Bernie Taupin, il paroliere di Elton John, qualche anno fa ha spiegato a cosa ha pensato quando ha ideato il concept della celeberrima canzone Rocket Man, azzeccatissima colonna sonora del finale di Californication. Aveva riletto da poco Il gioco dei pianeti di Ray Bradbury, libro di racconti di fantascienza di cui il preferito era L’astronauta, The Rocket Man. Una storia che narra le gesta di un uomo che, per 3 mesi alla volta, trascorre la vita nel suo razzo, lontano da moglie e figlio. Un uomo che vive un conflitto interiore eterno: vorrebbe essere con loro, ma adora fottutamente vivere tra le stelle. Proprio come Hank Moody.
Non è un caso, quindi, che la canzone scelta per la sontuosa scena conclusiva di Californication, sia proprio Rocket Man di Elton John. Perchè Hank è così. Un uomo razzo.
Ha vissuto la sua vita al massimo, sempre. Alcol, sigarette, scrittura discontinua. Senza mai la voglia di risolversi. La voglia, non la forza. Perchè la forza ce l’avrebbe anche avuta. Ma la voglia, quella gli è sempre mancata. Troppo divertente crogiolarsi nell’irrisoluzione quando hai così tanto a disposizione. Successo, stima globale per il tuo talento, genialità . E donne.
Ne ha amate tante. Col corpo, col pensiero, con entrambi. Con intensità : perchè Hank non è un Barney Stinson qualunque. Hank le varie donne della sua vita ha sempre provato a conoscerle intimamente, esplorarle nel proprio io più recondito. Per breve tempo però, sempre. Per poi tornare sempre là , col corpo e col pensiero, a quel senso di originarietà che ha sempre bramato ma in qualche modo, intimamente, ha sempre rifuggito. Quel senso di originarietà che solo lei, Karen, gli ha sempre restituito. Ma Hank non era pronto, non è mai stato pronto. Mai per davvero. Si raccontava che lo era, ma non lo era. Per questo ricadeva sempre nelle stesse cazzate quando era sul punto di riconquistarla.
Un rifiuto inconsapevole per la felicità . Una fottuta paura di essere felici, perchè poi c’è troppo da perdere e più nulla da conquistare. O almeno, questo è quel che Hank credeva. Ciò che Hank non ha mai capito, invece, è che se solo ci avesse provato a essere felice per davvero, avendone la possibilità , da conquistare ci sarebbe stato ancora tanto. Tantissimo da scoprire. Solo che lo avrebbe fatto in condivisione, e non più da solo. Ma Hank aveva paura anche di condividere, per quanto si raccontasse sempre che ne avrebbe avuta una voglia fottuta.
E così via nel solito loop a ciclo continuo, fatto di conquiste, sofferenze, risoluzione momentanea, poi irrisoluzione di nuovo. Momenti di alta intensità emotiva e quindi di alta scrittura, momenti di stasi emotiva con conseguente assenza di ispirazione per scrivere. Vivendo la vita sempre al massimo, ma con conseguenze in fondo deleterie. Il prezzo da pagare per tutta la giostra a cui si sottoponeva con fare gaudente e un sottotesto di tristezza interiore, era questo: Hank ha sempre provato a sentire di più, ma nel frattempo si è dimenticato di vivere bene.
A un certo punto se ne accorge, però. Si rende conto che l’unico colpevole del suo continuo e costante saliscendi emozionale era lui. Nient’altro che lui. Lui e la sua non voglia di crescere per davvero, di non crogiolarsi nel suo bell’aspetto e nel suo immane cesto di qualità per continuare a essere forever young, anche a 50 anni. Si rende conto che per colpa sua, e solo sua, ha trascurato le cose importanti. Karen, ma anche Becca, con cui ha un rapporto tenerissimo che però si logora nel tempo. E anche il suo stesso lavoro di scrittore. Sarebbe potuto essere tanto, sarebbe potuto essere tutto. Ma si è accontentato di essere uno da grandi exploit e infiniti momenti statici, vuoti. Sempre e solo per colpa sua.
Prima che sia troppo tardi, definitivamente troppo tardi, Hank Moody decide di guardarsi allo specchio una volta per tutte. Ma stavolta non per sistemare giacca e occhiali da sole. Stavolta lo fa, finalmente, per guardarsi dentro. Per davvero e una volta per tutte, e non per qualche singolo momento in preda all’alcol e alla devastazione emotiva nascosta sotto quel sorriso sornione.
Hank capisce, finalmente, che dalla vita può avere di più. Che è ancora in tempo, ma che deve impegnarsi sul serio stavolta. La profondità per riflettere su se stesso e su tutto ciò che lo circondava non gli è mai mancata, ma la ha relegata a dei piccoli ma intensi momenti. L’ha relegata a veicolo per costruire il prossimo scritto, dimenticandosi sempre la continuità nel cruscotto.
Ma a un certo punto decide che non più. Che anche lui può cambiare, per quanto ormai non ci credesse più nessuno, nemmeno lui stesso. Si trova un lavoro stabile e decide di mettersi a posto con tutto. Il più possibile certo, mai veramente del tutto: è pur sempre Hank Moody, e risolversi non significa snaturarsi. Comincia a dedicarsi alle cose importanti. Basta scappatelle qua e là , basta serate al limite della follia ogni giorno. Pensa a se, al lavoro, e ai suoi figli. Quello scoperto 20 anni dopo la sua nascita, Levon. E l’amatissima Becca. Che si sposerà , perchè non vuole ripetere il percorso paterno. E che in suo padre, nel frattempo, sembra aver perso totalmente fiducia.
Una doccia fredda che Hank non riesce a sopportare, e che decide di voler recuperare. Una volta per tutte, una volta per sempre. Rifiuta l’ultima avance dell’ennesima ragazza trovata a casa di Charlie, e si mette a scrivere. Per Karen. Poi vede un aereo passargli sopra la testa e decide di raggiungerlo: è quello che porterà Karen al matrimonio di Becca, e vuole andarci anche lui. Vuole ricongiungersi, finalmente. Con se stesso, e con la sua famiglia.
Prova a far partire la Porsche per raggiungere l’aeroporto, con in sottofondo una splendida canzone dei Foo Fighters. Ma la Porsche non parte, non più. È il segno: è tempo di abbandonare. Di abbandonarla. La carriera di playboy di Hank Moody è finita, ed Hank è pronto, finalmente pronto, per una nuova fase della sua vita. È la sua stessa, amata macchina a suggerirglielo.
“Addio, bellezza”
Un bacio alla sua giostra dei sogni, l’ultimo. E una corsa sfrenata verso l’aeroporto, per recitare il suo scritto a Karen una volta salito sull’aereo. Scenico, imperfetto, strapieno di difetti, intensità e anche bellezza. Proprio come Hank, proprio come Karen stessa. Si ricongiungono finalmente per andare al matrimonio della figlia, tenendosi teneramente per mano con un gesto discreto ma definitivamente significativo. Hank ha risolto il suo dilemma interiore: ce ne ha messo di tempo, ma alla fine ha deciso di abbracciare la felicità .
E a noi non rimane che quell’ultima scena. La Porsche abbandonata al suo destino, con in sottofondo un meraviglioso tramonto. Che è il tramonto della carriera di Hank Moody da conquistatore. Il tramonto di un uomo finalmente pronto a una nuova alba, in cui sarà finalmente se stesso. L’epilogo migliore e più poetico possibile, per questo sublime trattato di poesia sporca che è stato Californication.