Se Amazon Prime Video si fregia, almeno in Italia, di un prodotto di eccellenza come The Office, la risposta di Netflix è senz’altro affidata a Brooklyn Nine-Nine. Pur con stili diversissimi le due comedy dominano il panorama seriale con un successo senza pari. Le ragioni di tale fortuna non sono solo da ricercare nella capacità di coinvolgere e divertire lo spettatore ma soprattutto nell’eccezionale profondità che si nasconde dietro la risata.
In The Office dietro l’apparenza goliardica e le piccole grandi disavventure dei protagonisti si cela un’attenta capacità di tratteggiare la personalità di ogni figura e un’attenzione ai valori della quotidianità che prorompe con forza nel meraviglioso finale, in quel commiato commosso che ci ha ricordato la straordinaria bellezza delle cose ordinarie. Brooklyn Nine-Nine in questo non è da meno. A episodi esilaranti e dall’irresistibile intreccio unisce anche la trattazione di problematiche tutt’altro che superficiali.
Certo, quello che ci colpisce a primo acchito è la leggerezza rilassante della serie.
La sua capacità di incuriosirci, divertirci e coinvolgerci grazie a una trama mai banale, in cui l’intreccio diventa elemento di grande attrattiva al pari degli sketch comici. Pensiamo solo alle indagini a trama verticale: di episodio in episodio l’espediente narrativo poliziesco non è mai semplice contorno ma diventa motivo di interesse per lo spettatore. I casi da risolvere intrigano e portano a risvolti spesso inaspettati, il tutto nella semplicità dei venti minuti canonici per una comedy.
Accanto a questo, naturalmente, non manca la forza dei personaggi con la loro caratterizzazione comica che ci restituisce figure originali (e sappiamo quanto sia difficile ormai nel mondo della comedy) ed esilaranti combinate insieme in un mix esplosivo. Alla scanzonata, tronfia e ribelle personalità di Jack Peralta fa da contraltare la rigida compostezza della burocratica Amy, ligia al rispetto di ogni direttiva e disperatamente alla ricerca dell’approvazione altrui. All’entusiasmo bambinesco e morboso di Boyle risponde quello narcisistico di Gina, all’isterismo del tenente Terry l’imperscrutabile compostezza e rigidità del capitano Holt. Senza dimenticare il duo più sottovalutato, quello dei “pappa e ciccia” Scully e Hitchcock.
All’alchimia che lega ogni personaggio all’altro si sovrappone anche una costante evoluzione delle figure che nel tempo si modellano e si ridefiniscono nei rapporti con gli altri e con loro stessi: è il caso di Peralta su tutti, capace di rivedere il suo status di incallita mina vagante per riscoprirsi accorto e affidabile detective. Insomma, a far le fortune di Brooklyn Nine-Nine non sono solo le risate.
E c’è anche un altro grande merito di Brooklyn Nine-Nine.
Forse il più grande, quello che eleva la serie oltre i canoni di scanzonata comedy. Per comprenderlo dobbiamo passare in rassegna alcuni episodi che più di altri mettono in luce la qualità del prodotto di Netflix. Su tutti la 4×16 dall’esplicativo titolo “Moo Moo” (qui un’analisi approfondita). Come i fan più attenti ricorderanno la puntata si concentra principalmente sulla vicenda di Terry, fermato e maltrattato da un agente di polizia ignaro dell’identità dell’uomo.
Buona parte della trama ruota attorno ai dubbi di Terry sull’atteggiamento da adottare a seguito dell’accaduto. Da un lato denunciare un collega sarebbe una macchia non da poco sul curriculum, dall’altro lasciare impunito il comportamento pesa sulla sua morale. Non è solo questo, però: come sottolinea il capitano Holt evitare di far rapporto vorrebbe dire privilegiare la sua carriera futura e permettergli quindi, una volta assunta una posizione di prestigio, di cambiare l’intero sistema, la mentalità bacata dietro quel comportamento. Lasciarne uno per punirne cento, insomma.
Il fatto che sia proprio Holt, una figura tra le più positive della serie, a presentare questa possibilità deve far riflettere. Si tratta di una scelta deliberata: lo stesso capitano, in passato, aveva tollerato forme di razzismo con la promessa di debellarle una volta fatto carriera. Brooklyn Nine-Nine ci presenta qui due scelte ugualmente valide, che mettono in serio dubbio le nostre convinzioni e ci fanno riflettere sul senso della giustizia.
La scelta di Terry, alla fine, è quella di non lasciare impunito il comportamento, di non avallarlo implicitamente.
Una decisione carica di responsabilità e forza morale. Avete capito, insomma, di che merito stiamo parlando in Brooklyn Nine-Nine? Anche nel novantanovesimo episodio della serie emerge la forza di un racconto che si fa riflessione profonda: è la puntata del coming out di Rosa, della rivelazione della sua bisessualità con tutte le conseguenze del caso, dall’accettazione partecipe degli amici alle rimostranze dei genitori. Un tema che continua a svilupparsi anche nei successivi episodi.
Ancora, nella 6×08 sono il sessismo e le molestie sessuali sul posto di lavoro a catalizzare l’attenzione con una trattazione attenta e del tutto realistica: la scelta finale della vittima di cambiare comunque lavoro è dovuta alla consapevolezza che ormai, compromessa socialmente, non avrebbe più potuto far carriera. Una visione lucida, fredda e senza rimpianti. Non si vuole qui ridimensionare la denuncia di molestie ma mostrarne realisticamente anche le tristi conseguenze, quelle che non devono essere ignorate e che si possono cancellare solo col cambio totale di mentalità.
Non manca neppure la velata critica sarcastica alle esagerazioni di un comportamento politically correct, ben esemplificate dagli imbarazzi di Peralta nel tentare di risultare il meno sessista possibile nei riguardi di Amy. Insomma, una visione del problema a trecentosessanta gradi pienamente reso in appena venti minuti di comedy.
Eccolo allora il grande merito di Brooklyn Nine-Nine.
Non la risata ma la profondità che si nasconde dietro la risata: l’attenzione all’attualità nei più pressanti temi sociali del momento affrontati in meno di mezz’ora con una maturità e senso critico senza precedenti. Non c’è solo (e non tanto) la stanca morale e il “fare la cosa giusta” ma l’analisi delle conseguenze dell’agire, l’indagine sui meccanismi che spesso rallentano o peggio ancora annullano “la cosa giusta”. Il tutto senza esprimere giudizi di parte ma affidando allo spettatore la riflessione finale.
Per l’ottava stagione gli autori hanno già chiarito che non verranno trascurati i profondi rivolgimenti sociali di quest’anno, in particolare il riesplodere delle polemiche sul razzismo latente (anzi, scoperto?) delle forze dell’ordine negli Stati Uniti. L’intera stagione, che si sta girando proprio in questi giorni, è stata interamente riscritta per adattarsi alla pressante tematica. L’ennesima conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che il vero e grande merito di Brooklyn Nine-Nine non sono le risate.