Stavate parlando di me?
Rapida. Dinamica. Fulminea. Come la battuta di Paolo Bitta così Camera Café, oggi su Prime Video con tutti gli episodi, ha sorpreso e sbigottito la televisione italiana ma soprattutto il suo pubblico. Quasi a tradimento, sicuramente in maniera del tutto inaspettata, la trasmissione prodotta inizialmente da Magnolia e ITC Movie per Mediaset e, in seguito, da ZeroStories e RAI Fiction per la RAI ha scombussolato gli esperti e i critici televisivi che, ancora oggi, non sanno darsi una spiegazione plausibile del fenomeno. Perché di questo si tratta.
Era il sei ottobre del 2003. Su Italia1 andava in onda il primo episodio di quella che sarebbe diventata una tra le trasmissione più iconiche di tutti i tempi. Diciannove anni, sei stagioni, di cui cinque su Itaia1 e una su Rai2, 1765 puntate dopo, siamo ancora qui a cercare di comprendere la chiave del successo di un avvenimento mediatico capace di colpire con forza l’immaginario cultural popolare italiano. Tra l’altro, partendo da un prodotto di origine francese che, in patria, non ha avuto lo stesso, esplosivo, successo.
Questo sì che romperà i maroni alla direzione!
Camera fissa sull’area relax a simulare il POV, point of view, della macchinetta del caffè. Un punto di vista privilegiato che offre allo spettatore la possibilità di sbirciare un manipolo di uomini e donne intenti a sopravvivere dentro l’ufficio di una importante azienda situata in una non specificata città del nord d’Italia.
Come sul palcoscenico di un teatro in Camera Café si alternano le maschere di uno spettacolo tragicomico che ha come protagonisti indiscussi il duo comico genovese composto da Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu i quali interpretano due omonimi: Luca Nervi, responsabili degli acquisti e delegato sindacale; e Paola Bitta, un uomo chiamato contratto, responsabile delle vendite.
Attorno a loro gira vorticosamente il resto dell’ufficio. Dal direttore Augusto De Marinis, interpretato da Renato Liprandi, alla stagista Wanda, interpretata da Margherita Fumero, per altro i più anziani nell’azienda, tutte le caselle dell’organico sono riempite, ciascuna con il suo caso umano, è proprio il caso di dirlo. I personaggi della shortcom, infatti, tendono a rappresentare una serie di stereotipie molto poco politically correct con un unico comune denominatore: l’incredibile passione per il caffè, terribile, della macchinetta.
Chi la fa… la fa!
In Camera Café si fondono insieme due linguaggi differenti. Uno antico, quello del teatro, e l’altro moderno, quello dello spot televisivo. Negli sketch dello show televisivo, infatti, viene sviluppata una storia autoconclusiva capace di raccontare il lato peggiore dell’essere umano utilizzando un linguaggio, ma anche un ritmo, frenetico, che strizza l’occhio al mondo giovanile, anche troppo giovane per lavorare. Non è un caso, infatti, che lo spettacolo sia stato trasmesso da Italia1 e Rai2 canali rispettivamente dedicati ai giovani con programmi meno impegnativi e popolari rispetto alle ammiraglie Canale5 e Rai1.
Linguaggio e ritmo sono una caratteristica del prodotto italiano che, dopo la prima stagione, ha imboccato la sua strada allontanandosi, e di molto, dalla versione francese, più adatta a un pubblico eterogeneo.
In occasione dell’episodio I gemelli francesi, quello nel quale Luca e Paolo si devono confrontare con i rispettivi francesi, Bruno Solo e Yvan Le Bolloc’h rimasero piacevolmente sorpresi per com’era stato sviluppato il loro prodotto: “i personaggi di Camera Café sono stati presi, praticamente copiati, e inseriti nel contesto italiano. Un po’ com’è successo in tutte le altre produzioni. Ma nel corso del tempo lo staff di sceneggiatura italiano è riuscito a creare qualcosa che noi non eravamo stati capaci di immaginare. La versione italiana di Camera Café è qualcosa di unico, incredibile. Persino scioccante per come è venuto fuori“.
Fisci!
Come direbbe Olmo, al secolo Carlo Giuseppe Gabardini, interprete del simpatico e paffuto responsabile informatico dell’azienda nonché uno degli autori di punta di Camera Café, versione italiana. L’apporto di Gabardini è stato tale da farlo diventare capo-autore in breve tempo. Lo sceneggiatore, in collaborazione con Christophe Sanchez, il regista, e i responsabili di Magnolia, decisero di non limitarsi all’adattamento delle puntate francesi: “anche perché erano soltanto cinquecentosettanta, praticamente la nostra prima stagione” spiega l’autore. Così decisero di sviluppare il materiale già presente, i personaggi, cominciando proprio con il duo formato da Luca e Paolo. Da qui, per esempio, i brevissimi sketch con un tema ricorrente: “Lezioni di guida“, “Nel secolo scorso“, “Guida alla fusione” e “Scuola di vita P.Bitta“.
Vennero inoltre introdotti nuovi personaggi sempre legati all’ambiente lavorativo (la figura dello psicologo aziendale, per dirne uno) mentre altri, invece, vennero sostituiti in maniera tale da dare allo spettacolo un senso di continuo aggiornamento, per farlo stare al passo con i tempi non appesantendolo né invecchiandolo.
Dov’è il mio Camper Magazine?!
Camera Café fu una scommessa. Come spesso accade la televisione ricicla format di altri paesi. Il pilot italiano venne girato negli studi televisivi francesi di M6, la rete che trasmetteva la versione francese. Nell’episodio pilota sono presenti oltre a Luca e Paolo anche Patti (Debora Villa), Silvano (Alessandro Sampaoli), Giovanna (Giovanna Rei) e Andrea (Paolo Bufalino). In una intervista Alessandro Sampaoli ricorda che gli studi erano gelidi e che dovevano registrare all’alba e di notte perché la produzione francese era in corso e non poteva interrompersi. “Girammo l’episodio divertendoci moltissimo. Al tempo stesso avevamo la consapevolezza di stare facendo qualcosa di assolutamente nuovo, mai visto prima in televisione. Non eravamo certi che il prodotto sarebbe piaciuto. C’era molta incertezza, in effetti“. La scommessa, come tutti sappiamo, fu stravinta tanto che Camera Café rappresenta, senza ombra di dubbio, un unicum senza precedenti né successori.
Cretino!
L’ufficio, da sempre, è una ambientazione molto usata nel panorama delle sitcom. A partire dagli anni Duemila sono diversi i programmi televisivi che utilizzano la vita lavorativa per divertire il pubblico. Nel 2001, infatti, oltre alla versione francese di Camera Café vide la luce The Office, versione inglese, del grande Ricky Gervais. Alla versione inglese, un successo di nicchia e locale, almeno agli inizi, seguì quella americana che, come spesso accade, fu un trionfo planetario.
In Italia, verso la fine degli anni Sessanta, Paolo Villaggio creò la figura di Giandomenico Fracchia, personaggio goffo e impacciato, oltremodo timido e incapace di farsi rispettare all’interno del suo ufficio. Fracchia, alla fine degli anni Settanta, venne poi inglobato e sostituito da Ugo Fantozzi, sfortunato e inetto, grottesco nella sua continua ricerca di un riscatto e nella sua totale sottomissione ai superiore.
Fantozzi e con esso i personaggi che lo circondano all’interno della Megaditta, sono la rappresentazione che Villaggio fece dell’ufficio italiano a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta e potrebbero rappresentare, in un certo senso, i genitori di Camera Café, versione italiana. Mentre nei film di Villaggio, però, le vicende si focalizzano solo su di lui nello show televisivo abbiamo diversi personaggi, ciascuno con la sua giusta dose guai e stereotipie.
Chi fermerà la musica!?
Verrebbe da pensare che dal primo Fantozzi, uscito in sala nel 1975, a Camera Café (2003) non sia cambiato nulla. La Signorina Silvani, interpretata dalla grandissima Anna Mazzamauro, però, non ha nulla a che fare con Patti né tanto meno con Alessandra (Alex) Costa, interpretata da Sabrina Corabi; il ragionier Filini (Gigi Reder) è lontano anni luce dal contabile Silvano; mentre il direttore De Marinis non ha la regalità di un Duca Conte qualsiasi. Si somigliano un po’, certamente. Le angherie e le vessazioni ci sono. Il sessismo, il nepotismo e il nonnismo anche. I forti con i deboli e deboli con forti sono presenti così come il pettegolezzo, subdolo e viscido. Bustarelle e raccomandazioni, ricatti e fornicazioni, spilorceria e opportunismo sono all’ordine del giorno. Da una Megaditta a un’azienda del nord Italia, entrambe rappresentano il peggio del genere umano creando un ambiente lavorativo parente di una fabbrica degli orrori, quasi senza soluzione di continuità.
Possibile? A quanto pare. Quindi? Si ride. E anche tanto, per fortuna. Quasi a consolarsi dalle brutture che vediamo, in una sorta di catarsi che ci libera e ci disimpegna facendoci prendere le distanze da chi non vogliamo ci rappresenti (o almeno, così speriamo).
Non dovevi andare in bagno?
Senza voler scomodare i grandi pensatori, da Democrito a Pirandello passando da Freud a Bergson, i quali sul ridere hanno scritto trattati dal valore inestimabile, è giusto fare una riflessione: le risate di Camera Café mancano. O, per meglio dire, manca quell’ambiente unico dentro il quale era permesso ridere della miseria umana senza eccessivi sensi di colpa.
Ci siamo divertiti, e tanto anche. E quando ci è stato detto che ci sarebbe stata una nuova, ulteriore, ultima stagione abbiamo sperato tutti di ritrovare quegli amici e quelle situazioni che ci avevano fatto piegare in due dalle risate.
Camera Café è stato un evento unico e irripetibile. Una meteora nel panorama della televisione italiana. Una luce accecante che ha scavato dentro ciascun spettatore una pagina indelebile della comicità.
Come lei, nessuno mai.