Jesse Pinkman corre. Sull’auto di Todd, ormai morto, morto come i neonazisti che lo hanno imprigionato e fatto schiavo. Morto. Morti tutti. E lui è libero, finalmente libero! Schiaccia la tavoletta del gas fino in fondo e stringe convulsamente il volante, il viso inondato di lacrime.
Corre, corre. Via dalla schiavitù, dalla prigionia, da Walter, che sarà ormai morto come gli altri. Via da quella vita orribile che non ha fatto altro che colpirlo, buttarlo a terra e colpirlo ancora. In quel mare di euforia e isterismo, il suo primo pensiero coerente va a Brock. Si chiede dove sia, se abbia trovato sua madre morta quando si è svegliato, come non ha fatto altro che chiedersi da quando le hanno sparato davanti ai suoi occhi. Deve trovarlo. Trovarlo e prendersi cura di lui.
Jesse Pinkman continua a correre. Morde l’asfalto che sfreccia veloce dietro di lui. Davanti a lui, invece, i fasci di luce dei fari illuminano il buio per qualche metro; poi l’ignoto. Che farà della sua vita ora? Le infinite possibilità si affastellano nella sua mente, una sull’altra come sogni di un visionario febbricitante.
Una vita tranquilla, normale. Ricominciare da capo, un lavoro onesto in un posto nuovo, dove Jesse Pinkman non è nessuno. Un posto dove nessuno, al sentire il suo nome, vedrà incombere su di lui l’ombra di Heisenberg. Un po’ di pace, finalmente.
Jesse Pinkman corre. Affronta una curva a velocità suicida e l’auto sbanda pericolosamente, riportandolo violentemente alla realtà.
Lui non avrà mai una vita normale, non può averla. Ne ha fatte troppe, come troppe ne ha viste e passate. Il suo passato lo inseguirà e lo stritolerà tra le sue grinfie annientando qualunque illusione di normalità possa essersi costruito, distruggendo lui e chiunque sia stato tanto stupido o sfortunato da stargli vicino. Jesse Pinkman riguadagna il controllo dell’auto e continua a correre.
Dove vorresti andare? lo deride una voce nella sua testa. Sei un buono a nulla, capace solo a drogarti e seguire gli ordini come un cagnolino. E senza più nessuno a metterti i piedi in testa, tutto quello che ti aspetta ovunque tu vada è un vicolo in cui farti trovare morto stecchito, coi denti marci e le braccia ridotte a un colabrodo.
Il gelo gli invade le membra. Scuote la testa e accelera di nuovo. Dell’euforia di poco prima non è rimasto più nulla. Ora è preda solo di panico e paranoia. Sì, va’ pure, corri quanto vuoi. Tanto ti riprenderanno e ti riporteranno indietro. I neonazisti, o la DEA. E non frignare che i neonazisti sono tutti morti: neonazisti, cartello, chiamali come ti pare. È tutta la stessa merda.
Era rimasto il solo a conoscere la ricetta, a poter cucinare la blue sky. Il solo di tutti quelli che l’avevano prodotta, spacciata. Ed era anche il solo rimasto in vita ad essersi sporcato le mani dei cristalli e del loro sangue. Lo avrebbero catturato e rinchiuso di nuovo. Signori della droga, DEA, FBI… faceva lo stesso. Sarebbe marcito in gabbia per il resto della sua vita.
No!!! Grida inconsultamente e tempesta di pugni il volante. Preme di nuovo furiosamente sull’acceleratore. Corre, Jesse Pinkman. Fugge.
Sì, sarebbe marcito in una gabbia. Prigioniero del prossimo che avesse voluto schiavizzarlo per cucinare, o prigioniero in un carcere. E se non fosse stato per i crimini già commessi, sarebbe stato per qualcosa di nuovo. La voce nella sua testa aveva ragione: era un buono a nulla e non sarebbe mai cambiato. Avrebbe potuto fingere di cercare una vita normale ma prima o poi ci sarebbe ricascato. Droga, soldi sporchi, una dubbia figura paterna da seguire, tutto dall’inizio in un circolo che conduce solo a una voragine di autodistruzione.
Jesse Pinkman corre. Grida, piange, ride di se stesso. Schiaccia di nuovo la tavoletta del gas fino in fondo. Il motore inizia a tossire, singhiozza e si spegne. L’auto rallenta, la lancetta del carburante ben al di sotto della linea rossa, e si ferma in mezzo al nulla. Scende e sbatte la portiera. Fine della corsa. Jesse si passa le mani nei capelli con foga. Si guarda intorno con occhi sbarrati. Guarda indietro. La tua vita è quella, rassegnati.
No. Qualunque fine riservi per lui il futuro, lui non ha nessuna intenzione di vivere l’inferno un’altra volta. Ne ha avuto abbastanza. Si volta e guarda di nuovo avanti. Muove un passo malfermo. Poi un altro, e un altro ancora, sempre più veloce. Avanti. Jesse Pinkman corre.