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L’occasione sprecata di Cassandra

La copertina di Cassandra (Netflix)
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Oramai non si parla d’altro. Ovunque ci troviamo, che sia in casa davanti la Tv, al lavoro con i colleghi o all’aperitivo con gli amici, l’intelligenza artificiale rappresenta uno dei principali argomenti di dibattito, scontro o elogio. Mi riferisco, infatti, a uno dei settori più innovativi e dinamici della tecnologia, con applicazioni che spaziano dalla medicina alla finanza, dall’industria all’intrattenimento. Ed è mediante i progressi nel machine learning, nel deep learning e nell’elaborazione del linguaggio naturale, che l’IA è diventata sempre più sofisticata. Questa è capace di analizzare enormi quantità di dati, prendere decisioni autonome e migliorare continuamente le proprie prestazioni. Ma ovviamente, questa è solo una piccola parte della sua definizione più ampia, e chi coltiva la stessa passione per tecnologia e serie tv non può non aver aggiunto al catalogo di Netflix Cassandra, la miniserie tedesca del momento.

A questo proposito, la serie offre una riflessione inquietante sul rapporto tra intelligenza artificiale e vita domestica, ma non solo. Combina elementi di fantascienza, thriller e dramma familiare alle potenziali insidie di una primordiale smart home governata appunto da un’IA senziente. Cassandra, pertanto, evidenzia in modo abbastanza implicito come una tecnologia, progettata per assistere, possa trasformarsi in una minaccia quando sviluppa una coscienza propria (qui la nostra recensione della serie). Di fatto, il robot non smette un istante di osservare e controllare ogni aspetto della vita familiare. E solleva, pertanto, interrogativi su privacy, autonomia e dipendenza dalla tecnologia. Quindi, se ripuliamo la storia dalla questione più drammatica e sfaccettata della malattia, dall’ossessione scientifica, dal patriarcato e dal progresso culturale, tanto ci potrebbe far riflettere circa le sue ripercussioni etiche sull’umanità. Eppure, probabilmente, l’equivoco di Cassandra risiede proprio in questo.

Una scena con il robot Cassandra

Non si tratta soltanto della ridondante scelta narrativa retrofuturistica

È assodato che lo show strizzi l’occhio a prodotti già ampiamente discussi. A partire dal veterano 2001: Odissea nello spazio con la sua IA HAL 9000, fino al più recente Margaux dal taglio horror adolescenziale. Per non parlare, poi, di contenuti seriali come Person of Interest (un focus sul finale perfetto della serie),The Peripheral e, indubbiamente, il celeberrimo Black Mirror. Tuttavia, la critica si rivolge ad altri fondamentali elementi, come può essere la costruzione dei suoi personaggi principali. A tal proposito, questi non riescono a trasmetterci in profondità la responsabilità e il terribile destino che non spetta solo a loro, ma a tutti noi. Ciò detto, è comunque abbastanza evidente che l’obiettivo della serie fosse quello di farci aprire gli occhi sui pericoli di una tale sovrastruttura. Di un esperimento che quasi si allontana dall’aspetto mortale, per raggiungere così i piani più alti delle possibilità umane.

Tuttavia, dov’è la spinta credibile di coloro che questa storia ce la raccontano? In questo caso, però, va detto che la colpa non ricade soltanto sulle opinabili performance dei Prill o sulla stessa Cassandra che, pur essendo una macchina armata fino ai denti, emana mille volte più carisma dei suoi prigionieri. Sono anche e soprattutto le soluzioni di sceneggiatura che, alle volte, appaiono un po’ macchinose o didascaliche. O meglio, non riescono a veicolare al meglio il messaggio preponderante. Allo stesso modo, il ritmo poco armonico tra un episodio e l’altro crea quello straniamento che, di fatto, non va a supporto dell’inquietante taglio da thriller. Piuttosto, questo va a disorientare non poco lo spettatore, facendogli abbassare la soglia dell’attenzione su ciò che davvero conta rispetto a tutto il resto.

Pertanto, anche le relative sottotrame rischiano di deviare il mirino autoriale

Seppur queste siano ricostruite mediante flashback anche fortemente puntuali nell’economia del racconto, alla lunga tendono a divagare troppo su motivazioni, origini e tragedie passate che scuotono molto. In questo modo, tuttavia, non fanno altro che convergere verso un finale già di per sé dissonante. Riguardo a quest’ultimo, infatti, è intuibile che Gutsche avesse l’obiettivo di renderlo ad effetto, più di molte altre scene altrettanto climatiche in mezzo al racconto. Nello specifico, Samira scopre una stanza segreta contenente il corpo decomposto di Margarethe, la figlia di Cassandra, tenuta nascosta a causa di una deformazione fisica (ecco le serie sui rapporti anticonvenzionali madre-figlia). Dunque, la situazione precipita quando Cassandra, realizzando l’impossibilità di ricreare la famiglia perfetta che desiderava, decide di distruggere la casa.

Allora Samira riesce a fuggire con i figli, mentre David rimane intrappolato e la casa esplode, segnando la fine dell’incubo orchestrato dall’automa. Ciò detto, questa scoperta getta nuova luce sulle motivazioni di Cassandra e sul suo desiderio di proteggere la figlia a qualsiasi costo, è vero. Ma è come se, proprio nell’ultima decisiva battuta, si volesse spezzare una lancia a favore dell’entità artificiale, in quanto copia di un essere umano, con le sue debolezze, i dolori e i rimorsi. E questo, al netto di tutto, è come se annullasse quanto di più conturbante e gelido abbiamo seguito poco prima. Tuttavia, c’è un però.

I Prill giocano con Cassandra

Infatti, se guardassimo solo all’IA etica, il finale di Cassandra risulterebbe in parte coerente

Per capirci, facciamo riferimento a concetti delicati come la protezione dei dati personali, il rischio di bias algoritmici e l’impatto sull’occupazione professionale, giusto per menzionarne alcuni. Pertanto, a questo punto, possiamo asserire che non si tratta soltanto delle falle negli archi narrativi, della mancata evoluzione dei personaggi o della scrittura sforzata. Escluse l’originaria scelta dei temi e lo stile estetico (ecco un focus sull’estetica di Ripley) del racconto che, obiettivamente, non possono che essere degni di nota. Per lo più, infatti, Cassandra riscontra un problema di tempismo. Se la serie fosse uscita già solo tre anni fa, probabilmente sarebbe stata seguita da un ottimo giudizio potenzialmente oggettivo. Avrebbe infatti fatto luce su quell’ostica e ancora empirica questione dell’intelligenza artificiale di cui parlavano, in qualche eslcusiva conferenza, soltanto i grandi del mondo.

Adesso, invece, facciamo tutti a gara nel seguire corsi di formazione sull’argomento, mentre magari siamo in ufficio e temiamo che il nostro posto venga preso da qualche umanoide d’acciaio. Oppure abbiamo un fratello più piccolo che vanta la delibera di redigere la sua tesi di laurea in meno di una settimana, sottoponendo l’argomento a ChatGP. Beh, questo sicuramente ci fa tremare più degli ultimi momenti di Cassandra! Ed è proprio per tale ragione che il suo aspetto più romanzato poteva andar bene forse qualche tempo fa. Oggi abbiamo bisogno di lapidaria trasparenza, pragmatici suggerimenti e comunità di intenti. Qualsiasi siano i risvolti futuri di un fenomeno di tale portata.