ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Christian, la serie tv Sky con Edoardo Pesce.
L’idea di un Messia che gironzola tra i palazzoni grigi della periferia romana, elargendo miracoli a poveri disperati, malfattori, banditi e poco di buono, sembra essere la più blasfema delle trovate pensate per irritare i credenti e scomodare un certo fiero perbenismo che caratterizza da sempre la fetta più conservatrice del nostro Paese. Se poi quel Cristo è pure sboccato, violento, cinico e diffidente, la polemica è dietro l’angolo, impossibile da circoscrivere. La religione ha da sempre assunto un certo valore all’interno delle produzioni televisive italiane. Perché è una componente ineliminabile del nostro essere italiani e, per tradizione, convintamente o svogliatamente cristiani. Fa parte della nostra storia, delle nostre radici culturali, ha costituito per secoli l’amalgama su cui abbiamo fondato la nostra società. Chiesa e religione, sacro e profano, sono il coefficiente con cui abbiamo misurato il nostro grado di devozione. Possiamo essere credenti, atei, agnostici o una via di mezzo tra tutto ciò, ma ci sarà stato pure un momento in cui ci siamo rapportati con la religione e con una delle sue molteplici sfaccettature. La fiction italiana ha sondato parecchio il terreno, costruendo situazioni e personaggi che avessero attinenza con quel mondo. Da Don Matteo a Che Dio ci aiuti!, le serie tv italiane hanno fabbricato modelli e prototipi televisivi che risentono dell’influenza culturale che la religione ha avuto da sempre sul nostro Paese. Le storie di parroci e suore hanno occupato lo spazio della televisione italiana, propinando valori ispirati a un moralismo che a volte ha rappresentato il sentire comune del Paese, altre volte non ha trovato invece aderenza nella realtà.
Ma rispetto a qualche anno fa, le produzioni televisive made in Italy si sono fatte più raffinate, perfezionandosi e alzando l’asticella della qualità complessiva dei prodotti proposti.
Sky ha giocato, in questo senso, un ruolo chiave. I prodotti italiani distribuiti nell’ultimo decennio hanno fatto fare alla nostra televisione un passo in avanti qualitativo davvero sorprendente. E molte di quelle produzioni – da The Young Pope di Sorrentino a Gomorra, da Romulus a Il miracolo – fanno proprio della religione una componente insopprimibile e appassionante sulla quale costruire storie e personaggi. La religione secondo Sky non è solo liturgia e moralismo. Diventa una materia spigolosa, complicata. Che instilla il dubbio piuttosto che dare certezze. È spiritualismo, ricerca interiore. Psicologia individuale e collettiva. Un morbo che affligge come pure un ingranaggio catartico. Delle volte è solo un contorno sbiadito, un rumore di sottofondo che pure permea l’ambiente circostante. Altre volte è invece il centro della riflessione, il punto mediano da cui si sviluppano i filoni narrativi di un racconto. In Christian, la religione è l’aspetto che salta all’occhio prima di ogni altra cosa. A cominciare dal titolo, che rimanda alla figura di un Cristo moderno, un profeta della periferia che ha qualcosa da dire, un nuovo messaggio messianico da divulgare. La storia è quella di un picchiatore al soldo di un potente boss di quartiere che un bel giorno scopre di avere le stimmate alle mani e di essere in grado di fare miracoli, riportando in vita i morti, rimettendo in piedi gli storpi, restituendo la speranza a chi l’aveva persa. Perché proprio lui? Perché un rozzo ragazzotto di borgata dovrebbe assurgere a nuovo Salvatore? È la grande domanda che ci scorta nelle trame misteriose di Christian, che ci fa raschiare la superficie e ci spinge ad andare a fondo.
La religione di Christian è dunque innanzitutto mistero.
Un arcano, un enigma incomprensibile, che per quanto ci si sforzi di sondare razionalmente – o con le chiavi di lettura della teologia, che pure è una scienza -, non viene svelato. La serie Sky con Edoardo Pesce e Claudio Santamaria insinua il dubbio e fornisce poche e scarne risposte. È, per l’appunto, una questione di fede. Se si tratta di predestinazione o miracolo non ci è dato saperlo. Christian è una specie di Jeeg Robot cosparso del crisma sacro del divino. È solo un prototipo diverso di supereroe, ma come tutti i supereroi, possiede un dono e quel dono – se utilizzato in un certo modo – può essere l’ancora di salvezza per chi soffre e per chi ha smesso di credere. Sul perché sia toccato proprio a Christian il potere di strappare gli uomini alla morte si potrebbero aprire riflessioni infinite, tanto sulla predeterminazione quanto sul libero arbitrio. Ma la serie Sky non vuole dare spiegazioni. Al contrario, vuole condurci su un impervio cammino di fede. Vuole interrogarci, renderci esitanti e diffidenti, portarci alla sospensione dell’incredulità e coglierci di soppiatto mentre interpelliamo la nostra intimità mistica. Christian fa miracoli o è lui stesso un miracolato? O, più semplicemente, è entrambe le cose?
Per farsi piacere una serie tv come questa, non bisogna porsi troppe domande. O forse sì, forse bisogna proprio interrogarsi di continuo, ma mettere pure in conto che tanti degli interrogativi posti non troveranno risposta. Almeno non una risposta razionale. Christian è un messia, un profeta, un supereroe. Non è un prete, né un religioso. Non è un messo vaticano, non sappiamo quanto creda realmente in Dio e dubitiamo che sia mai stato un buon cristiano. Eppure eredita nelle proprie mani il potere di fare del bene. Non è un Don Matteo della periferia romana, si avvicina di più a un criminale di Gomorra che a uno stinco di santo. Ma qualcuno – o qualcosa – ha voluto che fosse proprio lui a riportare in vita i morti e dare speranza ai disperati. Il discorso sulla predestinazione segue itinerari filosofici che potrebbero condurci ovunque. Ma in questa serie, la materia si fa ancora più intricata e complicata, perché non è tutto come sembra. Bene e male, in Christian, non sono così facilmente identificabili. La serie Sky si serve dell’elemento religioso – o, se vogliamo, paranormale – per esplorare questi due estremi e scoprire che il confine tra loro è, in realtà, molto labile. Questa produzione made in Italy è una zona di frontiera in cui buoni e cattivi – con i rispettivi manovratori – si confondono. Tutto si ribalta costantemente, ogni volta che si giunge a un punto di arrivo.
Dove sta il bene? Dove alligna il male? È possibile estirparlo? Esiste davvero una lotta millenaria tra le forze del bene e le forze del male?
La seconda stagione della serie si concentra ancora di più su questo punto, facendo emergere poco alla volta tutte le contraddizioni possibili. Più che una serie che ha nella religione un elemento di raccordo, Christian è una serie spirituale, che interroga la sfera psichica di ognuno, sondandone il terreno. La spiritualità è anche una delle caratteristiche che sembrano accomunare molte delle produzioni italiane di Sky, come abbiamo già visto. Il pubblico si riconnette con la sua sfera intima, alimenta il dubbio e sospende la razionalità. La religione nasce dopotutto da un’esigenza profonda dell’uomo, da un suo bisogno innato di darsi delle risposte e di sentirsi rassicurato. La fede è fondamentalmente speranza costantemente alimentata. E Christian diventa anche un discorso sulla fede e sulla speranza, con dei risvolti utopistici e ideologici. Le vicende dei suoi protagonisti raccontano di una realtà invisibile piena di umanità e sogni sospesi. La rivalsa del protagonista, il suo dono, sono l’occasione per elevare le speranze bruciate di una generazione di emarginati che sopravvive a fatica nei sobborghi delle città, sprovvista delle chiavi giuste per interpretare la realtà e leggerne le contraddizioni. Quindi la religione di Christian, se considerata nella dimensione più universale, diventa anche politica e critica sociale, mentre nella sua dimensione più intima è innanzitutto una risposta al bisogno dell’uomo di credere e di sperare. È un piano molto sdrucciolevole quello su cui si è incamminata la serie italiana, ma è proprio la complessità delle sue dinamiche, la vastità dei suoi ragionamenti, a fare di Christian una delle proposte più convincenti degli ultimi anni. Provare per credere.