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Perchè Chernobyl è diventata in poche settimane la Serie Tv meglio recensita di sempre

Chernobyl
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Se ne parla da settimane. Giornali, blog, utenti dell’Internet. Quando sembrava che nulla potesse creare un’onda d’urto pari a quella dell’ultima stagione di Game of Thrones, ecco spuntare un nuovo coniglio da quel cilindro che è la HBO. E così da qualche settimana tutti sembrano andare matti per Chernobyl, miniserie dell’emittente, disponibile in Italia su Sky dal 10 giugno. Con un punteggio IMBD di ben 9.6 al terzo episodio, la miniserie detiene un record assoluto di apprezzamento sull’Internet Movie Database. Neanche sua maestà Breaking Bad, ferma a 9.5, aveva ottenuto tanto. Neanche Game of Thrones.

Certo, parliamo di serie tv durate anni, composte da numerose stagioni, a fronte di una miniserie di soli 5 episodi. Con i mezzi della HBO è facile mantenere un livello di qualità molto elevato per 300-350 minuti di riprese. Più difficile però è la capacità di ottenere consensi così ampi e uniformi in quasi tutto il mondo nonostante un panorama televisivo non certo privo di concorrenza.

È chiaro che una combinazione di diversi fattori è alla base del successo di Chernobyl.

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La qualità del prodotto, prima di tutto, gioca un ruolo cruciale. D’altronde una serie basata su un fatto storico tanto delicato quanto attuale non poteva dispensarsene. Chernobyl è stata creata e scritta da Craig Mazin dopo ben cinque anni di ricerche. Gran parte della sceneggiatura si basa su Preghiera per Černobyl, libro della scrittrice bielorussa Svetlana Alexievich, premio Nobel per la Letteratura nel 2015. L’opera raccoglie storie e resoconti dei sopravvissuti di Pripyat (città prossima alla centrale nucleare). Tra queste anche la storia di Lyudmilla Ignatenko, moglie di Vasily, pompiere – tra i primi accorsi all’incendio – morto due settimane dopo il disastro a seguito delle radiazioni assorbite.

La sceneggiatura risulta scorrevole, semplice. Riusciamo a seguire senza fatica persino i passi di fisica in cui ci viene spiegato il funzionamento di un reattore. La regia invece è di Johan Renck, che vanta un curriculum di tutto rispetto. Renck infatti ha diretto per la tv alcuni episodi di Breaking Bad, Vikings e The Walking Dead. In campo musicale invece si è cimentato nella direzione di Blackstar e Lazarus, testamento di David Bowie.

Forte di tanta magnificienza tra gli addetti ai lavori, Chernobyl ha avuto modo di diventare facilmente il piccolo capolavoro del 2019.

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Nel suo insieme la serie assume i contorni di una storia drammatica con molti elementi documentaristici, priva di toni particolarmente teatrali. “Cinematograficamente parlando” risulta piacevole vivere la suspense solo attraverso fatti raccontati con linearità, e non attraverso una tensione strutturale creata ah hoc per esigenza di scena. Chernobyl racconta un fatto storico unico nel suo genere, e lo fa assumendo i toni solenni richiesti dalla portata dell’accaduto.

Guardandola non ci si sente presi in giro da pomposità scenografiche di troppo. Si ha piuttosto la sensazione di avere una lente di ingrandimento sul disastro avvenuto 33 anni fa. Persino le lunghe, lente scene di silenzio non risultano statiche ma appropriate da un punto di vista tanto morale quanto visivo. Sceneggiatore e regista hanno creato un prodotto che non puntava solo all’empatia dello spettatore, ma a un onesto racconto dei fatti.

L’assenza di “americanate” classiche è uno dei punti di forza di questa serie.

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Certo, esigenze di scena hanno comunque richiesto che la storia venisse romanzata quanto meno in parte. Si tratta pur sempre di una serie tv (anche il protagonista ha difeso questo carattere del prodotto, come potete leggere). È piuttosto improbabile che nella realtà Legasov si sia lasciato andare a un’eroica confessione in tribunale simile a quella vista nell’ultimo episodio. Ma nel suo insieme la serie risulta non solo ben fatta, ma drammaticamente vicina alla realtà. Ed è molto probabile che in un’era come quella attuale, massacrata dalle fake news, dalla becera e irrealistica spettacolarizzazione di stragi e disastri, l’onestà intellettuale di Chernobyl vinca.

D’altronde la sceneggiatura non lesina di porre l’accento nemmeno sulle più scomode verità legate al disastro.

L’irresponsabilità di chi era a capo della centrale nucleare V.I. Lenin. Il torbido mare delle interferenze di potere da parte delle più alte sfere dell’ex Unione Sovietica, KGB compreso. Le bugie, la propaganda, le prese di posizione. Tutto ciò che agli occhi dei grandi capi sembrava necessario per preservare l’immagine internazionale dell’URSS in Guerra Fredda. Tutto a scapito di migliaia di vite umane.

Questo fa di Chernobyl non solo una serie tv storico/documentaristica, ma una storia di responsabilità umana.

Non si può restare indifferenti dinanzi alla cecità e alla testardaggine dell’alto comando sovietico. Fa rabbia pensare a come persino durante il disastro di Chernobyl l’orgoglio di Stato fosse stato anteposto a vite umane quantificate in numeri a tre zeri. E che nonostante il tempo, le prove e la sofferenza, il silenzio faccia ancora da padrone. Tutt’oggi, a fronte delle migliaia di vittime accertate del disastro, il numero ufficiale riconosciuto dallo stato russo ammonta a…31.

Certamente Chernobyl non è stato l’unico disastro causato dall’uomo. E di certo la Russia non è l’unico Stato al mondo a essersi macchiato di colpe e responsabilità. Come ci indigniamo per Chernobyl dovremmo farlo anche per molti altri disastrosi fatti storici. Ma è probabile che la serie crei tanto tumulto perchè la sentiamo così vicina ai nostri tempi. Tutti noi abbiamo sentito storie raccontate dai nostri genitori circa il disastro e le conseguenze. E quando la storia è così vicina a noi tende a provocare non solo curiosità ma una certa – maggiore – indignazione. Un po’ come accade con Black Mirror, ma con una storia reale e un’inversione dei tempi (non guardiamo al futuro ma al passato prossimo)

Con Chernobyl sentiamo vicina la follia ragionata, e non frutto dell’ignoranza, di cui una parte del mondo soffre ancora le conseguenze.

Inoltre una certa curiosità per la serie è frutto dell’elemento paradossale che vede Chernobyl essere una produzione AMERICANA che racconta del peggior disastro avvenuto su territorio SOVIETICO prima della caduta del Muro di Berlino. E infatti i russi non l’hanno presa troppo bene. Ma noi al di fuori del fuoco incrociato di Russia e Stati Uniti non possiamo che apprezzare la magnificenza di un’opera misurata sotto ogni punto di vista. Giusta nel fornire un’immagine non eccessivamente romanzata dell’accaduto a chi fu testimone storico dell’evento. E giusta nel fornire a noi, generazioni successive, nuove conoscenze oltre quelle di cui eravamo già in possesso. A dispetto di quanto critici e detrattori di tali opere sostengono – es.: “meglio guardare un documentario che una serie tv per informarsi” – mi permetto di esprimere un parere personale.

Senza alcun dubbio un documentario creato da studiosi e giornalisti propone un’informazione più oculata dei fatti. Ma siamo onesti, i documentari purtroppo non sono pubblicizzati come altri prodotti cinematografici e spesso risultano pesanti da digerire. Un film, una serie tv invece, sono in grado di creare curiosità e attirare spettatori in massa. Se ben costruiti questi possono fungere da canale per diffondere coscienza dei fatti e sensibilizzare gli spettatori in merito ai fatti narrati. Così facendo saranno loro stessi ad approfondire l’argomento guardando quei documentari che mai avrebbe visto prima. O leggendo libri di cui neanche sapevano l’esistenza.

Ecco perchè abbiamo bisogno di più serie tv come Chernobyl. Oneste, fedeli alla realtà, vicine alla nostra generazione.

Ed ecco perchè Chernobyl ha avuto successo. Perchè ci ha fatto conoscere personaggi di cui probabilmente non avremmo mai saputo nulla nonostante non fossero troppo distanti da noi. Ci ha mostrato il coraggio di Valery Legasov. Quello di tutti gli studiosi rappresentati da Ulana Khomyuk (il personaggio interpretato da Emily Watson non è reale, è stato creato per rappresentare il team di scienziati che assistettero Legasov durante l’indagine). Il sacrificio, voluto o imposto, di decine di uomini morti per lavorare alla pulizia della centrale. E la sorte di chi si è nato nel posto sbagliato al momento storico sbagliato.

Legasov ci chiede quale sia il prezzo delle menzogne. Grazie a questa serie forse ora siamo un po’ di più a desiderare che quel prezzo pagato a Chernobyl non debba essere replicato.

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