Sergio Leone, a cui la serie deve molto, ha acceso la miccia inaugurando una nuova versione di protagonista: l’eroe è diventato sporco, sudato e compie azioni non guidate dalla morale. In molti l’hanno abbracciata e altri l’hanno esasperata, ma Gilligan – forse senza rendersene conto – ha dato la sferzata finale. In cinque stagioni ha fatto irruzione una nuova dimensione narrativa che trascende la morale stessa, perfino quella laica. Una dimensione dove non c’è posto per il dualismo che, in un modo o nell’altro, pervade il pensiero occidentale e orientale, filosofico e teologico. L’idealizzazione e i caratteri stereotipati evaporano: scompaiono gli eroi, e con essi anche i buoni e i cattivi. Ogni azione, e dunque ogni morte, è stata funzionale all’evoluzione dei personaggi, ma ognuna di loro è stata liberata dal concetto di bene-male, di giusto-sbagliato, di vizio-virtù. Conosciamo fin troppo bene quelle storie in cui ci sono dei protagonisti e degli antagonisti e, sebbene diventi sempre più difficile, riusciamo sempre a individuarli. Abbiamo imparato che i buoni possono diventare cattivi, e viceversa. Abbiamo ascoltato storie di redenzione; di come i buoni possono smarrirsi e di come possono essere tormentati perfino da demoni e ombre. I protagonisti possono morire, ma il loro sacrificio non sarà mai vano.
Breaking Bad, invece, non ci regala nulla di tutto questo.
Perciò continua a tormentarci, a costringerci a scriverne e a parlarne anche a distanza di anni. Ci è impossibile accettare di non riuscire a riconoscere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato perché la dicotomia, tanto cara al pensiero razionale, è stata azzerata. Walter White rompe le regole e annulla tutto quello che davamo per certo. E così Breaking Bad diventa un saggio sul mondo naturale. Un mondo governano da regole che allo sguardo umano, il nostro, sembrano essere senza morale e governate dal caos. Una storia in cui i costrutti sociali, quelli che abbiamo edificato per proteggerci (come il concetto di bene-male) non esistono. L’arte, in particolare il cinema e con esso la serialità, ha sempre cercato di governare il mondo, di organizzarlo con regole che possiamo accettare o contrastare, perfino riscrivere, ma mai ignorare. Queste sono necessarie per orientarci all’interno della narrazione, a seguire ogni arco narrativo sentendoci sempre al riparo, e con il tempo abbiamo finito per interiorizzarle. E anticiparle, addirittura. Ma cosa succede quando entriamo in una zona grigia dove i riferimenti non esistono?
Walter White è buono o cattivo?
I am the one who knocks.
Walter White rompe le regole sociali e si uniforma a quelle che conosce alla perfezione, quelle che danno un senso alla sua vita, cioè quelle della chimica. Ecco che un uomo razionale, un uomo retto, un padre di famiglia e un professore, proprio come fa un elemento chimico, inizia un processo di trasformazione che segue delle leggi naturali e non più sociali. La società con le sue regole si sovrappone a quelle naturali. In fondo i concetti di bene e male sono radicati nel nostro cervello tanto che gli studi ipotizzano quanto questi abbiano una base biologica innata. Ma questa è una dimensione puramente umana, messa a punto nei millenni dal processo evolutivo per proteggerci da noi stessi e dalla natura, la quale sembra più una matrigna che una madre amorevole. Walter, trasformandosi in Heisenberg, inizia una parabola in cui l’inclinazione primaria segue le regole degli elementi chimici, cioè si adatta perennemente al cambiamento, a discapito di tutto. In questa nuova dimensione però le sue azioni (ai nostri occhi “umani”, deplorevoli) non sono né buone né cattive.
Già Nietzsche negava “il pensiero occidentale e i grandi valori della cultura, come la verità, il progresso, la scienza e la religione per la loro mancanza di fondamento e per la loro natura di mera finzione”; percepiva un “senso di vuoto” davanti alla scoperta che il mondo è un “caos irrazionale” e parlava della necessità di affermare “un uomo veramente uomo”, proiettato verso “altezze future” e “possibilità eterne”. Heisenberg diventa così una forza creatrice e allo stesso tempo distruttrice che si muove su un piano diverso da quello in cui viviamo e da cui continuiamo a giudicarlo. Lui si trasforma, lui diventa il pericolo perché diventa natura. Esattamente come scriveva Joseph Conrad in Cuore di Tenebra, potremmo dire che Breaking Bad ci affascina “come un serpente affascina un uccello” e proprio come succede nel romanzo, anche nella serie tv ci spostiamo nel cuore di tenebra, cioè in un luogo estraneo alla civiltà, in un luogo selvaggio, inquietante e originario.
Così, anche i parametri del nostro giudizio dovrebbero essere azzerati
Non ci viene chiesto di giustificare Walter nella sua evoluzione, ai nostri occhi, negativa. Ci viene chiesto solo di assistere: e questo ci angoscia. Esattamente come succede a Marlow in Cuore di Tenebra, anche la nostra sensazione è quella di una profonda insensatezza. In questa ottica tutte le morti provocate direttamente e indirettamente da Heisenberg, ma anche ogni altra “crudeltà” che capita ai personaggi, smettono di essere intrinsecamente buone o cattive. Quante volte abbiamo esclamato che quel personaggio “non meritava di morire”? Ma i concetti stessi di “meritare di vivere” e “meritare di morire” sono impalcature umane, culturali. Così come lo sono il concetto di morale, di etica, di sacrificio e di giustizia. Possiamo controllare le nostre scelte e quelle dell’altro solo quando tutti i partecipanti del gioco accettano di seguire le stesse regole, cioè quelle della convivenza sociale. Quelle che per millenni hanno garantito la nostra sopravvivenza al riparo dalle forze distruttrici della natura; quelle che ci hanno fatto entrare nelle grotte e poi edificare delle città. Con la trasformazione di Walter a elemento chimico – in Bromo e in Bario – siamo oltre il recinto, in un luogo ostile dove veniamo esposti continuamente al pericolo.
Dietro le azioni di Heisenberg non c’è più un pensiero umano
I could have saved her. But I didn’t.
La morte di Jane Margolis rappresenta uno dei momenti più scioccanti della serialità. Walter White non agisce. Avrebbe potuto girarla su un fianco, ma rimane deliberatamente immobile a osservare la scena. Jane era diventata un ostacolo nel suo processo di trasformazione, e gli ostacoli vanno eliminati. La carità e la pietà, del resto, sono concetti squisitamente umani, assenti in natura. Un uragano non ha pietà così come non ce l’ha un’onda che s’infrange su uno scoglio. Heisenberg, esattamente come una calamità naturale, agisce e provoca degli effetti che sono terribili, ma solo allo sguardo umano. Walter ha bruciato tutte le convenzioni e le costruzioni sociali, quelle che ci danno sicurezza e ci permettono di vivere al sicuro (per fortuna!). Il senso delle azioni di Walter ci sfugge, proprio come fanno quelle di Kurtz in Cuore di Tenebra, perché sono prive di senso: nel regno naturale non c’è ipocrisia, non ci sono impalcature rassicuranti ma c’è un ordine inumano e amorale che non possiamo controllare.
Uccidi o verrai ucciso
Walter risponderà a un solo imperativo naturale e, come elemento, sarà in continua lotta per affermare se stesso. Per farlo dovrà mutare e, mentre muta, distruggere. Uno degli antagonisti più atroci della serie, non a caso, è il cancro. Una malattia, cioè qualcosa sulla quale non abbiamo il controllo. Tutte le morti, così come tutte le bruttezze che vediamo nella serie, accadono per una logica estranea alla nostra comprensione, esattamente come avviene nella realtà. La morte di Gus Fring è sciocca: non importa che sia l’antagonista, un ruolo al quale la narrativa classica conferisce di solito una fine più articolata e drammatica, quasi epica. La morte di Mike è inutile ed evitabile: non importa che sia uno dei personaggi più amati della vicenda. L’incidente tra i due aerei è stato causato dalla distrazione umana, un bambino è stato ucciso “per giustificare il fine”, e così via per altre 269 volte. Non c’è uno schema morale o etico. Non c’è umanità in questi accadimenti, proprio come non c’è nella realtà. Le cose accadono, siamo noi umani che vogliamo forzare il loro senso e trovare una spiegazione rassicurante. Per questo, non riuscendo a farlo, Breaking Bad ci disturbata ma c’è chi, affascinato, resta a guardare l’onda che sta per travolgerlo e chi, inorridito, distoglie lo sguardo. L’unica certezza è che qui la bussola morale che ci guida non funziona: restiamo inermi, come davanti a un dipinto di William Turner o a un uragano che spazza via una foresta.
Il dibattito sulla malvagità o la bontà di Walter White potrebbe non arrivare mai a una conclusione univoca e forse continuerà a tormentarci per molto tempo. Per questo Breaking Bad è considerata un capolavoro: perché ci disturba, ci inquieta e ci espone continuamente al pericolo primordiale e risveglia in noi paure ataviche. Con la sua morte, che percepiamo con sollievo, Heisenberg chiude il cerchio e mette fine alla concatenazione di eventi che ha innescato con la sua prima azione dirompente. Solo la morte poteva arrestare quel processo reagente che lo ha portato a mutare da uno stato all’altro, come una fiamma che brucia l’ossigeno.
Nessun processo però si arresta del tutto. Walter si è trasformato nuovamente, forse in un elemento ancor più pericoloso (per noi); in uno più leggero e sublime, che appunto è un aggettivo che descrive proprio quella sensazione che proviamo quando l’orrendo ci affascina e che risveglia in noi dei bisogni primordiali.
E come i suoi pantaloni, Walter ora può elevarsi sempre più in alto, proiettato verso altezze future e possibilità eterne, come voleva Nietzsche.