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Breaking Bad – Il suono più bello del mondo

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“Io mi chiamo Walter Hartwell White. Abito al 308 di Negra Arroyo Lane, Albuquerque, New Mexico, 87104. A tutte le forze dell’ordine, questa non è una confessione”.

Breaking Bad si presenta nel più classico e convenzionale dei modi, con la signorilità di chi sa come ci si comporta: con una presentazione. Pronunciando un nome.
Non è il suo, non può certo esserlo. Ma nemmeno quello del suo protagonista, anche se tutto sembra suggerire il contrario.
Anche se quell’uomo al centro dello schermo si autoritrae di sincerità come risultato della paura (quella di un uomo sconfitto, inciampato proprio nell’ingenua contraddizione della confessione).
Nonostante tutto, la verità è che Breaking Bad si presenta con un nome qualunque.
Un nome senza suono.
“Walter Hartwell White” è la prima cosa che sentiamo pronunciare nei minuti iniziali, e non è casuale che questo nome abbia da subito un’associazione negativa, rappresentando un emblema circostanziale di fallimento.

Breaking Bad

Si dice che il nome di un uomo sia come una veste perfettamente adatta, o come la pelle concresciutagli che non si può graffiare senza far male anche a lui.
Lo diceva Goethe, un uomo che del suo nome non si sarebbe svestito mai. Lo stesso uomo che ha poeticamente dipinto la sua nascita come una legge astrale, un evento dalle logiche inalterabili alle quali la stessa Luna non ha potuto opporsi.

Walter White non ha avuto la stessa forza. Per essere quanto stabilito dallo jus naturale, ciò che il suo diritto di natura gli ha imposto di essere, ha dovuto cambiare nome.
Nel moderato portamento della narrativa gilliganiana, Walter White non ha antefatto che non sia quello espresso (soggettivamente) dal disagio per la propria vita.
Non esiste, in Breaking Bad, una visione d’insieme del passato del protagonista, un aspetto oggettivo dei trascorsi che lo hanno portato al medias res nel quale siamo proiettati dalla narrazione.
Di fatto, prima di mostrarci il cambiamento, Walter White è già cambiato una volta, ma non è necessario capire in che modo.

Nel suo percorso evolutivo non c’è spazio per le implicazioni psicologiche che coinvolgono la famiglia biologica. Non c’è un padre; non c’è una madre. Non esiste (più) un passato familiare utile alla narrazione, una volta che le repressioni e i desideri eternamente assenti lo hanno reso lo yes man senza ambizioni, che desidera soltanto essere ascoltato (fosse anche da un solo, ambizioso, alunno: ciò che Jesse diventerà nel suo mondo sublimato).

Questo aspetto del personaggio viene consapevolmente a mancare.
Il suo nome viene a mancare.
Walter non riesce a vestirsi del suo essere e a indossare un retaggio, a riconoscere l’investimento di riflessione che aggrega il passato.
Il suono del suo nome non desta Walter White.
Non c’è quello sguardo al passato che rende l’individualità del proprio nome una sinfonia gratificante, un riconoscimento orgoglioso per l’impegno generazionale da parte di chi lo pronuncia: l’amalgama che lo rende il suono più bello del mondo.

È di quello che ha bisogno Walter White, ed è un bisogno sfrenato che lo rende vittima.

Breaking Bad
Breaking Bad

Forte è la necessità di sentire per la prima volta il suono più bello del mondo, e tale è la debolezza che lo renderà sempre meno simile all’immagine deifica che proverà a costruirsi.
Questo aspetto trova la sua massima espressione durante il dialogo con Declan, nel corso della quinta stagione, nel momento dell’iconico imperativo “Say my name”.
L’imposizione psicologica sul nemico è anche la rivelazione della sua più grande debolezza, quindi la necessità di non essere più “Walter White”.
Perché Heisenberg non è una maschera per l’anonimato, ma quella pelle concresciutagli che non può essere graffiata senza subire danno.

Walter non sente più pronunciare il proprio nome.
Questo è “coperto”, ovattato, e a imporre tale condizione è la prepotenza di un fischio assordante, quello che scandisce i suoi momenti di blackout (“Signor White? Signor White?! Ha sentito cosa ho detto?” dettaglio comune a più scene, una delle quali il momento in cui viene comunicata la diagnosi).
Per il suo nome ha bisogno del silenzio che esige l’estimatore di musica classica, con la pianura desertica di Albuquerque allestita a salotto e il suo nemico come strumento musicale.
Stavolta non c’è fischio abbastanza forte che possa sopraffare il suono più bello del mondo: quello che Declan intonerà per Walter.
Breaking Bad è tutta qui: l’uomo che inizia ad agire ascoltando la voce pulsante sul retro della propria testa; la vulnerabilità che cede l’attenzione al cosiddetto daimon socratico, quella delirante ispirazione “divina” che non possiamo mai riconoscere come fallibile fino al momento in cui ci si guarda alle spalle.
La sacralità del silenzio che scaccia il ronzio di Taos. Heisenberg che si libera di Walter.

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Un dualismo vissuto in maniera consapevole, e sprigionato grazie alle parole di un professore che diventa narratore diegetico, quando spiega il concetto di “chirale”:

“Il termine “chirale” deriva dalla parola greca “mano”. Il concetto è quello che come la vostra mano sinistra e la vostra mano destra sono immagini speculari l’uno dell’altra, sono identiche pur essendo opposte, bene… allo stesso modo anche i composti organici possono esistere come immagini speculari l’uno dell’altro.”

Nell’evoluzione della sua psicologia, il nome di Walter rappresenta un aspetto estremamente intimo.
Questo nella misura in cui essere chiamati per nome cambia totalmente il tenore della conversazione, e fa sentire come se l’interlocutore fosse interessato a chi sei.
Sensazione sconosciuta a Walter, e ora già assuefacente per Heisenberg.
È qui che la distanza millimetrica che divide il bisogno primario e la dipendenza si mostra nuovamente intangibile, fugace e passeggera.
Il bisogno di Walter è diventata l’ossessione di Heisenberg.
Così, quando quest’ultimo si guarda finalmente alle spalle, realizza che Heisenberg e Walter non sono più “chirali”.

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Allora cambia montatura dei suoi occhiali, ricrescono i capelli, avviene la “regressione psicologica” a uno stato mentale precedente. Adesso Heisenberg può uccidere anche Walter White, l’uomo che non ha mai portato il suo nome.
Per l’ultimo piano della sua vita, la spietatezza di Heisenberg e l’etica di Walter devono convivere naturalmente, come un uomo col suo nome.
Il nome che porta una storia.

L’uomo redento rimette le cose a posto, poi si ferma ad amoreggiare con l’acciaio delle sue cisterne che in fin dei conti sopravvivranno, più forti della lega resiliente che lui ha provato a creare.
Quel composto di bisogno e musicalità che Walter White, chimico della vita, ha creato con Heisenberg.
Quello che per lui era il suono più bello del mondo.

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Un ringraziamento particolare va ad Andrea Lupo, un fratello che con la sua grande naturalezza ha saputo ispirare questa traccia.