“È finita” (Saul Goodman – Tutto torna 5×15)
Le parole di Saul Goodman ancora rimbombavano nella sua testa, mentre Walter White marciva in quella catapecchia su nello “Stato di Granito”, il New Hampshire. Lì non è solo il cancro a mangiarsi Walt dall’interno, ma la morsa gelida dell’inverno perenne, la stilettata d’acciaio dell’inutilità: che sia stato tutto per niente? Walt, il professore di chimica del liceo ultra-qualificato; Walt, il genio che ha sfiorato il premio Nobel; Walt, il kingpin degli Stati Uniti sud-occidentale. L’uomo che ha ingoiato l’orgoglio a badilate per tutta la vita e poi la rigurgitato sotto forma di peste per il mondo non può accettarlo.
Solo una piccola spinta a decidere il destino di un uomo sull’orlo del precipizio. Una spinta o una mano tesa a scegliere se morire da Walt o da Heisenberg. Walter White ha ancora un piccolo barlume di coscienza da credere ancora che le due entità siano separate. Da sperare quasi che il “farlo per ma famiglia” sia una scusa ancora abbastanza potente da reggere fino a quando quel corpo non si consumi definitivamente e annulli la coscienza stessa. Gli piace credere che sia Walt, quello che un giorno decide di abbandonare la catapecchia per la cittadina e riunirsi con l’umanità attorno a un bicchiere, attendendo la polizia per terminare da uomo quella vita.
Ma quello non è Walt. Quello non è nemmeno Heisenberg. E ciò diventa chiaro quando i volti di Gretchen e Elliott Schwartz appaiono sul piccolo schermo di una televisione rattrappita.
L’entità Walt-Heisenberg lo capisce dal bruciore che formicola alla bocca dello stomaco e che – come un incendio – divampa per ogni fibra del suo essere, inonda ogni cellula del suo organismo. L‘orgoglio de genio della chimica votato alla grandezza, sì, ma ancora prima della droga e della blue meth, di Jesse e di Gus Fring: è il genio della Gray Matter, quello che è sempre esistito e che era stato sepolto sotto strati di quella che potremmo chiamare – a volte, purtroppo, per qualcuno – vita. Una vita fatta di piccoli abusi e umiliazioni quotidiani, di accontentamento, di dimenticanze, di “dai poi” e “non fa niente, va bene così”.
Quello che l’entità umana vede ha il potere di fare ciò che la sua intera esistenza non era riuscita a fare: fondere le due parti di sé che un tempo neanche credeva disunite, facendole defluire verso un’unica direzione. Quello he si alza si alza per correre a vendicarsi non è il Walt insegnante di chimica del liceo e non il l’Heisenberg signore della blue meth: è Walter White, l’uomo finalmente completo, che corre ad abbracciare il fulcro della sua esistenza.
E cosa resta a Walter White dopo aver vendicato il vendicabile, salvato il salvabile, persino donato il famigerato denaro “per la famiglia” alla sua famiglia, anche se in modo indiretto?
A Walter White non resta che morire, dopo aver chiuso la sua esistenza in un cerchio perfetto e completo, addormentandosi là dove si era risvegliato. Breaking Bad in questo è stata una danza cruda tra i dilemmi umani, portandoci più di una volta a chiederci se quest’uomo meritasse o meno la vita. Quasi ironico: l’uomo morente che lotta con i denti per la vita e muore proprio quando forse ne ha raggiunto la compiutezza più concreta e onesta.
Ma se non fosse andata così?
Breaking Bad è dominio, proprio per la sua complessità, delle teoria più azzardate. Eppure esse sono quasi sempre spiegabili in virtù del fatto che personaggi così profondi avranno sempre la possibilità di nascondere nuove pieghe nel loro animo stratificato. Così se Gus può diventare un tortuoso informatore della CIA, così il nostro Walter White potrebbe assurgere a nuova vita. Così vediamo la nuova entità, spogliata dal passato, alzarsi in quel laboratorio e muoversi goffamente verso un luogo indefinito, alla luce della luna potrebbe sembrare quasi un fantasma e forse lo è per davvero.
“Sì?”
“Sono io, sono pronto”
Il fantasma ci ha messo quasi quattro giorni a convincere “l’uomo che fa cambiare vita” che i suoi propositi sono questa volta onesti. A Ed non piace che gli si menta, a Ed non piace che gli si faccia perdere tempo. Chi glielo dice che lui non è più neanche la stessa persona? Walt si fa chiamare ancora Walt per comodità, ma quasi trae un sospiro di sollievo quando Ed comincia a chiamarlo “Hal”. Un suono nuovo, completamente diverso, che sente però già cucito addosso. Con quel nuovo nome – Hal – sente già che Albuquerque sfuma davanti a lui e persino il sole così forte del New Mexico comincia a dargli fastidio.
“Mi stai ascoltando? Dicevo, il tuo nuovo nome completo è Hal Wilkerson. Vivrai a Jacksonville con tua moglie, farai qualche generico lavoro come colletto bianco… insomma, poi ti darò i dettagli. Questo è la tua nuova assicurazione, i numero di previdenza sociale e i documenti…”
“Eh, moglie?”
Quando Hal Wilkerson da Star City California mise piede in Jacksonville, l’odore del mare sembrò avvolgerlo come una seconda pelle per non abbandonarlo mai più. Albuquerque era sfilata velocemente sull’asfalto che dal Nuovo Messico l’aveva portato in Florida e gli ultimi rimasugli di Walter White si erano sbriciolati nel vento. Almeno fino a quel momento. Il momento in cui Hal incontrò Lois. La donna che doveva essere sua moglie aveva qualcosa della vecchia Skyler, questo Hal non poteva fingere di non notarlo: all’inizio fu qualcosa nell’aspetto, nei capelli o nello sguardo, poi fu qualcosa nella personalità. Hal non aveva intenzione di essere assolutamente Heisenberg, ma neanche di essere completamente Walter, eppure si ritrovò a vivere un déjà-vu di quelli che capitano una volta sola nella vita.
Eppure in quella stanza senza finestre, il primissimo vero istante con la sua futura moglie, Hal capì che quella era la scelta giusta. Lois, mani in grembo e sguardo basso da donna morigerata, gli arrivò a pochi centimetri dal naso e gli fece un sorriso amabile senza denti.
“Non mi interessa chi eri prima, se eri un serial killer sociopatico o un signore della droga o un ergastolano con tendenze maniacali o chissenefrega: in casa comando io, il nostro primo figlio sarà un maschio e si chiamerà Francis. Se accetti queste condizioni, per me possiamo iniziare da domani una nuova vita”.
“Ok”.
Come diavolo facesse a sapere che il loro primo figlio sarebbe stato effettivamente un maschio, questo Hal non lo sapeva. Però sapeva che poteva crederle: c’era una luce di sincera maniacalità nel suo sguardo, che ogni parte del suo essere passato e presente non poteva non apprezzare. Quella donna l’avrebbe davvero accettato totalmente, in ogni sua minima parte. Eppure Heisenberg fiorì solo per un istante, quando fece un ghignetto di irritante arroganza.
“Lo fai per i soldi?” Chiese, col tono di peggiore accondiscendenza che riuscì a trovare.
“Sì, lo faccio per i soldi. Ci serviranno per la casa. Oh e per il recinto di legno bianco che voglio da quand’ero bambina e che costruirai tu”, rispose Lois, con quell’amabile sorriso.
Hal rise, rise tantissimo e un po’ tossì, tossi tanto perché se anche il cancro era in remissione non era ancora del tutto finita. Lois inclinò la testa di lato, senza smettere di fare quella faccia che o spaventava e accoglieva. “E ci sbarazzeremo di questo cancro, davvero non ci serve a niente”. Hal non aveva idea di come l’avesse capito, persino Ed aveva lasciato trasparire un pizzico di sconcerto. Comunque annuì perché quella donna l’aveva sconfitto prima ancora che gli si formasse in testa l’idea di combattere. La nuova entità Hal non voleva avere nulla a che fare con l’orgoglio né con l’umiliazione. Sentiva nascere una prepotente voglia di leggerezza dal profondo delle sue viscere. Era fatta.
“Oh la coppia di sposini si piace, evviva!” Ironizzò Ed, mentre usciva. “Vi porto alla vostra casa, andiamo”.
Lois annuì e finalmente fece un sorriso vero, si girò verso di lui e gli allungò una mano, che lui prese quasi senza esitare. Era gelida, ma a lui faceva quasi bene dopo tanto sole giù in New Messico. Lei continuava a fissarlo con insistenza e Hal si girò “C’è qualcosa che non ti piace?” Lois sorrise e indicò la barba “Questa via”. Hal se la toccò e pensò che fosse già stato strano che non gli fosse scivolata via insieme alla sua vecchia faccia da Walt-Heisenberg. Annuì e la donna rise “Mi hai preso in parola!”, “Voglio una nuova pazzesca vita”.
“Oh, ce l’avrai. Io sono Lois, comunque!
“Io sono Hal, Hal Wilkerson”.
Se avesse dovuto dire quando esattamente Walter White si trasformò in Hal Wilkerson a tutti gli effetti, senza che quest’ultimo non fosse una sorta di pantomima eccezionalmente recitata, non avrebbe saputo dirlo. Forse fu la prima che misero una tenda nella loro nuova casa. O quando decise di abbracciare una delle mie attività astruse alla quale si dedicò con leggero divertimento. Forse fu quando allacciò il suo sguardo a Francis per la prima volta. Forse era vero quando si diceva che mantenere una maschera troppo a lungo la trasforma nella tua faccia.
Quello che Hal poteva dire era che a un certo punto persino pensare a Walter White lo infastidiva, come quando si indossa un paio di scarpe troppo piccolo e doloroso per il nostro nuovo piede. Il nome stesso gli srotolava male la lingua, gli creava disgusto. Quanto a Heisenberg, aveva l’impressione che a volte si materializzasse sottoforma di spirito oscuro in sua moglie. Eppure, quelle poche volte che arrivò a pensare a Jesse o a Walter Jr. (tipo alla nascita d Francis), oppure a Skyler – come quando Lois si fece quella pettinatura così simile alle sue, Hal si sentiva calmo, pacifico, lontano. Era diventato un piccolo palloncino colorato ripieno di leggerezza, che volava sospinto dal vento in un blu che per lui era ormai solo un blu cielo.