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Quella scena di Breaking Bad mi tormenta ogni notte

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Sento il caldo, il silenzio. Mi tocco la fronte ed è un bagno di sudore. Sento il ronzio delle zanzare nel deserto del New Mexico, il sapore della terra, l’odore di pneumatici che bruciano al sole. Breaking Bad è costellata di scene che tornano ogni notte a tormentarci, che riviviamo in maniera quasi spasmodica. Ma alcune fanno più male di altre.

La leggenda di Walter White – perché ormai è di leggenda che stiamo parlando – è entrata a far parte della cultura generale della gente. E non potrebbe essere diversamente, perché il capolavoro di Vince Gilligan è un’opera d’arte, un’esperienza di vita, una meraviglia che rasenta la perfezione e che vorremmo poter riguardare per sempre, con gli occhi gonfi e il cervello in loop. Gli incubi di Heisenberg sono un po’ anche i nostri. Le ferite di Walter bruciano anche sulla nostra pelle.

Ci sono delle scene in Breaking Bad che difficilmente riusciremo a dimenticare.

Basti pensare alla testa di Gus Fring che salta in aria, al confronto con Tuco nella prima stagione, alla rapina del treno, al Say my name, all’imboscata dei Salamanca ai danni di Hank, alla morte di Jane, fino alle ultime, sconvolgenti sequenze.

Questa serie crea dipendenza molto più della meth, poco ma sicuro.

La scena che però mi tormenta ogni notte ha in sé qualcosa di intimamente più scioccante e doloroso. È cruda, spiazzante, amara e, in qualche modo, nostalgica. Segna l’inizio della fine, un punto di non ritorno, il guado che doveva essere oltrepassato prima di giungere all’epilogo definitivo.

Siamo in mezzo al deserto, sotto un cielo sconfinato che mette paura a chi ci vive sotto. C’è terra, c’è sabbia, c’è il sangue di chi ha capito di essere arrivato al capolinea della propria esistenza e non ha più vie d’uscita.
Da lontano arriva una crivellata di colpi, l’unico rumore in un paesaggio immobile, piatto.

Hank Schrader è finito nella polvere, sporco e imbrattato, con una gamba insanguinata e nessuna speranza di uscirne vivo. Striscia verso il fucile abbandonato poco distante, l’unico appiglio al quale trincerare tutta la propria vita in un ultimo disperato tentativo di salvarsi la pelle. Ma il piede dello zio Jack arriva prima.

Hank è spacciato, ci mette un attimo a capirlo. Walter sente la pistola caricarsi, la sentenza è stata emanata. Si agita, sbraita, tira calci contro lo sportello dell’auto e viene fuori. Suo cognato sta per essere giustiziato e lui è l’unico essere vivente sulla Terra in grado di salvarlo.

Hank è uno di famiglia. Non riesce a guardarlo negli occhi, ma tenta lo stesso di frapporsi tra lui e la pistola del suo assassino. Cerca di sviare, si dimena, prova a comprarsi la clemenza di quei macellai con ottanta milioni di dollari. Niente da fare. Jack fa come gli pare e suo cognato non vuole essere salvato.

Il mio nome è Hank Schrader e tu puoi andare a farti f*****e.

Semplice e scontato, eppure a suo modo agghiacciante. Walter lo supplica, cerca di salvarlo a tutti i costi perché quella morte peserebbe come un macigno sulla sua coscienza sporca.

Sei l’uomo più intelligente che conosca, eppure sei così stupido. Lui ha deciso dieci minuti fa.

Hank ha ragione, è finita. Si volta lentamente per inchiodare un’ultima volta lo sguardo sul volto del suo assassino. Lui è spacciato e Walter White è condannato a convivere col senso di colpa per il resto dei suoi giorni.
Fa quello che... Bum! Più niente. Un colpo secco che si perde nella desolazione del deserto.

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C’è solo silenzio che si mischia alla luce del sole che tramonta. Tramonta su Hank, un corpo divelto a terra e privo di vita. E tramonta su Heisenberg, sconfitto, prostrato, abbattuto, piegato per sempre.

Questa scena della quinta stagione di Breaking Bad sconvolge. Non solo per la maestria con cui è stata girata, per la bravura di Bryan Cranston e Dean Norris, per la conturbante bellezza della fotografia. Sconvolge perché ci fa toccare con mano il dolore di Walter White. Noi siamo parte di quel dolore, di quella devastazione frastornante, mentre tutto intorno resta immobile, silenzioso, sempre uguale.

Jack e i suoi uomini si comportano come se nulla fosse successo, il cielo è rimasto al suo posto. La devastazione è solo di Walter White, il re caduto.

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E sul piedistallo, queste parole cesellate:
“Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re,
Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!”
Null’altro rimane. Intorno alle rovine
di quel rudere colossale, spoglie e sterminate,
le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine.

Non è un caso che quest’episodio prenda il nome da una famosa poesia di Percy Shelley, Ozymandias, che parla del declino degli uomini e del loro potere. Questa scena ci priva per sempre di Hank Schrader, ma segna anche l’inizio del declino di Walter White. Le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine, null’altro rimane.

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