Camera Cafè è stata una comedy a suo modo rivoluzionaria nel panorama televisivo italiano. Non originale, trattandosi di un format nato in Francia e riprodotto in quasi tutti i paesi del mondo, ma fortemente innovativo senza dubbio. Soprattutto in Italia, un paese in cui il lavoro e il modo di lavorare sono temi sistematicamente all’ordine del giorno, un’opera del genere assume un certo rilievo.
La critica sociale, celata dietro un umorismo variegato – dalla satira al no-sense, passando per alcune trovate tipiche dei cinepanettoni – ha reso Camera Cafè un prodotto dinamico, non raffinato e non privo di imperfezioni, ma nel complesso godibile; un prodotto che, per quanto leggero e poco impegnativo, ha sempre arricchito lo spettatore di una morale, un messaggio, una riflessione inerente all’italian job.
E non guasta nemmeno il fatto che sia un caposaldo dell’adolescenza per molti di noi. Noi che magari avevamo già cominciato a seguire sporadicamente la televisione ma che, in quei rari casi in cui ci davamo allo zapping, indugiavamo spesso e volentieri su Italia 1, guardando quanti più episodi possibile. Poco importava che li avessimo già visti e rivisti: quale miglior passatempo in attesa della cena?
Dopo anni dalla cancellazione la Rai ne ha acquistato i diritti, producendo nuovi episodi. È cambiata la scenografia, è cambiato l’antefatto (l’azienda di Luca e Paolo è stata assorbita dai cinesi), è cambiata gran parte del cast, con l’ingresso, tra gli altri, di Marco Palvetti e Serena Autieri e la mancata partecipazione di Carlo Gabardini (Olmo) e Debora Villa (Patti). Cambia anche il tema portante, che diventa lo scontro generazionale tra vecchi e millennials.
È rimasta invariata, tuttavia, la presenza scenica di Luca e Paolo che guidano un parco attori di ottimo livello.
I due showmen (come possiamo definirli? Attori? Comici? Conduttori? In fondo si cimentano in tutto e lo fanno bene) funzionano perchè sono rimasti esattamente gli stessi Nervi e Bitta che abbiamo apprezzato nei primi sette anni di Camera Cafè. Come sottolineato anche da Jessica Polsky in un riuscitissimo cameo di questa stagione, in un contesto di grandi cambiamenti Luca e Paolo sono rimasti esattamente gli stessi. Ed è proprio questo che si richiede ai due personaggi.
In generale nulla si può dire a questa stagione dal punto di vista attoriale. Camera Cafè ha sempre valorizzato la recitazione teatrale, fatta di rapidi botta e risposta e di momenti morti ridotti all’osso. Per questa ragione Marco Palvetti (il Salvatore Conte di Gomorra) si cala nel contesto alla perfezione. Buona anche la performance della Autieri, nel ruolo della nuova manager, mostrando una certa continuità con le acide dirigenti del passato, Gaia e Ilaria.
Ma allora cosa non riesce proprio a convincere del revival di Camera Cafè?
Al netto di alcune puntate di buon livello, gli episodi del revival presentano diversi problemi di scrittura. Si potrebbe desumere che questo sia dovuto alla mancata partecipazione di Carlo Gabardini il quale, oltre a interpretare Olmo, ha scritto e ideato oltre 600 puntate. Egli ha contribuito più di qualsiasi altro autore alla buona riuscita di Camera Cafè e il suo mancato accordo con la Rai è stato un brutto colpo.
Quello che emerge in gran parte dagli sketch è una certa riluttanza a tagliare in toto i ponti con il passato, generando un trascinare stanco di tormentoni e gag che in questo revival perdono tutto il senso. Il “Pippo, vai in bagno!”, la”Scuola di vita Paolo Bitta”, vengono proposti in maniera forzata ed esagerata, al solo scopo di innescare meccanismi di nostalgia senza alcun supporto alla trama.
Allo stesso modo la rappresentazione dei millennials non aggiunge niente di nuovo allo stereotipo stra-abusato in migliaia di altre sedi. Camera Cafè, pur basando la sua intera essenza su un clichè – i dipendenti che si fermano a chiacchierare davanti alla macchinetta del caffè – è sempre riuscita a lasciare la sua impronta, sfaccettando maggiormente i suoi personaggi. Ad esempio il “tecnico dei computer sfigato” che ha un figlio ed è costretto a portarlo in uffcio con tutte le ripercussioni sulla sua vita lavorativa e relazionale.
In questo modo Camera Cafè strizza l’occhio alle gag passate, da un lato, e alla società contemporanea senza un reale criterio. E senza analizzarli con il suo occhio critico e sarcastico. Un po’ come – e qui finiamo per ragionare noi secondo luoghi comuni – il ritratto del cinquantenne medio sui social (“buongiornissimo, kaffèèèèè!!!1!!”), che tenta di sembrare e di pensare giovane, finendo per diventare una caricatura di sè stesso.
Sarebbe stato più saggio (e anche più coraggioso) intraprendere una nuova strada anche sotto questo aspetto, senza legarsi in maniera contorta all’antico retaggio. Anche perchè, a differenza di molti revival, questo aveva ed ha tutt’ora un senso. Come si diceva in apertura, quello delle pratiche e dei rituali sul luogo di lavoro, è un tema sempre pertinente. Bastava soltanto analizzarlo alla maniera di Camera Cafè e non con la visuale di “Camera Kaffèèèè!!1!”.