Breaking Bad ci parla di reazioni chimiche. Di complessi, insondabili incontri/scontri d’anime che generano reazioni imprevedibili e disparate. Ma la vita, a differenza della chimica, non è una scienza esatta. È uno stato caotico permanente in cui le particelle, tutti noi, continuano a vagare senza apparente logica finendo per scontrarsi costantemente l’un l’altra.
Quando pensiamo ai rapporti umani ci confrontiamo con la complessità di un universo ben diverso della semplice reazione chimica di due elementi.
Cosa unisce due persone da un rapporto d’amicizia, di affetto e perfino d’amore è difficile dirlo, quasi impossibile. All’interno di una relazione finiscono per mescolarsi incessantemente desideri reconditi, speranze represse, bisogni inespressi. Costante è il rischio che una personalità venga a imporsi sull’altra. Che si generi uno squilibrio delle parti.
Perfino pensando all’amore siamo costretti ad ammettere che c’è di più di una semplice scintilla, di una reazione perfetta ed esplosiva. C’è alle spalle un universo fatto di proiezioni mentali, ricerche d’appagamento, riscatti emotivi. Il fallimento di ogni rapporto, il collasso drammatico e irreversibile di un incontro che viene meno è quotidianità. È una costante quasi matematica su cui si fonda il successivo impegno. Sui fallimenti delle relazioni precedenti costruiamo le speranze nelle successive. Ma a volte gli strascichi del passato sono più forti della tensione di quelli presenti.
Pensando a Walter e Jesse e al loro rapporto finiamo per riflettere sull’intera architettura psicologica di Breaking Bad.
Sì, perché nel loro rapporto, nel contorto ma viscerale e inestricabile legame che li attira come poli opposti c’è il senso di una storia umana eppure (o per questo?) diabolica. Il mondo di Breaking Bad, come abbiamo avuto modo di approfondire in un primo, illuminante saggio, è un universo a due facce. Un apparente paradiso fatto di quotidiana normalità a cui si contrappone un sottosopra di folle, violenta casualità. Sotto molecole ordinate e compatte si nasconde il caos, l’entropia di un universo umano tutt’altro che razionale. La follia e l’irrazionale, il dionisiaco inesprimibile slancio primordiale a un infernale disordine che ribalta i ruoli e le convenzioni.
Perché se nell’ordine apparente Walt è un professore di chimica, marito e padre amorevole oltre che uomo remissivo, nell’aldilà interiore di un doppelgänger incontrollabile e vividissimo è nient’altro che Heisenberg. Cuoco di meth, criminale, assassino. Un universo non esiste senza l’altro. Entrambi sono intimamente e inestricabilmente interconnessi e influenzati vicendevolmente. In ognuno di essi c’è una morbosità, una distorsione che li attraversa in toto. C’è amore, affetto sincero, perfino onestà e integrità.
Ma tanto in superficie quanto nel sottosuolo si percepisce anche e soprattutto la stortura di ogni rapporto.
Il cancro fisico ma soprattutto interiore in Breaking Bad fa da trait d’union di due mondi destinati a collassare inevitabilmente l’uno sull’altro. In questo apocalittico scenario, nella fine del mondo interiore di Walt, c’è una società e l’ombra di essa. La Grey Matter e Los Pollos Hermanos. Un uomo e il suo opposto. Walt e Heisenberg. L’amore per Skyler e quello per la meth. C’è soprattutto un figlio e il suo alter ego. Walter Junior e Jesse. Nel sottosopra infernale di Breaking Bad Jesse è nient’altro che l’ipostasi di un figlio, feticcio di un affetto distorto e morboso.
Jesse da parte sua vede in Walt una figura di riferimento che non ha mai avuto, un padre capace di guidarlo e accompagnarlo, perfino di spronarlo. Nella condivisione dell’irrazionale caoticità della follia i due si fondono, marchiandosi vicendevolmente. Finiscono per consacrarsi, unirsi in un perverso patto di sangue.
Jesse è trascinato senza possibilità di scampo nell’oblio di un mondo ribaltato in cui nulla ha più valore e tutto è lecito.
Nella discesa nei suoi inferi interiori Walt trascina il posticcio figlio condannandolo alla dannazione. “Da quando ti ho incontrato tutto ciò di cui mi importava è andato, rovinato, coperto di merda, morto!”, prorompe Jesse nel settimo episodio della terza stagione. Ma nonostante si renda conto del percorso verso cui è condotto, verso il naufragio esistenziale che si pare ai suoi occhi, Pinkman non sa tirarsene fuori. Ne viene costantemente ricacciato, attratto irresistibilmente come un polo magnetico verso il suo naturale opposto.
Heisenberg usa, manipola, guida forzosamente ma con attrattiva quel figlio dell’inferno. Lo ama. Sì, lo ama con quell’amore malato che solo potremmo aspettarci da questo universo del sottosopra. Il fallimento del rapporto tra i due è in realtà nient’altro che il finale atto di completamento del loro amore distorto. L’esito inevitabile e più pieno della discesa agli inferi. Non c’è scampo, non c’è ritorno nell’aldiquà. E seppure Jesse alla fine sembri riemergerne tornando apparentemente a respirare, in realtà di lui non è rimasto nient’altro che un fantasma. Incorporeo, svuotato di tutto se stesso. Impalpabile.
La claustrofobica dipendenza si è potuta concludere solo con la totale destrutturazione di tutto il suo essere. Jesse non è più.
In Breaking Bad si fondono così relazioni apparentemente sane e socialmente ben accette con altre che sono ombra di oscure perversioni. Ma, come già accennato, tanto le une quanto le altre hanno al loro interno quel germe di oscurità che le rende intimamente, inevitabilmente legate. Per questo Walter Jr. finisce per odiare il padre non diversamente da Jesse. Per questo tanto Walt quanto Heisenberg portano al finale annichilimento i rispettivi figli. L’amore è in entrambi i casi un sentimento oscuro, fuligginoso. Diventa giustificazione per l’emergere di pulsioni incontrollabili. Pulsioni di affermazione personale, di imposizione. Desideri di potenza.
Dietro la frustrazione di chi si nasconde sotto la maschera di padre, marito, insegnante, cognato c’è l’essenza diabolica dell’altra faccia dell’uomo. C’è più autenticità in quell’orrore che man mano si impadronisce e spolpa le carni rinsecchite di Walt che nella quotidianità fatta di apparenze. Jesse diventa ricettacolo dell’orrore. Si “arricchisce” dell’orrore di Walt, ne diviene surrogato da attivare a piacimento.
L’anima più pura di Pinkman sparisce davanti a un inferno che elimina tutto ciò che di buono vi era nella sua vita.
L’amore, gli affetti, la speranza di divenire realmente capace in qualcosa. Heinseberg fa terra bruciata, alimenta le insicurezze del ragazzo, i suoi sensi di colpa di figlio diseredato e di drogato incapace di cambiare. Lo ama nella sua oscurità perché in quell’oscurità rivede se stesso. Solo in quella perversione per il male può realmente costruirsi il rapporto tra i due. Un rapporto che è il negativo di una foto di famiglia. Il ribaltamento, lo stacco verso il male, il breaking bad progressivo di un uomo che riscopre la sua essenza più pura nel capovolgimento della sua vita.
Jesse avrebbe voluto Walt. Avrebbe voluto compensare le sue carenze paterne in una figura amorevole e protettiva. Ma quel Walt non esiste. Forse, anzi sicuramente, non è mai realmente esistito. È stato un simulacro evanescente che è venuto man mano a inaridirsi di fronte all’emergere dell’inarrestabile potenza di Heisenberg. Così di Walt e Jesse non rimane nient’altro che un’ombra, fantasmi entrambi di una relazione fondata sulla perversione più orrorifica. Perché, in fondo, Breaking Bad è nient’altro che il collasso del mondo. Il ribaltamento di una realtà fatta di ipocrisia in un orrore, invece, dannatamente autentico.