Prodotta dal canale FX, Breeders è la dark comedy più cinica e cruda che possiate trovare su Disney+ (vi ricordiamo che abbiamo stilato una classifica aggiornata delle migliori serie che trovate nel catalogo Disney+ qui)
Creatore e protagonista della serie è Martin Freeman (Paul nella serie) nel ruolo di padre di una famiglia tutt’altro che perfetta, che stenta insieme a sua moglie Ally (Daisy Higgard) a badare ai due figli piccoli e a intraprendere la nuova vita da genitore. Breeders però è tutt’altro che una semplice serie sulle difficoltà di genitori alle prime armi, e questa consapevolezza arriva durante il corso delle puntate, in cui i temi che vengono presentati e quasi celati dal black humor divengono via via più complessi, e lo spettatore comincia a chiedersi se le piccole cose per cui ha riso fino a quel momento fossero realmente semplici elementi comici a sé stanti. Ad esempio? La notte in bianco della primissima puntata causata dalle paure irrazionali di un figlio non così piccolo da tenere i genitori svegli fino all’alba, o dei gesti violenti del bambino nei confronti degli amichetti di scuola, trattati con leggerezza eccessiva da parte di un padre con scarso autocontrollo e di una mamma sempre più presa dal lavoro che la porta lontana da casa e dal suo paese per lunghi periodi di tempo.
A complicare le cose è poi l’arrivo improvviso del padre di Ally, Michael (Michael McKean), nomade e senza un soldo, mai sufficientemente presente nella vita di sua figlia fino a quel momento, che però si dimostra efficiente nel ruolo di nonno. Ciò traspare soprattutto quando spiega ai bambini tematiche complesse come quella della morte che, per uno scherzo beffardo del destino, coglie proprio lui in un incidente tragicomico. Mentre però i bambini vivono serenamente la dipartita del nonno che “non è realmente morto se riesco a pensarlo, è vivo dentro di me”, sua figlia si dimostra completamente impreparata alla gestione del lutto di suo padre, troppo assente nella sua infanzia per essere perdonato e salutato con serenità. Tutto questo rende ancora più marcato il vero punto focale della serie, che non è nel rapporto tra Paul e Ally e i loro figli, ma tra Paul e Ally e i loro genitori, distaccati e anaffettivi, soprattutto nel momento del bisogno. Neanche quando Paul, infatti, si trova da solo a fare i conti con un grave malore del figlio, suo padre Jim (Alun Armstrong) riesce ad abbracciarlo (“se fossimo persone diverse ti abbraccerei, ma non lo siamo”).
Si può essere dei buoni genitori se non si ha avuto il giusto esempio? Si può essere dei buoni genitori senza esser stati prima di tutto figli? Ma soprattutto, è sufficiente essere genitori per essere una famiglia?
Ally e Paul, infatti, non si sono mai sposati poiché “l’avere un figlio batte il pezzo di carta”, ma il loro rapporto è in bilico sempre più precario, e la presenza dei figli non può risanare conflitti di coppia mai affrontati e conflitti interiori dei singoli protagonisti, soprattutto non può non avere ripercussione sui figli stessi.
Ed ecco che ripensando alle prime puntate ci si comincia a chiedere se i capricci di un bambino di 7 anni non fossero costanti ricerche di attenzione e soprattutto di approvazione da parte di un padre che arriva a rivolgersi a lui con epiteti sempre meno nobili (“co***one, buono a nulla”). Un padre che arriverà a pentirsi dei suoi comportamenti solo quando rischierà di perderlo suo figlio, arrivando persino a pensare senza alcuna ipocrisia che se il destino ha deciso di portarsi via un bambino, vorrebbe tanto che fosse il figlio della donna conosciuta nell’aria fumatori dell’ospedale a morire, non il suo, e a pregare un Dio al quale non crede di far guarire il figlio perché se guarisce “divento il migliore genitore del mondo”.
Esiste il migliore genitore al mondo? Paul non riesce a placare i suoi scatti d’ira nei confronti del figlio neanche quando ritorna finalmente a casa dopo la malattia, ma intraprende un percorso di terapia che spera lo aiuti a cambiare, e rendersi conto del problema è forse già un grande passo verso la risoluzione.
Breeders è tutto questo e molto altro, e le 10 puntate che formano la prima stagione sono soltanto la punta dell’iceberg, la vera trama è quella scritta tra le righe di una sceneggiatura che resta comica e leggera nonostante tutto, e che anche nei momenti più seri e oscuri sfodera una pungente ironia (e se scrivere una dark comedy di spessore come Breeders non basta, vi ricordiamo gli altri motivi per cui amare Martin Freeman in questo articolo del nostro archivio).
Breeders è la dark comedy di cui tutti i genitori avevano segretamente bisogno non per avere una visione di vita imperfetta senza ipocrisie, ma per rendersi conto che non è mai troppo tardi per imparare a essere genitori.
Non ci resta altro che aspettare la seconda stagione, già confermata e girata, per capire l’evolversi della vicenda.