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La vera complicatissima storia di Barry Keoghan, la prossima stella di Hollywood

Barry Keoghan
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Non è facile la vita a Summerhill nei primi anni Duemila. A dispetto del nome, questo sobborgo dublinese non è altro che una cruda distesa di ‘cottages‘. Cottages: ancora, di nuovo, un nome che è un’illusione, perché cottage nel Regno Unito indica nient’altro che scabre, aride case della classe operaia. In uno di questi cottages, in questa area povera e dimenticata, dura e degradata, cresce Barry Keoghan, un ragazzino dallo sguardo strano e dall’aspetto già consumato dalla povertà. Sembra un piccolo anziano, un personaggio dickensiano, mentre ciondola sui piedi battendo il duro e vuoto asfalto in abiti da operaio.

Barry i genitori li ha ma è come se non li avesse. Il padre è “un’ombra”, come avrà a definirlo, niente più di questo. Un ologramma incerto e in ogni caso ininfluente nell’ambiente domestico. La madre c’è, per così dire: si droga e quando non è ‘fatta’ vorrebbe esserlo. Nel migliore dei casi è semplicemente assente, nel peggiore pericolosa. E allora non passa molto tempo prima che qualcuno se ne accorga, prima che Barry sia tratto in salvo, almeno nelle intenzioni, da un contesto che l’avrebbe semplicemente divorato e rigettato.

Finisce in mano ai servizi sociali, passa di casa in casa, da genitori affidatari che, a detta sua, lo trattano “bene” ma che non sembrano, mai, amarlo davvero.

Quell’abbruttito ragazzino dallo sguardo torvo e fisso non piace a nessuno. E così, a testa bassa, senza il minimo fiato, quasi rassegnato a un destino da ramingo, Barry conosce e dice addio a tredici famiglie, tredici gruppi di persone che decidono immancabilmente di non volerlo più con sé.

Il sacrificio della cerva sacra
Keoghan in una scena di Il Sacrificio della Cerva Sacra (640×360)

Soltanto allora, mossa a pietà, la sua nanny -come la definisce affettuosamente lui-, la nonna materna, decida di tirare via dal suo destino il piccolo vagabondo esiliato. Lo prende con sé e lo tiene, amorevolmente, dolcemente, per quanto le è possibile, accanto a sé. La donna anziana non può offrire molto al nipote ma quel poco che ha lo condivide con lui, tra sonnacchiose serate e televisione sempre accesa. L’assenza di stimoli sembra atrofizzare Barry, sembra renderlo ancora più apatico e distante dal mondo. Ma c’è una cosa che riesce sempre a ridargli calore, interesse. Si mette a fissarla per ore, attento come fosse davanti a una maestra da cui imparare ciò che gli è essenziale per vivere: la televisione.

In tv, con la sua nonna a fianco, guarda i più grandi classici del cinema, si lascia sedurre dal fascino senza tempo di Marlon Brando, si drizza sulle gambe davanti al ribelle James Dean, si cala nei panni di ogni eroe che appare sul piccolo schermo di quel tubo catodico. È amore a prima vista. Che sia a casa o fuori, Barry non riesce a pensare ad altro, non riesce a vedere il mondo se non con gli occhi del cinema. Va al mercato e finge di essere il padrino, incontra una vicina di casa e tirandosi i capelli all’indietro ammicca, seducente, con l’aria di un Rebel Without a Cause. Per tutti, però, è sempre e solo “quello strano“, l’anziano ragazzino da cui è meglio girare alla larga.

Eppure nei suoi intensi, fissi, ipnotici occhi verdi ora c’è il fuoco.

A soli tredici anni riceve una notizia: la sua nanny lo prende da parte e gli sussurra, tremante, che la madre è morta. Overdose. “Aveva appena trentun anni“, si trova a pensare tra sé Barry. Non prova nulla, non c’è dolore, c’è una vaga nostalgia e rimpianto ma in cuor suo l’anziano ragazzino era già pronto da anni a quel momento. Se l’aspettava, attendeva soltanto che divenisse reale, ora lo era. Cosa farci? Certo, “Ho bellissimi ricordi di lei, sono orgoglioso di lei“, ma era una morte annunciata. Perché disperarsi?

Barry
Between the Canals (640×360)

Barry torna alla sua apatia, scossa soltanto dalle infinite storie di banditi e antieroi, di americani duri e puri e inseguimenti rocamboleschi. A scuola gli interessa solo una cosa: le recite prima delle vacanze. Vi si getta a capofitto, interpreta ogni parte che gli è possibile e lo fa con una devozione manicale. Non c’è divertimento, è un’ossessione totale che non fa altro che renderlo ancora più isolato e “strano” agli occhi di chi non ha mai potuto capirlo e continua a non riuscirci.

Passano gli anni e nessuno ha pensato al suo futuro. Non lo hanno fatto gli insegnanti, disinteressati come tutti a questo strambo ragazzino. Non lo ha fatto la nonna, donna ormai anziana e stanca. Davanti a lui c’è solo un grande punto interrogativo. Nessuno sembra preoccuparsene e non lo fa neanche Barry che nella sua genetica rassegnazione sopporta e accetta tutto. Procede a testa bassa ciondolando sul duro asfalto. Solo qualcosa lo smuove dal fatale torpore, una dipendenza che lo rende tarantolato, ancora più folle: la recitazione.

E allora insegue teatranti, importuna attori e registi e si presenta a ogni provino che gli è possibile fare.

Non gli importa di apparire inopportuno o assillante, ha bisogno della sua ‘dose’, la pretende. Torna a ciondolare, sopportando e insistendo, quasi consapevole che così deve andare. Ed è in uno di questi infiniti girovagare senza meta che i suoi occhi cadono su uno stropicciato bigliettino dietro una finestra: cercano un attore, lo vogliono giovane e ribelle. C’è un numero. Il telefono squilla, è libero, qualcuno risponde: ‘Pronto?‘. Con la voce tremante dall’emozione, dall’entusiasmo e dal desiderio, Barry spiega che chiama per il provino, che sa di essere quello giusto, gli diano solo una possibilità, una possibilità, signori, non ve ne pentirete.

Dunkirk
Dunkirk (640×360)

Dall’altro lato della cornetta c’è Mark O’Connor, lo stesso uomo che di lì a poche ore lo accoglie in un caloroso studio di un quartiere dabbene. Barry inizia a spiegare, a balbettare delle sue brevi e insignificanti esperienze, di recite scolastiche e parti amatoriali. Piagnucola che recitare è ciò che vuole fare più di ogni altra cosa, che è la sua vita, che è cresciuto a pane e James Dean. Ma O’Connor non lo ascolta nemmeno. È ipnotizzato da quel volto che ha davanti, da quello strambo anziano ragazzino dall’espressione vagamente inquietante e di certo inquieta che lo fissa con occhi incendiati di ghiaccio.

Ad appena sedici anni riceve la parte nel crime drama di O’Connor Between the canals, un film che vorrebbe essere un incrocio tra Mean Streets e L’odio ma che non riesce a essere nessuno dei due. Non è un grande successo di critica ma è un enorme successo per Barry. Gli apre le porte della più prestigiosa scuola di recitazione dell’Irlanda, la Factory, fondata e diretta dal famoso regista Jim Sheridan (In America, Nel Nome del Padre). Barry è il solito ragazzino strano di sempre ma ora tutto è cambiato. Nell’ambiente della Factory la sua stranezza diventa originalità, fascino, personalità. Tutti pendono dalle sue labbra, sono avvinti dalla mimica facciale, dal neorealismo espressivo che trasuda da ogni poro. Sheridan si lascia scappare a mezza bocca, sussurrando, poche, significative parole. “Straordinario“.

La Factory in breve inizia a stare troppo stretta a Barry.

Prova il grande salto, quello che sentiva sussurrare da tutti nei corridoi, associato al suo nome: “Hollywood“. La prima parte che ottiene è immancabilmente quella di un ragazzino di strada irlandese nella pluripremiata serie Love/Hate. Qualcosa però va storto: in una scena, come da copione, uccide un gatto. Il pubblico non accoglie per nulla favorevolmente l’episodio. Ne scaturisce un vero e proprio caso. A distanza di due anni, in uno stadio gremito da oltre novantamila persone, qualcuno lo strattona e gli urla: “Hey, tu sei quello che ha sparato al gatto!“.

Gi Spiriti dell'Isola
Gli Spiriti dell’Isola (640×360)

Ma non c’è tempo per le polemiche, Barry ottiene una nuova, piccola parte in Dunkirk, ulteriore passo avanti nella sua carriera. La svolta vera e propria avviene però grazie al genio senza tempo di Yorgos Lanthimos che fa di lui il perfetto co-protagonista del dramma sociale Il sacrificio del cervo sacro. Keoghan è impeccabile: glaciale, folle, iconico, inquietante. È tutto quello che gli chiede di essere Lanthimos. È tutto quello che è ed è sempre stato Barry Keoghan. È un successo clamoroso. Le grandi testate iniziano a interessarsi a lui, si spendono parole importanti: “La prossima stella di Hollywood“, “Un attore da vedere e rivedere“, “Superbo“.

Il resto è storia. Ancora al fianco di Colin Farrell negli Spiriti dell’Isola, film ermetico ma bellissimo, incentrato su un’amicizia interrotta. Lui, Barry Keoghan, di nuovo iconico e fascinoso nel suo esser ingenuo e infantile giullare della pellicola. Ormai l’Academy non può più ignorarlo. Riceve la prima candidatura agli Oscar, l’ultimo e insieme primo passo di una carriera che lo aspetta a braccia aperte. Quello strambo ragazzino anziano che ciondolava sul duro asfalto e seminava inquietudine è diventato un trentenne famoso in tutto il mondo. Anche se continua a far paura, inquietante e inquieto com’è sempre stato: Barry Keoghan, folle irlandese dagli occhi incendiati di ghiaccio.