“La chimica è tecnicamente… la chimica è lo studio delle sostanze. Ma io preferisco vederla come lo studio dei cambiamenti. Ad esempio, pensate a questo. Elettroni, loro cambiano i loro livelli di energia. MOLECOLE! Le molecole cambiano i loro legami. ELEMENTI! Si combinano e cambiano in composti. QUESTA E’ LA VITA. La costante! E’ il ciclo. Creazione e dissoluzione e poi di nuovo creazione e ancora dissoluzione. E’ crescita, poi decadimento, poi trasformazione! Ed è affascinante. Davvero… “
Rieccoci. A distanza di anni, pochi in realtà… anche se sembra passata un’eternità. Ma se è vera l’interpretazione di Walter White sulla chimica e sulla vita, tutto torna e ha senso. Tutto cambia, la vita cambia, il mondo cambia, le mentalità cambiano e spesso lo fanno pure le persone… o almeno credono di farlo. In realtà spesso e volentieri non cambiano ma si rivelano. Cosa è cambiato rispetto a quella volta di qualche tempo fa quando per la prima volta mi approcciai al capolavoro maestoso che è Breaking Bad? Cosa differisce tra la prima e la nuova visione di uno dei pilot più belli della storia?
Sarebbe banale rispondere semplicemente con: IO. Eppure risulta tremendamente vero. La Serie Tv è rimasta quella. Non è cambiata. Non sono state date nuove interpretazioni. E’ una fotografia stampata, appesa e messa lì, nella bacheca in cui inchiodiamo ciò che più amiamo. Vorrei non rispondere con IO. Ma devo farlo assolutamente. Oppure se non voglio contraddire completamente ciò che ho affermato prima potrei dire: SONO CAMBIATO PERCHÉ IN QUESTO LASSO DI TEMPO HO SCOPERTO ANCOR DI PIÙ ME STESSO.
La vera essenza di Breaking Bad
È con le stesse sensazioni con cui gli occhi di un vecchio stanco e frustrato si posano sulle fotografie sbiadite di un tempo che i miei occhi puntano verso quei pantaloni che svolazzano nel deserto, schiacciati poi dalla frettolosa e maldestra fuga di un camper. Quasi a voler sotterrare e bistrattare una vita passata. Un’era che sta inesorabilmente avviandosi verso la fine. Non c’è spazio per la poeticità però. C’è solo caos. Poi altro caos. Più intenso. Più violento. Inspiegabile come è la natura umana. Un uomo in mutande. Due cadaveri (?). Un passeggero tramortito. Poi le sirene. La claustrofobica sensazione dell’assenza di una via di fuga. L’incombenza. La disperazione, la vita che passa davanti agli occhi. L’ansia mordente. L’avventatezza di uno stolto. L’ultimo disperato saluto. Poi…
LA RABBIA! L’ARROGANZA! LA FIEREZZA! LA PISTOLA PUNTATA VERSO UN NEMICO IN ARRIVO… UN NEMICO CHE NON VEDIAMO.
Torniamo indietro di tre settimane per cercare le risposte a tutto ciò, a domande che ci siamo già dimenticati di esserci posti. Siamo lì nella calma di un letto. Col fascino dell’alba. Nella piacevolezza della tranquillità. L’uomo con la pistola, sopraffatto da rabbia e disperazione, è lo stesso che fa ginnastica appena sveglio? Come si può degenerare così in sole tre settimane e come si può raccontarlo in poco più di 50 minuti? Perché mi sto ponendo queste domande? Io già so, io già ho visto. Eppure sono qui confuso, ignaro… stupido. Riecco dunque la magia di Breaking Bad. Eccola di nuovo che viene a scuotermi come farebbe un bambino con un salvadanaio che contiene una sola monetina. Questo è il peso e la responsabilità di un’opera immensa, sconvolgente.
Assistere con occhi esterni all’epopea di un uomo che rinasce in punto di morte per un ultimo effimero scatto verso quel brivido ricercato e temuto è un privilegio che andrebbe pagato col sangue.
È estremamente difficile persino spiegare e seguire un nesso logico utile al prosieguo di un discorso. È arduo per me scrivere questo articolo. Ma poi la puntata scorre e penso a Walt. A lui che è perennemente schiacciato dal macigno che lui stesso ha fatto posare sul suo talento in cambio di una vita da mediocre, da perdente. Glielo rinfacciano tutti. Dalle battute velate di Hank a quelle ancor meno velate del figlio. E qui mi perdo nuovamente nel vortice. Io so dove arriverà quell’uomo, io so di cosa è capace e so esattamente quanto terribile e implacabile sarà la sua scalata. Cerco continuamente tracce di quel mostro in ogni singola mossa di quel professore impacciato e sono scosso da un incredibile e maledetto sentimento contrastante. Da una parte mi rassicura vederlo così. Calmo. Affabile. Amorevole. Dall’altra mi provoca un malsano piacere la visione dei rari sprazzi di Heisenberg. Li rivedo quando Walt muore per la prima volta. Quando si incanta guardando una molesta macchia di senape su di un bianco e immacolato camice. Come è la sua malattia. Una brutta chiazza in una vita ordinaria. Un po’ precaria e trasandata, ma comunque ordinata.
In quella calma folle per la prima volta si affaccia Heisenberg.
E non si affaccia solo per compatire e rassicurare uno stanco e spacciato Walt. No. Si affaccia per riprendersi ciò che è proprio. Quel talento, quella sete maledetta, quel grido soppresso straziante che aspetta di sfondare i timpani del suo carceriere. La ribellione è già in atto. Io lo so. Mi piace. Mi piace tremendamente vedere quell’uomo distratto e ansioso di vedere i “favolosi dettagli delle foto dell’esplorazione su Marte” sbarazzarsi del simbolo dell’oppressione e della soppressione che un bizzarro individuo rappresenta. Da lì l’apparente, solo apparente, bilateralità di Walt comincia a destabilizzare il protagonista e lo spettatore. Mi ricordo perché sono lì. Ricordo perché ho deciso di riguardare quei primi 50 minuti abbondanti. Per quello. Per vedere la nascita di una farfalla. Metafora che non è del tutto idonea per definire la presa di coscienza di Heisenberg a scapito di Walter White, ma assolutamente esplicativa. Perché una farfalla squarcia il suo bozzolo senza pietà, anche se l’ha tenuta al caldo, anche se l’ha tenuta al sicuro dai predatori, anche se gli serviva per diventare bella, maestosa, incantevole. Anche se gli serviva per volare via per sempre. Lei lo dilania e con cinica noncuranza sparisce.
“Perché lo stai facendo? Seriamente.”
“Mi sono svegliato!”
Rieccolo quel sorriso malsano e tremendamente affascinante. Quella curva sul volto di Walt che vale tutto Breaking Bad.
Eccolo colui che innescherà quel turbine di eventi, quel caos tremendo, inspiegabile. Reazione collaterale dell’operato di un redivivo mostro rimasto sopito sotto il tremendo regime della routine e della scarsità in generale. Lo stesso che riappare nuovamente nello sguardo da cui tutto comincia. Quello dell’uomo che sta brandendo la pistola. Esattamente tre settimane dopo. Nel deserto.
Rieccoci. A distanza di 50 minuti. Anche se sembra passata un’eternità. So tutto. Ho già visto. Ho visto di nuovo e di nuovo ancora. Non mi pongo più domande ormai. È con la fastidiosa saccenteria di chi sa tutto che non lo faccio. Una pistola minacciosa verso un nemico in arrivo. L’incombenza. La calma. Le sirene. La determinazione. La rabbia. Io credo di sapere tutto. Anzi so tutto.
Poi Walt si punta la pistola in testa. Preme il grilletto. È spaventato come un gattino indifeso. Parte un colpo. Lui piange. Arrivano le ambulanze.
Non so più niente. Torno a pormi centinaia di domande.
QUESTO È BREAKING BAD.
UN’ESPERIENZA BRUTALE. UNO SCHIAFFO IN FACCIA. UN SECCHIO D’ACQUA GELIDA DOPO UNA PASSEGGIATA ALL’INFERNO.
Un insieme di domande che trovano risposta e tornano irrisolte dopo un secondo.
“A dire il vero è chimica elementare. Ma grazie, Jesse, sono contento che sia accettabile.”
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