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Walter White e Gustavo Fring, l’originalità del male

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Ci sono molti modi per definire il male. Uno dei più efficaci prese vita nel 1963 grazie alla penna geniale di Hannah Arendt, autrice di un saggio che disse tanto della tragica epopea nazista. La scrittrice tedesca, testimone diretta del processo che vide protagonista in Israele il gerarca nazista Adolf Eichmann, definì il male nella sua essenza più infantile con un termine semplicissimo: banale.

Arendt sosteneva infatti che il male perpetrato da Eichmann – come dalla maggior parte dei tedeschi che si resero corresponsabili della Shoah – non fosse legato ad un’indole maligna, ben radicata nell’anima, quanto piuttosto ad una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni.

Nacque così “La banalità del male”, opera imprescindibile per cogliere a pieno le dinamiche che portarono alla concretizzazione del sogno di Adolf Hitler. Conclusa la premessa necessaria, si può affermare con certezza che la teoria della Arendt, seppure capace di affrontare con grande lucidità il tema affrontato, non si possa considerare una massima universale. Il male ha mille forme e svariate rappresentazioni nella storia dell’uomo, della letteratura, del cinema e, in ultima battuta, delle serie tv.

Breaking Bad è un ottimo esempio in questo senso, e il parallelismo creatosi tra due personaggi cardine della saga creata da Vince Gilligan, Walter White e Gustavo Fring, capovolge il concetto, portandoci ad utilizzare il termine “originale”. Il male è originale, nel loro caso. E ripercorrere la loro storia è indispensabile per chiarire questo punto di vista.

Così simili, così diversi 

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Se si decide di rivivere il rapporto che ha unito i due, non si può non partire da un presupposto fondamentale: era un rapporto lavorativo privato di qualunque forma di umanità, portato avanti unicamente in virtù dell’indispensabilità dell’uno nei confronti dell’altro. Walter White non sarebbe diventato Walter White in assenza di Gustavo Fring, mentre Gustavo Fring non avrebbe portato a termine una vendetta lunga vent’anni circa in assenza di Walter White.

La simbiosi, tuttavia, non porta sempre ad una convivenza pacifica. Specie quando si parla di due uomini con smanie d’onnipotenza. Volevano conquistare il mondo, e volevano farlo senza dividere il trono con qualcun altro. Per portare avanti un progetto del genere, oltretutto nell’universo sotterraneo della droga, non si può essere persone buone. Si può far finta di esserlo, al massimo. La tendenza al male, nel loro caso, non è fine a sé, ma non è altro che uno strumento per raggiungere un obiettivo. Con pragmatismo, senza mezze misure.

Il male traccia la strada più corta da affrontare, sempre e comunque. Nel loro caso è una necessità per un piano più grande. Essere buoni, invece, non è mai banale. Si prende la strada più lunga ricercando sempre un compromesso tra le proprie esigenze e quelle degli altri. Si è altruisti, semplicemente. Ma questo non implica che il male non possa essere originale. Riprendendo il pensiero della Arendt riguardo i nazisti, il male, talvolta, è consapevole. Come nel caso di Walter White e Gustavo Fring.

La necessità del male 

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Non si nasce mai buoni o cattivi, si diventa tali. Si affronta un percorso e si valutano i pro e i contro dei bivi che la vita ci mette di fronte. Trascinati da impulsi diversi (l’onnipotenza è l’ultimo step, la voglia di rivalsa nei confronti di una vita frustrante o di una famiglia messicana che ti ha portato via il partner più fedele è il primo), il male si trasforma nello strumento più istintivo di protezione di se stessi. E assume le forme più disparate, rendendo di volta in volta originale un male. A patto che l’obiettivo finale sia parte della persona coinvolta, non di un leader che spinge in quel senso un esercito di marionette.

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Gustavo Fring ha trasformato Walter White in Walter White nel momento in cui il chimico ha accettato definitivamente il cono d’ombra della propria anima. Il passaggio, fatto molti anni prima dal cileno, segna definitivamente il confine che separa il male inconsapevole da quello consapevole. In quel momento, e solo in quel momento, si trasforma in una scelta lucida ed estremamente soggettiva nei presupposti e negli obiettivi.

Una strada più corta da affrontare, come si diceva prima. Una via disumana, l’unica che azzera ogni sensazione lasciando spazio unicamente alle emozioni che si provano in relazione all’obiettivo da raggiungere. L’uomo, quando abbraccia consapevolmente il male, diventa una macchina. Una macchina da guerra. Una volta che si arriva alla fase Z, non esistono più giustificazioni possibili.

La morte di Fring è chiarificatrice in questo senso. Una volta raggiunto l’obiettivo, il cileno ha lasciato spazio ad un sentimento che è stato allo stesso tempo un grande punto di forza e il più pericoloso tallone d’Achille, l’orgoglio. Voleva uccidere personalmente Hector Salamanca, e ha trovato la morte per mano di un uomo che, dopo aver accettato il suo essere maligno, ha percorso l’unica strada possibile. Da lì è iniziata l’epopea di Walter White e nello stesso momento è iniziato il suo declino. Un po’ come la sua nemesi dopo aver vendicato la morte del socio. È stato sempre più simile a Gustavo Fring, fino a perdere tutto. L’obiettivo è stato raggiunto, ma a che costo? Si è posto la domanda, certamente, ma probabilmente avrebbe rifatto tutto quello che ha fatto. Perché ha vinto la sua battaglia, nonostante tutto, e questo è stato più importante di tutto. Il male ha prevalso sul bene, senza essere mai banale.

Vivi libero o muori, recita un mantra di Breaking Bad. Una questione di scelte nella quale il male è necessario. Sii cattivo o muori, si potrebbe aggiungere. E questa, nell’incredibile mondo creato da Gilligan, è la più importante delle verità. L’unica cosa che conta è capirlo, e accettarsi per quello che si è. Nel bene e nel male.

Antonio Casu