ATTENZIONE: l’articolo potrebbe contenere spoiler su Briganti, la serie italiana appena sbarcata su Netflix!!
Briganti sta facendo già discutere di sé. Tra critici televisivi, storici e appassionati di dibattiti. E questo sembra essere un punto a suo favore. Non ci sono stroncature unanimi, né applausi entusiastici. C’è solo del materiale su cui discutere. Che non sarà forse materiale eccelso, ma che è comunque un buon punto di partenza per parlare della televisione italiana e della direzione che sta prendendo la branca delle serie tv. Partiamo da un elemento scontato, che così scontato poi non è: Briganti è l’ultima serie tv italiana ad essere approdata su Netflix (ecco le migliori della piattaforma) ed è un dramma storico.
Già questa è una notizia, perché tra le produzioni Netflix made in Italy non ci sono titoli rilevanti di questo genere.
E il discorso, se vogliamo, è ancora più ampio. Le serie tv italiane, a parte qualche eccezione, non spiccano sul fronte dei period drama. I progetti su cui ha investito Netflix poi, hanno avuto una qualche fortuna solo quando si è rimasti nella comfort zone dei generi televisivi del dramma e della commedia. Ogni volta che si è provato ad innestare elementi diversi (azione, avventura, un pizzico di fantascienza o fantasy), il risultato non è stato straordinario. Basti pensare a titoli come Luna Park, Luna nera o Curon, che non sono tra le punte di diamante della serialità italiana. Con Briganti, invece, il discorso è diverso. La serie è stata realizzata dai GRAMS*, il collettivo dietro la creazione di Baby (quo vadis?), e diretta da Antonio Le Fosse, Steve Saint Leger e Nicola Sorcinelli.
È un progetto innovativo, per certi versi sperimentale, che si concentra su un periodo particolarmente complesso della storia del nostro Paese. Briganti è ambientata alla fine dell’Ottocento, subito dopo l’Unità d’Italia. Anni particolari, anni complessi. Anni che hanno segnato un trapasso storico fondamentale per la nostra storia nazionale, ma su cui si è discusso (e si discute tuttora) parecchio. Il fatto è che Briganti si sfila subito dalla retorica postunitaria e racconta la sua storia seguendo un punto di vista diverso.
Protagonisti del racconto sono, per l’appunto, i briganti. Figure leggendarie, criminali, assassini, ribelli, ammantati qui da una certa aura di romanticismo. Eroi tragici, figure controverse, personaggi drammatici che hanno scelto di stare dalla parte opposta della storia.
La serie racconta in particolare la vicenda di Filomena De Marco (Michela De Rossi), moglie di un uomo violento e benestante, che la maltratta e la umilia e che lei, esasperata, uccide. Da questo crimine prende avvio il racconto sanguinario e avventuroso di Briganti. Filomena, attraverso una serie di peripezie, si ritrova a capo di una banda di briganti, alla ricerca del famigerato “oro del sud“. Un tesoro custodito dal generale Fumel (Pietro Micci), che rappresenta nella serie il nemico da abbattere. Una figura (realmente esistita, così come altri personaggi della serie) a metà tra il gerarca fascista e un ufficiale corrotto e sanguinario. Fumel rappresenta il potere del nuovo Stato unitario. O meglio ancora, dell’esercito piemontese, visto come l’invasore delle terre del Sud più che come il salvatore dell’Italia unita.
È qui che la serie strizza un po’ l’occhio a un certo revisionismo storico che, soprattutto negli ultimi anni, ha preso sempre più piede attorno a quello che oggi si definisce Neoborbonismo. Secondo i sostenitori della tesi, infatti, l’Unità d’Italia non sarebbe altro che un processo di saccheggio da parte dei piemontesi delle terre del Sud. Una truffa, un imbroglio, perpetrato ai danni di quel Mezzogiorno che, negli anni a venire, avrebbe faticato a stare al passo col resto del Paese. La serie si inserisce in questo contesto, assumendo il punto di vista dei briganti, capipopolo stremati da povertà e disuguaglianze sociali, delusi dal sogno garibaldino di un Paese unito e intenzionati a riprendersi con la forza ciò che credevano spettasse loro di diritto.
Il tesoro del Sud è il motore che spinge l’azione.
I briganti lo cercano per restituirlo al popolo, i piemontesi per portarselo al Nord. E sullo sfondo di questa avventurosa ricerca, si inseriscono le vicende dei vari personaggi. Briganti, fuorilegge, giustizieri, preti e fiancheggiatori che si muovono in un contesto particolarmente complesso come quello dell’Italia postunitaria. Il Mezzogiorno d’Italia, all’alba dell’Unità, è un mondo vasto e incontrollato. Selvaggio, scorbutico, recalcitrante. E i personaggi della serie sono esattamente così: sfuggono al controllo, non tollerano le regole, sono convinti di doversi fare giustizia da sé. Briganti dà l’impressione di voler essere una sorta di epopea di tanti piccoli Robin Hood sporchi e trasandati, che rubano ai ricchi e cattivi piemontesi per restituire al popolo.
Potrebbe sembrare un racconto populista, che sfugge a una certa retorica per abbracciarne un’altra, di segno completamente opposto. E forse, da un certo punto di vista, lo è. La visione manichea tra bene e male viene ribaltata. I personaggi sono sfumati e complessi, il racconto si fa appassionante proprio perché rifiuta l’ampollosità di certi temi e li propone sotto un punto di vista diverso. Ma Briganti vuole essere innanzitutto una serie tv di intrattenimento. Ha già scatenato ampie discussioni tra storici, ma l’intento principale dei suoi autori è quello di proporre una storia dinamica e appassionante, che sappia arrivare anche ad un pubblico internazionale.
La vetrina di Netflix consente alle produzioni italiane di avere una visibilità che va molto oltre i confini nazionali.
Per un pubblico straniero, magari poco avvezzo ai dibattiti sul revisionismo storico dell’Italia post unitaria, la serie potrà sembrare quello che è: un period drama selvaggio e caloroso, che strizza l’occhio al western di Sergio Leone e ci immerge in una ricerca romantica e appassionata di un tesoro nascosto. L’ambientazione di Briganti ci catapulta in un’epoca lontana, tra foreste inospitali e disagiate, ampie distese deserte in cui i personaggi appaiono e scompaiono, trascinati ora da un impulso ora dall’altro. La scenografia di Briganti colpisce proprio perché è in grado di trasportarci in un mondo distante, che si perde tra storia e leggenda. La fotografia è curata, presenta giochi di luce che è raro trovare nelle fiction storiche italiane.
Il prodotto è complessivamente di livello, nonostante difetti e ammaccature. La serie farà parlare molto di più di questioni storiografiche e documentaristiche piuttosto che artistiche. Un occhio attento ai dettagli storici, al di là di tutte le polemiche sul revisionismo, troverà sicuramente difetti e mancanze in questa serie. Ma, considerata nel suo complesso, come opera di intrattenimento da raccontare a un pubblico in cerca di racconti avventurosi e coinvolgenti, Briganti ha un qualcosa che la maggior parte delle altre produzioni Netflix made in Italy non ha. Un qualcosa che non è brillantezza stilistica, né meraviglia per lo sguardo. Ma che, mettendo insieme storia e leggenda, il romanticismo di certe storie perse nel tempo e il fascino di realtà territoriali piene di tesori nascosti da raccontare, una certa estetica western con gusti più moderni, riesce ad appassionare e coinvolgere.
Tutto si può dire su Briganti, fuorché non abbia avuto il coraggio di osare.
Osare innanzitutto puntando su un genere sul quale in Italia, ad oggi, non primeggiamo (ecco le 5 serie meno italiane di sempre). E osare scegliendo un periodo storico su cui ci si è soffermati poco, per giunta assumendo un punto di vista diverso rispetto alla narrazione più accreditata. Un’operazione simile, con un risultato sicuramente più degno di nota, l’ha fatta Romulus, scegliendo il mezzo del period drama per raccontare un’epoca su cui la televisione italiana non si era ancora mai veramente soffermata e che sembra invece fornire tanto materiale su cui poter lavorare. Ma, scansando ogni sorta di paragone, Briganti è una serie coraggiosa, che non ha avuto paura di sperimentare. Ha proposto qualcosa di diverso, nella sceneggiatura, nell’ambientazione, nei toni, nei riferimenti artistici.