Buttafuori è una sitcom poco blasonata, una di quelle che nascono in disparte, ma che in realtà occupano uno spazio ben preciso. Si rivolge a un pubblico di nicchia, infatti. A un pubblico in cerca di una comicità leggermente filosofica. Per questo, nel suo essere tragicomico, rimane un prodotto poco mainstream. Non è un caso che gli episodi nascano dalla mente di Torre, Vendruscolo e Ciarrapico. Quei tre sceneggiatori che, un anno dopo, daranno vita a una delle serie più geniali di sempre, Boris.
Le otto puntate di Buttafuori vanno in onda in prima visione nell’estate del 2006 su Raitre e, successivamente, vengono tagliate e montate in pillole per Flop TV, canale web di Fox Channel Italy. Ad oggi, gli episodi sono interamente disponibili sul canale YouTube.
Un’idea tanto semplice quanto originale
Cianca (Valerio Mastandrea) e Sergej (Marco Giallini) sono due buttafuori che controllano l’ingresso di UFO, discoteca ramana dal passato glorioso, e che si imbattono nella movida notturna, fatta di personalità bizzarre e storie esilaranti. Davanti a loro, lo scorrere di un’infinità di vite: attori, politici, manager, ubriachi, drogati, preti, militari, giornalisti e via dicendo. Ci sono anche i personaggi fissi che popolano la discoteca. Dal gigantesco e saggio Narcisse, buttafuori di origini rumene, che non parla italiano e che viene considerato dagli altri colleghi una macchina da guerra senza intelligenza. Ad Anita la cubista, studentessa di filosofia che lavora nel locale per pagarsi gli studi. Dal Dj che manda la techno-ictus dal sound orribile, fino al boss della discoteca che non compare nelle inquadrature perché troppo basso. Ogni notte, davanti al locale, si decide chi far entrare. C’è bisogno di inquadrare la gente, di selezionare e rimbalzare. Si ride, perché tutto avviene senza criterio a causa dei problemi con la gente di Cianca. Così, si estremizza e si gioca in chiave comica sugli stereotipi degli operatori di sicurezza, pensati come figure tutto muscoli/niente cervello, che abusano discrezionalmente del loro potere. Amara la frecciatina lanciata da Anita la cubista nella prima puntata, dopo che i due impediscono l’accesso a un suo amico solo perché ha la faccia da pupazzo. Una visione stereotipata, che si disfa e si ricompone nel corso delle puntate, quando iniziamo ad entrare meglio nei personaggi e a incagliarci nei loro discorsi esistenzialisti. Perché le notti, davanti al locale, trascorrono indistintamente e meccanicamente, e allora c’è bisogno di colmare il vuoto e spezzare la monotonia. Lo si fa attraverso digressioni filosofiche e surreali, spesso spiazzanti e paradossali, dove i toni sono spiritosi e spassosi. Sembra di mangiare una cipollina in agrodolce alla fine di ogni puntata. Perché dietro alla comicità e all’ironia, si celano le angosce e i dubbi esistenziali. Cianca e Sergej hanno lo sguardo sul mondo, ma dal di fuori, dall’esterno. Un po’ ai margini, un po’ defilati, sono i guardiani della notte.
Buttafuori si regge sulla strepitosa prova attoriale di Marco Giallini e Valerio Mastandrea
Difficile immaginarsi Cianca e Sergej con due volti diversi da quelli di Valerio Mastandrea e Marco Giallini. Perfetti nel ruolo dei buttafuori. Con quel modo di manifestare la serietà anche quando c’è di mezzo l’ironia. Stucchevoli e divertenti allo stesso tempo. Una narrazione che si articola in sketch, quasi fumettistica, che brilla e si esalta grazie alla loro recitazione. L’affiatamento tra i due, va oltre la macchina da presa e il loro primo film insieme – L’odore della notte (1998) di Caligari. Perché c’è un’amicizia che perdura da anni e che li lega fortemente. In Buttafuori, Cianca e Sergej hanno una forte complicità, condividono la stessa professione e la ripetizione della quotidianità notturna. In balia del destino, cercano di trovare un senso anche al loro lavoro. Uno sguardo sul mondo, sulle variegate sfumature del genere umano, come fonte di arricchimento interiore. Episodio dopo episodio, svelano una parte del proprio carattere, ci raccontano esperienze di vita e aneddoti del loro passato. Interessante, in questo caso, l’evoluzione psicologica e sentimentale di Cianca che si interroga sul senso della vita e cerca di trovare il suo posto nel mondo. A differenza di Sergej che sembra essere più pragmatico e avere sempre la risposta pronta.
Nonostante una vita brevissima, Buttafuori rimane un gioiellino di scrittura e di recitazione
Buttafuori ha tutti gli elementi per essere una situation comedy apprezzabile. Ciascun episodio segue un andamento ben preciso, dalla sigla orecchiabile e riconoscibile, alla location fissa e minimale. La combinazione tra personaggi ricorrenti e guest star è bilanciata e si incastra alla perfezione. E se poi una di queste è proprio Giorgio Tirabassi, allora è meraviglia pura. Anche l’uso reiterato di alcune espressioni come festa privata per altro divertentissima, rimane ben impresso. Ma nel panorama televisivo italiano, Buttafuori rappresenta un prodotto a sé. Per esempio, va da un’altra parte rispetto a Camera Cafè, sia in termini di scrittura, sia in termini di regia. Se in Camera Cafè, la camera è fissa e posta in alto per riprendere il corridoio che separa gli uffici e i colori sono molto accesi e vividi, in Buttafuori la macchina si muove per lungo e in largo e la fotografia è spenta, vuoi per l’ambientazione notturna, vuoi per porre ancora maggiore attenzione ai dialoghi. Quei dialoghi che sono frenetici e immediati in Camera Cafè, e che invece appaiono lenti e meditati in Buttafuori.
Alla fine, rimane il dispiacere per un prodotto che si esaurisce in pochissime ore di girato e a cui non viene lasciato il giusto tempo e spazio per evolversi, trovando la strada sbarrata per un proseguo negli anni. Così, Buttafuori finisce per essere una sitcom poco conosciuta e molto sottovalutata. Ovviamente, non per una mancanza di bravura attoriale né per una sceneggiatura debole. Anzi, la scrittura di Mattia Torre, Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico la conosciamo ed è fenomenale. Lo stesso vale per la recitazione di Giallini e Mastandrea. Evidentemente, non ci si è creduto abbastanza o chissà quale altro motivo. Peccato, perché a quel gusto dolce amaro dei dialoghi, un po’ leggeri e un po’ filosofici, ci si affeziona. Persino a quei leggeri movimenti di camera, ai piani sequenza, ai dolly a salire. Tutto un po’ sospeso. Tutto un po’ fuori. Sembra quasi di arrivare a toccare il nulla, tanto profonda è.