L’ultimo episodio di Chernobyl inizia con la quieta inconsapevolezza del pomeriggio del 25 aprile 1986, a Pryp’jat’. Poche ore prima che la città smettesse di vivere, i parchi erano gremiti di famiglie con i loro bambini che giocavano spensierati. Dodici ore prima che il reattore quattro della centrale Vladimir Il’ič Lenin esplodesse, due innamorati sorridevano su una panchina.
Mentre Vasily stringeva tra le braccia il figlio di amici, Lyudmilla lo guardava divertita. Lui non sapeva ancora che sua moglie aspettasse una bambina. Lei non sapeva che quella notte avrebbe cambiato per sempre le loro vite. Durante una riunione tra Dyatlov, Bryukhanov e Fomin, quel pomeriggio è stata presa una maledetta decisione.
Dal 1983, anno in cui il reattore 4 di Chernobyl era entrato in funzione, i tre avevano provato a portare a termine il test di sicurezza.
Era previsto di nuovo per quel pomeriggio di aprile, ma una telefonata dal controllo di rete di Kiev ne ha chiesto il rinvio. Alle fabbriche serviva elettricità. Il mese stava per finire e c’erano delle scadenze da rispettare: il test di sicurezza andava rimandato. Un team esperto e valido avrebbe preso la decisione di posticiparlo a data da destinarsi, ma non Dyatlov, Fomin e Bryukhanov. Per loro tre c’era troppo in ballo: promozioni, carriera, soldi!
Loro hanno deciso di portare a termine il test quella notte. Dopo le dodici. Senza dubbio quella decisione è stata il primo passo verso la tragedia. A Mosca, nel marzo del 1987, Legasov è stato messo di fronte a due possibilità: ripetere al processo che gli unici responsabili dell’esplosione erano Dyatlov, Fomin, Bryukhanov o diventare nemico dello Stato. Nel primo caso lo scienziato avrebbe confermato quanto detto a Vienna di fronte alla comunità scientifica, sarebbe stato insignito della più alta onorificenza dell’URSS e messo alla direzione dell’Istituto per il quale lavorava.
Ma se Legasov avesse menzionato il malfunzionamento dei reattori RBMK, Charkov glielo ha fatto capire molto bene, avrebbe cessato di esistere come scienziato.
La promessa dei Servizi Segreti Sovietici non era ancora stata mantenuta. I reattori RBMK in uso nei paesi dell’Unione non erano ancora stati sistemati.
Prima il processo. Una volta terminato avremo i nostri colpevoli, avremo il nostro eroe, avremo la nostra verità!
Il costo della verità era alto e Ulana, partita da Minsk solo per convincere Legasov a non propendere per le mezze verità in giudizio, lo sapeva bene. Con sé aveva i diari dei colloqui con le vittime del disastro. Una dozzina di quaderni, di cui solo uno dedicato alle parole di chi era sopravvissuto. Gli altri contenevano le memorie su quella notte di chi non c’era più e non avrebbe potuto parlare al processo.
Legasov era convinto di aver fatto il possibile. La sua salute era chiaramente compromessa. Lo si vedeva dai capelli che continuava a perdere copiosamente e dal suo sguardo preoccupato. Sapeva di essere malato e pensava che fosse sufficiente aver dato la vita per tentare di comprendere gli avvenimenti di quella notte. Non era così, Ulana lo sapeva: la verità doveva essere divulgata e doveva farlo lui.
Nel luglio del 1987 a Chernobyl si è aperto il processo a Dyatlov, Fomin e Bryukhanov. Vediamo Legasov seduto al banco dei testimoni e Ulana, con lo sguardo rivolto verso di lui come in una preghiera. Sembrava parlargli silenziosamente, sembrava dirgli: “Fa’ la cosa giusta!“.
Il primo a testimoniare al processo sul disastro di Chernobyl sarà Boris Shcherbina.
Il personaggio interpretato in maniera sublime da Stellan Skarsgård si presenta all’aula sicuro e consapevole, mentre spiega per sommi capi il funzionamento di una centrale nucleare. Sembra essere un uomo assai differente da quello che un anno prima aveva chiesto a Legasov delucidazioni sul funzionamento dello stabilimento. Shcherbina racconta che tre tentativi di portare a termine quel dannato test di sicurezza erano falliti. Il quarto tentativo risaliva al 26 aprile 1986.
Un test è valido quanto le persone che lo eseguono
Il commento lapidario di Shcherbina a margine della sua testimonianza lasciava pochi dubbi sulla professionalità di Fomin, Dyatlov e Bryukhanov. Alla sua testimonianza ha fatto seguito quella di Ulana, che ha iniziato spiegando che il rinvio del test di sicurezza alla notte del 26 aprile ha creato due diversi problemi. Il primo di natura scientifica, il secondo di natura umana. Mediante dei flashback agli spettatori viene mostrato come il cambio turno degli operatori della centrale abbia compromesso ulteriormente l’esperimento.
Il turno di notte mancava dell’esperienza e della preparazione necessaria alla riuscita del test. Come se non bastasse, gli operatori avevano ricevuto istruzioni confuse.
Dyatlov era il responsabile della sala di comando di Chernobyl, ma la sua avidità non lo ha reso all’altezza del ruolo che ricopriva. I flashback dei minuti che hanno preceduto l’esplosione lasciano davvero senza fiato. Dalle 00.28 in poi, quella notte è stata ricostruita minuto per minuto.
La testimonianza di Legasov era finalizzata a far comprendere a tutti l’importanza di quel fattore scientifico menzionato da Ulana. L’arrivo alla sbarra dello scienziato ci viene mostrato con un’inquadratura lenta, che mostra in primo piano il volto teso di Valery Legasov e sembra finalizzata a farci percepire il suo stesso smarrimento. Lo studioso menziona una “danza invisibile” all’inizio del suo intervento.
Una danza che ha come fine ultimo quello di mantenere l’equilibrio tra gli elementi che generano potenza in un reattore nucleare. Una danza che la notte del 26 aprile 1986 ha avuto un epilogo fatale. Nell’ultimo episodio di Chernobyl, la testimonianza di Legasov chiarisce in modo fruibile e preciso il sistema che alimenta le città senza fumo né fiamme.
Le sue parole ci conducono di nuovo nella sala di controllo della centrale di Chernobyl. È l’una del mattino e mancano pochi minuti all’inizio del test. Dopo aver sollevato quasi tutte le barre di controllo in boro, la potenza non riusciva a salire oltre i 200 megawatt.
Per completare il test ne sarebbero serviti 700.
A Dyatlov sembrava non importare. Il test doveva essere portato a termine anche se le condizioni necessarie non sussistevano. La potenza era troppo bassa, l’acqua nelle pompe troppo alta ed eventuali risultati non sarebbero stati validi. Siamo arrivati all’1:23 del mattino del 26 aprile 1986. Tutte le decisioni scellerate prese in quelle ore hanno condotto il reattore a un picco di potenza. L’unica soluzione per fermare l’incremento di reattività nel nocciolo era il tasto AZ-5.
Pochi minuti prima, durante una pausa del processo, Shcherbina e Legasov hanno avuto un breve colloquio. Una scena estremamente toccante in cui, grazie alle parole e agli sguardi dei due, intuiamo la loro forte consapevolezza: quel giorno ci sarebbe stata la resa dei conti.
Anche il vicepresidente del consiglio dei Ministri si era ammalato e, differentemente dalla sua posizione per il congresso di Vienna, anche Shcherbina ora voleva la verità. Era uscito dal bozzolo della paura. Ora aveva le ali e voleva volare verso la giustizia.
Quando il processo stava per essere chiuso, Legasov ha specificato di avere ancora qualcosa da dire. Aveva appena menzionato il pulsante AZ-5 ed era chiaro che fosse sul punto di raccontare la verità sul malfunzionamento strutturale dei reattori RBMK. Per la corte lo scienziato aveva detto abbastanza, ma Shcherbina si è sollevato proprio mentre la seduta stava per essere chiusa e ha chiesto con voce ferma “fatelo finire!“.
Il racconto di Legasov ha spazzato via i detriti dell’omertà sul disastro di Chernobyl come un fiume in piena.
Il costo di questa decisione, lo avrebbe pagato caro. Dopo essere stato fermato dal KGB e avere avuto un confronto con il capo dei Servizi Segreti lo scienziato è stato rilasciato con la promessa che l’universo scientifico l’avrebbe dimenticato.
Legasov aveva scelto di dire la verità. Ma quella scelta non avrebbe portato a nulla. Purtroppo la sua testimonianza sarebbe stata insabbiata ed eliminata. La sua carriera sarebbe finita e il mondo l’avrebbe dimenticato. Almeno questo è quanto promesso allo scienziato da Charkov.
Ma così non è stato. La decisione di Valery Legasov di togliersi la vita a due anni esatti dal disastro nucleare, dopo aver lasciato al mondo delle registrazioni con le sue confessioni ha consegnato la verità alla storia. Il suo gesto estremo e disperato ha fatto sì che nessuno potesse girare la testa dall’altra parte. In un finale estremamente commovente ci vengono mostrati i volti dei veri attori di questa tragedia. Uomini e donne che hanno lottato per la verità conoscendo bene il suo costo.
La tragedia di Chernobyl, ferita aperta nell’umanità, è stata raccontata da questa miniserie nei suoi aspetti più profondi. Un’opera di contestualizzazione estremamente puntuale ha permesso a questa serie tv di far emergere situazioni poco note. Chernobyl ci ha mostrato gli aspetti più pratici delle fasi concitate e sofferte dopo il disastro, senza però dimenticare mai la componente emotiva.
La fotografia estremamente comunicativa (in questo articolo abbiamo visto le serie tv con la migliore fotografia), le musiche e una regia davvero impeccabile hanno fatto tutto il resto.