Quando Jesse Pinkman incontra per la seconda volta Walter White sul cammino della sua vita, ha circa 25 anni. La prima volta era stata al liceo, una manciata di anni prima, quando Heisenberg gli faceva da professore di chimica. Nell’arco di tempo che separa il primo incontro con Walter White dal secondo non si può dire che Jesse si fosse incanalato sulla retta via, ma al tempo stesso non si era nemmeno mai cacciato in guai davvero grossi. Non aveva sfruttato i canali preferenziali che comunque la vita gli aveva offerto: un’intelligenza sopra la media e una famiglia comunque benestante e pronta a sostenerlo nel caso in cui avesse voluto intraprendere una strada diversa da quella della strada. Non si può certo dire, in definitiva, che Jesse sia diventato un criminale per mancanza di alternative, a differenza di alcune persone che frequentavano il suo giro. Pinkman però non si era mai spinto oltre un certo limite: vivacchiava ai margini della società e ai margini della criminalità. Ai margini sempre, da qualsiasi punto si guardi la storia. Finchè non è arrivato Walter White. Anzi, finchè non è tornato Walter White nella sua vita. Un uomo così disperato eppure così affascinante agli occhi di Jesse, talmente tanto da rimanerne soggiogato.
Non si può dire che Jesse non abbia una sua personalità, tutt’altro. Nei suoi ambienti è comunque un personaggio, è una persona vivace e nel gruppo dei suoi amici gode anche di una discreta leadership. Ma personalità e carattere non sono la stessa cosa, e Jesse ha sempre avuto un carattere molto facilmente manipolabile. Miele per le api come Heisenberg, la versione villain in cui Walter White si sarebbe pian piano trasformato. All’inizio era davvero ’50-50 partner’: pur assumendo il ruolo di capo per via di un’esperienza e un’intelligenza superiore, White entrando nel mondo della criminalità dalla porta di servizio ascoltava Pinkman, perchè sapeva che gli sarebbe tornato molto utile farlo. Col tempo, però, quel ’50-50 partner’ è rimasto qualcosa di scritto solo sulla carta, valido per le spartizioni economiche in parti uguali e nulla più. Col tempo, Jesse è diventato suo malgrado il sottoposto di Walt: sul piano della loro condivisa attività criminale, ma anche e soprattutto sul piano emotivo.
Jesse cerca l’approvazione e l’affetto di Walt, in maniera spasmodica. Quasi dimenticandosi della loro ampia differenza di età, a un certo punto sembrerebbe addirittura nutrire il recondito desiderio di farne un compagno di giochi fuori dal lavoro, come quando gli chiede insistentemente di andare a bere una birra insieme a lui, almeno una sera. Per White sarebbe disposto a tutto: anche a uccidere. E lo fa, Jesse. Per salvare il culo all’uomo da cui è affettivamente dipendente, Jesse Pinkman arriva addirittura a uccidere. Lui che di fatto non era altro che un ragazzino un po’ troppo cresciuto che si divertiva a giocare al criminale. Lui che probabilmente, se non avesse incrociato di nuovo Walter White sulla sua strada, nella peggiore delle ipotesi si sarebbe fatto qualche mese di galera per spaccio, prima o poi. Lui che di fatto è un buono, solo totalmente privo del controllo emotivo di se stesso e della sua vita. Jesse è arrivato a uccidere, in un momento che resterà indelebile nella nostra memoria perchè riusciamo a percepire tutta la sofferenza e la disperazione del personaggio nell’essere di fatto costretto a commettere un omicidio. Un omicidio, lui che killer non lo sarebbe diventato mai e poi mai.
Da quel momento in poi, il gioco è ufficialmente finito. Il ragazzino nel corpo di un adulto che giocava ancora a fare il criminale perchè fa figo, è diventato un uomo spappolato in mille pezzi. Jesse non è mai riuscito a comprendere appieno (e soprattutto ad assorbire appieno) le implicazioni che fare il criminale comporta per una persona sensibile e buona come lui. Perchè Jesse è sicuramente un buono, a differenza della maggior parte dei personaggi di Breaking Bad che a livello morale orbitano costantemente attorno a una zona grigia. Jesse moralmente non avrebbe nulla di sbagliato: tra come vive e come è realmente c’è una differenza abissale.
Jesse regge un altro po’, poi l’uccisione del bambino nel deserto gli fa capire definitivamente cosa è diventato Walter White. Non è Walt a premere il grilletto, ma di fatto approva silentemente e senza scrupoli il fatto che Todd abbia sparato a quel bambino perchè rischiava di farli scoprire. Lì Jesse si rende conto una volta per tutte di quanto ormai sia diventato spietato e agghiacciante Walt, l’uomo per cui si è rovinato la vita. L’uomo che lo ha manipolato fino a fargli credere, a un certo punto, di voler diventare milionario. Di voler diventare un boss della droga. Ma a Jesse di quella vita non fregava granchè. E non gliene fregava granchè neanche di sfruttare il suo potenziale in senso generale: non è mai stato una persona ambiziosa, preferiva una tranquillità che lo distogliesse dai costanti stati di agitazione emotiva in cui per sua stessa natura si andava a cacciare spesso e volentieri. Preferiva una vita con Andrea e Brock. Sognava cose semplici, come intagliare e levigare una scatola di legno.
Sognava questo, Jesse. E invece è finito per vivere prigioniero di un gruppo di neonazisti che lo tenevano legato come un cane e lo facevano vivere in condizioni che definire lesive della dignità umana sarebbe riduttivo. Non renderebbe l’idea. La parabola a cui si è condannato il giorno in cui ha deciso di seguire Walter White lo ha portato fino a lì, in quel buco nero dal quale non sembrava esserci via d’uscita. Paradossalmente è lo stesso Walt che gli restituisce la libertà, lasciandolo andare con un rispettoso cenno del capo con cui idealmente sembrava volersi scusare col suo ex allievo per tutto quello che gli ha fatto passare. Jesse quasi incredulo scappa, prende la macchina e urla, urla come un ossesso. Nell’urlo di Pinkman c’è tutto. É un urlo di disperazione, di rabbia, di speranza. Ed è tutte queste cose insieme. É l’urlo di chi non si aspettava di poter avere una seconda possibilità, e in fondo non credeva neanche di meritarsela dopo tutto quello che aveva fatto. É l’urlo di un uomo che ha vissuto sulla sua pelle le brutture del mondo criminale, di un uomo che visualizza davanti a se’ l’ultimo appiglio che ha a disposizione per cambiare la seconda parte della sua vita e vuole aggrapparcisi con i denti, a costo di strapparseli.
Molti dicono che El Camino fosse un film evitabile, un’appendice inutile a una serie perfetta. La verità è che non è affatto così. El Camino è un atto dovuto all’unico personaggio di Breaking Bad a cui aveva senso dare una possibilità di redenzione. Un personaggio enorme, enormemente umano, che ci ha mostrato cosa significhi essere fragile e sensibile in un mondo di persone orribili. El Camino ci ha portato a vedere cosa succedeva dopo l’urlo di Pinkman: una vita difficile, piena di strascichi, ma almeno una vita degna di chiamarsi tale.