Attenzione, l’articolo contiene spoiler delle due stagioni di Bridgerton.
Quando la prima stagione di Bridgerton aveva fatto il suo esordio su Netflix nel Natale del 2020, era stato chiaro fin da subito quali fossero i suoi ingredienti principali: un’atmosfera frizzante e leggera, ideale tra l’altro per evadere dalla realtà nel complicato periodo in cui è uscita la serie, ma soprattutto moltissimo trash, unito alle scene più o meno spinte del Duca di Hastings (state pensando al cucchiaino, lo sappiamo) e il risvolto gossipgirliano rappresentato da Lady Whistledon e l’indagine sulla sua identità. Si tratta di ingredienti che, per lo scopo apparente della serie – quello di far svagare e rilassare il pubblico, immergendolo in setting che richiamano Orgoglio e Pregiudizio e fanno sognare con danze e abiti eleganti – hanno funzionato alla grande. Proprio per questo può stupire che per la seconda stagione la ricetta sia molto cambiata. L’assenza del Duca di Hastings, che (a sorpresa) non si è fatta per niente sentire, era già stata annunciata da tempo. Ma, oltre a questo, ha sorpreso una drastica riduzione del trash.
Cosa è cambiato, dunque, nel tono della narrazione di Bridgerton? E in che modo la serie ne ha beneficiato?
Innanzitutto, occorre precisare che in termini di atmosfera generale non sono state fatte grandi modifiche. La linea intrapresa per raccontare le vicende è sempre molto fresca e ironica, costellata dei cliché del genere e di situazioni anche piuttosto prevedibili: ad esempio, qualcuno ha mai avuto qualche dubbio sull’happy ending? Qualcuno ha mai sospettato che Anthony si sarebbe potuto mettere davvero con Edwina e non con Miss Sharma? Possiamo dire che non c’è stata nessuna mutazione genetica nel DNA di Bridgerton.
Anche per quanto riguarda le situazioni tipo, aderenti ovviamente a quelle dell’epoca raccontata, non c’è nessuna deviazione dalla prima stagione. Lo scopo per ogni fanciulla – o per la sua famiglia – è quello di trovare un marito; il passatempo più grande è quello di ricevere inviti per andare a bere il tè da qualche parte e se c’è un ballo sappiamo già per certo che succederà qualcosa di compromettente.
La modalità narrativa, però, è cambiata. L’assenza del Duca può essere paradigmatica in questo senso. A lui, nella prima stagione, era legata la maggior parte delle scene esplicite. Il momento erotico sembrava essere fulcro di Bridgerton, una caratteristica propria dell’essenza della serie. Invece, in questa seconda stagione, le scene esplicite sono dosate con grandissima parsimonia. Lo showrunner Chris Van Dusen ha dato le sue motivazioni in un’intervista per RadioTimes.com:
“Non abbiamo mai fatto una scena di sesso solo per il gusto di farla e non credo che lo faremo mai. Quella tra Anthony e Kate è una storia diversa, con uno scopo diverso. E questo progetto mi ha attratto anche perché potevo raccontare storie d’amore differenti in ciascuna stagione.”
Le scene esplicite sono state sostituite da un altro tipo di intimità.
Cosa succede, quindi, al posto di tutti questi momenti focosi che occupavano gran parte della prima stagione? Bridgerton 2 ci racconta un nuovo tipo di intimità, più psicologico e cerebrale, che ha il pregio di far percepire una tensione ancora più alta, creando tutto un gioco di sguardi, attese e tentativi di autocontrollo. Lo spettatore esplora la dimensione mentale dei personaggi che non perde di intensità solo perché si sposta da quella fisica, ma anzi, può risultare ancora più forte. Ci dice molto di più la scena del ballo in cui Edwina spinge ingenuamente Kate a danzare con Anthony e i due si ritrovano a sfiorarsi e volteggiare in una stanza piena di gente, obbligati a dosare ogni gesto, che una qualsiasi scena di sesso tra Daphne e Simon.
Jonathan Bailey, l’interprete di Anthony, ha commentato questo risvolto:
“Penso che Kate e Anthony si sentano espliciti nel modo in cui si sentono nudi l’una di fronte all’altro. Penso che sia anche un modo molto interessante e cerebrale di esplorare una certa sessualità innata, e penso che faccia davvero ben sperare per le stagioni a seguire. Voglio dire, Bridgerton non è solo sesso”.
Il discorso, tuttavia, non riguarda solo le scene esplicite. Se diamo uno sguardo più ampio alla seconda stagione di Bridgerton ci accorgiamo dell’assenza di qualcos’altro: il trash. Non ci sono più scene così assurde o grottesche che ci fanno strabuzzare gli occhi o scuotere il capo. La mano non è più calcata sulla caricatura e sull’eccesso perché l’attenzione è trainata verso un’altra direzione.
La caratterizzazione dei personaggi diventa fondamentale nella seconda stagione di Bridgerton.
Il risvolto interessante è proprio questo: mettere da parte le assurdità e le situazioni rocambolesche ha dato la possibilità di scrivere scene e dialoghi di una profondità ben diversa rispetto alla prima stagione e a beneficiarne in particolar modo è la psicologia dei personaggi.
Nella prima stagione, a dare spessore al Duca di Hastings era la storia alle sue spalle. Il rapporto complicato con il padre e l’infanzia difficile servivano a giustificare i suoi comportamenti nel presente e le sue idee riguardo il matrimonio e la paternità. A livello psicologico, però, Simon non ha mai dato l’impressione di avere caratteristiche ben precise, riconoscibili, da personaggio a tutto tondo. Ricopriva un ruolo piuttosto stereotipato, l’aitante belloccio di turno che fa perdere la testa all’ingenua fanciulla tutta perfetta.
E in questo tutta perfetta risiede invece lo stereotipo di Daphne, che abbiamo amato vedere nei suoi meravigliosi abiti azzurri, ci siamo divertiti a seguire alle prese con la scoperta della sessualità e abbiamo condannato per alcune scelte, ma che – come nel caso del Duca – ci ha convinti poco a livello caratteriale. Non è mai uscita dai binari preconfezionati della sua tipologia di personaggio. Nell’insieme, dunque, i due protagonisti ci hanno fatto battere il cuore per ciò che hanno fatto, ma mai per ciò che erano.
Con Anthony e Kate la storia è ben diversa.
Del maggiore dei fratelli Bridgerton avevamo visto qualche aspetto già nella precedente stagione, restando non sempre favorevolmente colpiti dalla sua serietà, quasi rigidità, nei confronti di qualsiasi cosa. Certo, il senso di responsabilità per essere diventato Visconte dopo la morte del padre e avere il futuro della famiglia sulle spalle non è cosa da poco, ma la prima stagione non era scesa nei dettagli della situazione.
La seconda stagione, invece, ha dato al personaggio tutta la profondità che si era solo intravista. Come nel caso del Duca, abbiamo un quadro più preciso del suo passato: le scene flashback sono molto toccanti e chiariscono gli atteggiamenti di Anthony. Ma a differenza del primo protagonista maschile, Anthony appare come un personaggio complesso al di là della sua storia personale.
Vediamo un uomo che si trova spaccato in due tra il senso del dovere e ciò che desidera realmente il suo cuore. Ma vediamo anche un uomo che, all’inizio, non si fida molto dell’amore e si trova in cerca di una sistemazione molto più pragmatica che sentimentale. Nel corso della stagione, Anthony cresce e si evolve, imparando dapprima ad ammettere i propri errori – seppur con fatica – e ad accettare i propri limiti, poi uscendo dalla comfort zone e dando spazio ai propri sentimenti.
Kate, dal canto suo, non è la solita protagonista dei romance in cerca del principe azzurro.
Il personaggio di Kate si distingue subito da altri personaggi appartenenti al genere e a differenza di Daphne (che comunque in questa seconda stagione acquista più brillantezza, è la prima ad accorgersi di come stiano andando davvero le cose) è molto più reattiva e intraprendente. Anche Kate ha una storia alle spalle che giustifica le sue azioni e il senso di responsabilità per la sua famiglia è una sorta di specchio di quello di Anthony. I due personaggi, infatti, sembrano detestarsi a prima vista, ma hanno molti lati in comune. Questo guardarsi allo specchio reciproco dà una prospettiva curiosa e interessante.
Inoltre, Kate – come anche Eloise – accende i riflettori sulla questione femminista e sulle modalità con cui le donne dell’epoca abbiano cominciato a cercare di ritagliarsi il proprio spazio e i propri diritti. Anche questo aspetto accentua la sua diversità: avreste mai visto Daphne farsi grandi cavalcate sotto la pioggia o addentrarsi nel bosco da sola con un fucile più grande di lei per far vedere quanto fosse brava a cacciare?
E anche Kate è obbligata a uscire dalla propria comfort zone, fare i conti con la propria famiglia e scendere a patti con quello che le dice il cuore, ben diverso da ciò che le suggerisce la mente. Non è una figura statica, ma cresce nel corso della narrazione.
In conclusione, la scrittura più dettagliata dei personaggi principali (che troviamo, comunque, anche in quelli secondari) dà spessore a tutto il resto, creando delle dinamiche accattivanti e momenti di intensità, oltre a favorire l’immedesimazione degli spettatori. Le situazioni, portate sul piano psicologico, risultano molto intriganti e i dubbi e tormenti dei protagonisti sono raccontati in modo credibile, oltre che coinvolgente