Pur essendo per molti versi differenti, sotto certi aspetti Breaking Bad e i romanzi di George Martin si assomigliano; infatti sono sicurissima che l’autore della saga di Game of Thrones sarebbe andato in brodo di giuggiole avendo tra le mani un personaggio come Walter White: non che quelli da lui immaginati abbiano qualcosa da invidiare al brillante chimico, però ritengo che per un autore tanto affascinato dalla descrizione autentica e realistica della natura umana il contatto con Walt sarebbe simile a una scarica elettrica.
Il temibile Heinsenberg incarna in effetti alcuni dei messaggi che lo scrittore ha sempre cercato di trasmettere con i suoi libri, e li rappresenta così bene che se davvero fosse stato ideato da Martin avrebbe rischiato forse di ossessionare il proprio creatore: l’uomo in carne e ossa avrebbe riversato se stesso nell’invenzione, ma quanto? Probabilmente più che in Cersei, in Jon o in Daenerys. Probabilmente troppo.
Perché se Breaking Bad ha preso noi spettatori, a volte riuscendo persino a cambiare il nostro modo di vedere la vita, credo che sentire la storia di Walter prendere forma nella propria mente e scaturire dalla penna che si stringe tra le dita debba essere un’esperienza sconvolgente… E Martin sembra il tipo di autore capace di instaurare con i personaggi un rapporto di questo genere, viscerale e intenso.
Ma come sarebbero state le scene più memorabili del telefilm, se a scriverle fosse stato il “padre” di Game of Thrones? Proviamo a formulare qualche ipotesi!
Fuori dal mio territorio
Ormai è diventata una delle frasi cult del telefilm: è la battuta che Walt pronuncia al termine di un episodio molto particolare, il quale lo vede impegnato nel tentativo (andato malissimo) di smettere con lo spaccio e ricominciare una vita normale. In effetti, in questa puntata il nostro chimico geniale sembra un tantino pazzo, o forse semplicemente frustrato: assomiglia a un vecchietto appena andato in pensione, che non sa come occupare le giornate e si sente soffocare dentro casa.
Così viene preso da un’assurda voglia di aggiustare gli elettrodomestici rotti e pulire la muffa dal seminterrato, cose che fa ostentando un atteggiamento da disturbo ossessivo compulsivo. Ma in realtà quello che gli manca davvero è il lavoro come cuoco di metanfetamine: infatti quando finalmente ammette con se stesso di desiderare di tornare nel giro e consacra la propria decisione intimando ai due spacciatori novelli di stare fuori dal suo territorio, vediamo che l’espressione folle che ha sul viso cambia, si indurisce e si colora di determinazione. Non è che Walt rinsavisca, però si immerge in un diverso tipo di pazzia, più tranquilla e nascosta, profonda.
In Game of Thrones, Martin tratta la follia con un’attenzione speciale: da una parte l’esempio più eclatante di questa malattia della mente ci viene mostrato solo attraverso le parole degli altri personaggi, mentre colui che incarna il problema non compare (parliamo ovviamente di Aerys Targaryen).
Dall’altra abbiamo la pazzia di Cersei, della sorella di Cat, di Ramsay e Joffrey e di recente anche un pochino di Daenerys; e in tutti i casi non si tratta della follia strana e divertente di Walt che pulisce il seminterrato dalla muffa, ma somiglia terribilmente a quella lucida e fredda di Heisenberg che torna in azione fuori dal supermercato: certo, il giovane Lannister e Lysa esternano spesso i loro disagi mentali con atti e parole privi di senso, però restano sempre in grado di complottare, ragionare e compiere gesti meschini. Nessuno di loro è matto in maniera innocua.
La differenza tra Breaking Bad e GOT è che in quest’ultimo uccidere e ferire fisicamente i nemici è in linea di massima consentito, quindi credo che Martin avrebbe fatto fare a Walt qualcosa di più, oltre ad avvertire i due rivali in affari di stare lontani dalla sua zona di spaccio; perché egli non è cattivo, e in genere non fa del male alle persone senza motivo, ma in quel momento si trova in una situazione in cui la sua emotività è alterata: dopo essersi sforzato invano di rinunciare a ciò che lo gratifica, finalmente accetta se stesso e i propri bisogni. Però questo, in una prospettiva inquietante, significa che l’unico modo per sfuggire alla follia è assecondarla, non cercare di reprimerla…
Quella che Walt prende davanti ai due ragazzini è forse la decisione più importante della sua vita, una decisione che darà origine a tutto ciò che accadrà in seguito: una risoluzione dettata non più da una necessità concreta e comprensibile (perché ormai i soldi per curarsi il cancro e per la famiglia li ha guadagnati), bensì da una ragione personale. Ritengo quindi che Martin gli avrebbe fatto compiere un gesto più drastico, giusto per posizionarlo fin da subito sulla strada che ha scelto di percorrere.
Heisenberg osservò con disprezzo ingiustificato i due giovani, i quali gli stavano dinnanzi perplessi, ostentando sui volti ancora innocenti un’espressione di sconcerto.
Però il chimico strizzò gli occhi già affilati, e con un movimento fulmineo afferrò la gola di uno di loro. Strinse forte, non tanto da rischiare di ucciderlo ma abbastanza da assicurarsi di essere preso sul serio. L’altro, nel frattempo, annaspava senza saper bene che fare: le borse contenenti gli utensili per fabbricare la metanfetamina gli sfuggirono di mano, caddero per terra con un tonfo.
Walt avvicinò il viso a quello della propria vittima, piantando le pupille dilatate dalla rabbia addosso al ragazzo.
– Fuori dal mio territorio – scandì con decisione.