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Dieci minuti – La recensione del film di Maria Sole Tognazzi

Dieci minuti
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Qualche settimana fa è uscito nelle sale Dieci minuti, il nuovo film di Maria Sole Tognazzi che torna sul grande schermo dopo Io e lei nel 2015. La regista, nota per la sua capacità di scrivere e raccontare i personaggi femminili, ancora una volta ci porta a calzare i panni di una donna. Ha adattato per il cinema l’omonimo libro di Chiara Gamberale, servendosi di Barbara Ronchi come protagonista e accompagnandola con una eccezionale Fotinì Peluso (Tutto chiede salvezza, La compagnia del cigno) e con la bravissima Margherita Buy, che possiamo tranquillamente definire attrice feticcio della regista.

La storia è quella di Bianca, una donna di circa quarant’anni che dopo essere stata lasciata dal marito si trova a dover completamente ripensare la sua vita, provare a ricostruire se stessa e soprattutto a rimettersi in piedi. Detta così, la trama potrebbe sembrare comune, magari anche banale, ma grazie alla maestria nella composizione della linea temporale del film e grazie al montaggio, la regista riesce a svelare pian piano la storia costringendo lo spettatore a mettere in dubbio e ripensare tutte le certezze che aveva cominciato a mettere da parte.

Dieci minuti
Barbara Ronchi (640×360)

La storia di Bianca, infatti, è più complessa di come appare all’inizio. In una prima fase sembra solo profondamente affranta dalla rottura inaspettata con il marito, vittima e colpevole di non essersi accorta del degenerare del loro rapporto. Dunque, lo spettatore viene portato a provare immediata empatia per questa donna lasciata apparentemente senza spiegazioni valide, una donna che appare imputabile solo di essere estremamente ingenua. Lo spettatore è portato a sperare in una sua rivalsa, insomma: questa signora viene mollata, aggredita accidentalmente dal marito, finisce in terapia per questo e tutti gli elementi premono sull’empatia dello spettatore che vorrebbe solo proteggere questa donna indifesa.

Ed è proprio a questo punto che Maria Sole Tognazzi inverte totalmente la rotta e cambia le carte in tavola, svelando – come si accennava prima – pian piano la storia nella sua interezza e totalità. Bianca non è vittima della situazione più di quanto non lo sia di se stessa. Per troppo tempo, infatti, è stata cieca, forse inizialmente per difendersi, per sottrarsi al dolore, ma questo atteggiamento l’ha resa troppo cauta, troppo impaurita e troppo debole. Poi, a quella cecità, a quella mancanza di attenzione nei confronti di ciò che la circondava, si è abituata e ha finito per sconfinare in una forma di egoismo dannosa per chi le sta attorno.

Ecco che, dopo un gesto estremo, Bianca finisce in cura da una psicologa cinica e schietta che è proprio ciò di cui questo personaggio ha bisogno: si tratta della dottoressa Brabanti (Margherita Buy). La dottoressa Brabanti sembra essere la prima a non trattare Bianca con i guanti bianchi, anzi vuole aiutarla ad uscire dal guscio in cui si è rintanata, vuole aiutarla a uscire dallo stallo in cui è e superati i quaranta, a vivere la vita. Lo fa consigliandole di dedicare dieci minuti della sua giornata a fare qualcosa che non ha mai fatto prima, dunque a uscire dalla sua zona di comfort e ha buttarsi nell’incasinato, a volte crudele, ma straordinario mondo che la circonda.

Dieci minuti
Margherita Buy e Barbara Ronchi (640×360)

Ad aiutarla in questo percorso, una rete solida di aiutanti tra cui emerge Jasmine, sorellastra della protagonista, frutto di una relazione extraconiugale del padre, che Bianca non ha avuto modo di conoscere prima dell’estremo tentativo di togliersi la vita. In Dieci Minuti, Jasmine è chiave nella sua riscoperta del mondo e della vita perché è a tutti gli effetti la sua rete di sostegno principale.

Tra l’altro la bellezza di questo rapporto creatosi in un momento così particolare è gigantesca, è un rapporto assolutamente commovente. C’è un momento in particolare che è delicatissimo e mette in mostra l’attenzione e la cura per i dettagli, per quei gesti ordinari che però sono così involontariamente carichi di significato, ma che però rischiano di passare inosservati. Maria Sole Tognazzi grazie al mezzo cinematografico ci permette di prestare attenzione, di emozionarci di fronte a qualcosa di così banale come l’inquadratura di due paia di mani.

È Jasmine che, mentre sua sorella riposa in ospedale, vedendola per la prima volta, si guarda le mani e in soggettiva le mostra anche a noi per poi spostare quello sguardo su quelle della sorella. Ancora una volta è bene sottolineare la totale banalità del gesto, qualcosa che dovrebbe essere trascurabile, ma che sta mostrando allo spettatore che Jasmine è alla ricerca di qualcosa in comune con sua sorella, Jasmine si chiede cos’abbiano in comune le due, ricerca la loro familiarità in una cosa così semplice, così scontata come la forma, la posizione delle mani della sorella.

Dieci minuti
Fotinì Peluso e Barbara Ronchi (640×360)

Questo è solo un esempio della straordinaria capacità che ha Maria Sole Tognazzi di raccontare storie ordinarie, donne ordinarie e di riuscire a caratterizzarle, a raccontarle e ad osservarle con così tanta minuziosità e cura. La regista ha una delicatezza e una cura straordinaria per i suoi personaggi, soprattutto quelli femminili. Tutto il suo impegno, tutta la sua attenzione per queste storie di umanità così imperfetta, sono raccontate con estrema cura anche visivamente. L’occhio compositivo della regista emerge in ogni inquadratura, regalando allo spettatore dei veri e propri quadri, immagini bellissime soprattutto nei magici esterni: dalle strade di una Roma sempre affascinante ed eternamente straordinaria, a quelle del centro storico siciliano, a quelli naturali.

Insomma, Dieci minuti non sarà il film più dinamico del mondo, ma è certamente un buonissimo prodotto che merita di essere guardato e apprezzato nelle sue mille sfaccettature, per i suoi dettagli e per la sua straordinaria capacità di mostrare una grandiosa storia di ordinaria umanità.