Quartiere Trieste, 30 settembre 1975, tarda sera: “A tutte le volanti, viale Pola: 127 bianca targata Roma H16917, c’è un gatto che miagola nel bagagliaio.”
Il delitto del Circeo, nell’eccellente miniserie Paramount+, viene scoperto così dalle forze dell’ordine.
Con queste parole, col gatto che miagola. Quando i carabinieri forzano il bagagliaio, non c’è alcun gatto. Si mostra il volto insanguinato di Donatella Colasanti (17 anni) che si solleva tramortita con accanto il corpo avvolto nel cellophane della sua amica, Rosaria Lopez (19 anni). Quella fotografia, scattata da un fotoreporter accorso all’istante sul luogo del rinvenimento, farà presto il giro dell’Italia e rimarrà un simbolo visivo – gli occhi di Donatella sbarrati dalla paura – dell’atroce Massacro del Circeo. Un delitto di classe, è stato definito. Un delitto di genere, lo definiamo oggi.
Un atto di violenza inaudito compiuto da tre ragazzi della Roma bene, pariolini, su due ragazze di borgata, la “grandiosa metropoli plebea” per dirla con Pasolini. Quartiere Trieste domina sulla Montagnola. La periferia non è qui un concetto spaziale, l’estremità dei quartieri romani; è un concetto sociale: la periferia esistenziale che paga lo scotto amaro di essere semplicemente se stessa.
Tempo di violenze gratuite, di bombe e sequestri, di stupri non riconosciuti in quanto, negli anni ’70, lo stupro non esisteva, era un reato contro la morale pubblica. Bisognerà attendere il 1996, le battaglie femministe e un processo emblematico come quello del Circeo con le agghiaccianti testimonianze di Donatella Colasanti, sopravvissuta in cerca di giustizia, perché la legge venga modificata e lo stupro dichiarato reato contro la persona.
Nel 1975 Accattone, il film di Pier Paolo Pasolini (1962) veniva per la prima volta trasmesso in tv. Nei giorni successivi al massacro, sarà lui la voce eretica che scriverà sul Corriere della Sera riflessioni à rebours, controcorrente rispetto alle ideologie della stessa sinistra:“A livelli sociali diversi, i comportamenti dei giovani erano identici. Pariolini e borgatari erano contagiati dalla stessa brutalità”.
Frasi atipiche che destano non solo lo scalpore di figure politiche ma anche le risposte critiche di amici dell’intellettuale friulano, come Italo Calvino e Alberto Moravia. Moravia, colui al quale Angelo Izzo dichiarò di aver messo una bomba nel portone di casa. Rispetto al sottoproletariato urbano, però, i giovani rampolli della borghesia pariolina affiliati all’estrema destra armata possono girare tranquilli – mentre la mattina frequentano la loro scuola unicamente maschile, privata e cattolica – e compiere azioni violente rimanendo impuniti.
La scuola cattolica impartiva loro valori di rispetto verso l’agire morale, le regole e il buon senso.
“L’educazione era basata sull’eufemismo, sull’attenuazione e sull’uniformarsi. Non si doveva indicare le persone di cui si parlava e meno che mai schernire chi aveva difetti fisici”. Scrive così, nello splendido capitolo de “La scuola cattolica”, dedicato alla formazione e alla vita familiare alto-borghese, Edoardo Albinati parlando degli insegnamenti ricevuti all’Istituto San Leone Magno che frequentava insieme ai compagni Angelo Izzo, Gianni Guido, Andrea Ghira. E anche al sedicente “Carlo”, quel bel ragazzo che invita Donatella e Rosaria ad andare al cinema, tendendo loro la trappola infernale. “Carlo (cioè lo stesso studente che aveva spaccato gli occhiali al mio compagno di classe Marco Lodoli)” e che dopo l’arresto a ridosso del delitto, ne viene ritenuto estraneo, prosegue Albinati.
Bullismo e ultraviolenza. Ultraviolenza senza Beethoven e bullismo. Tra uno stupro verso una donna considerata “un pezzo di carne” come afferma Izzo in Storie Maledette, e rompere gli occhiali del compagno di classe, di fatto, non vi è differenza. È questo il contesto di libertà d’agire e protezione legalizzata in cui si muovono i figli della Roma bene e che la miniserie Circeo descrive con precisione e veridicità.
Visi puliti e vestiti curati, sono coloro che rovesciavano l’educazione severa del mattino – tra preti e genitori esigenti che non vogliano si dica “schifo” a tavola – con la barbarie notturna e le intimidazioni violente neo-fasciste.
“C’era un gusto insomma a sfigurare tutto ciò che di buono o di giusto o di sacro o di decoroso c’era stato insegnato: le buone maniere a partire dal linguaggio. A scuola ci sfogavamo con una volgarità pervasiva.”
La miniserie Circeo, lucida, avvincente, puntuale, parte da questa cornice tessendo un fil rouge con il film “La scuola cattolica.”
Se il bellissimo film – tratto dal romanzo di Albinati, vincitore del Premio Strega 2016 e diretto da Stefano Mordini – si concentra sull’ambiente in cui è germogliato l’odio e sull’assurdo paradosso per cui i figli maschi vengono iscritti in una scuola religiosa per essere protetti dal clima di furibonda violenza degli anni ’70 – la fiction ci fa rivivere, dolorosamente e caparbiamente, il dopo.
Un primo episodio, tranciante, racconta il delitto, il fatto di cronaca. C’è una frase rabbrividente che Angelo Izzo, sedicente Stefano, dice alle ragazze dinanzi al cinema per persuaderle a seguirli. Loro “dobbiamo essere a casa alle 8”. Lui “anche noi, ve lo prometto, parola di boy scout”.
Con quel parlato spavaldo e il sorriso consapevole e sprezzante che lo caratterizza, mette in scena il rovesciamento comportamentale. Perché Izzo, con i suoi amici cameratisti, i boy scout li aveva di recente picchiati a sprangate. Esattamente come aveva già stuprato due giovani, scontando poi una pena brevissima e svolgendo alcune sedute di psicoterapia perché “il carcere lo aveva traumatizzato”.
Apprendiamo le notizie dalle parole dell’avvocato di parte civile, Teresa Grossi. Perché i 5 episodi successivi spostano lì l’attenzione, sul processo.
L’avvocato Teresa Grossi, una bravissima Greta Scarano, è la voce metaforica e plurale dell’impegno, femminile e professionale, a servizio della giustizia e della battaglia per il riconoscimento dei diritti delle donne. Non un personaggio realmente esistito, ma l’invenzione narrativa di avvocati onesti e magistrati giusti che sono riusciti a ottenere l’ergastolo per i tre criminali, seppur – col senno di poi – sapremo che non è bastato.
Circeo è un fatto truce che segna il nostro Paese ed è una delle migliori serie italiane degli ultimi anni. Evento su cui di nuovo Pier Paolo Pasolini, che sarebbe stato ucciso due mesi dopo, non vede il delitto di classe, tra ricchi e poveri, che spacca sinistra e destra, ma la deriva antropologica e valoriale dei giovani che tanto avevano illuminato le strade nel ’68 e che altrettanto le stavano rabbuiando, annerendo e bombardando negli anni ’70 e poi ’80.
Circeo condensa lo spirito civico e il pensiero finalmente critico nei confronti di leggi ingiuste e retrograde.
Fa male seguire gli episodi dedicati al processo e vedere come gli avvocati della difesa, studi legali giganti e strapagati dalle famiglie degli aggressori, impostino le arringhe. Arringhe al limite dell’ascoltabile dinanzi a una vicenda così oggettivamente brutale. Fa bene per la memoria. E dimostra che le serie italiane funzionano. La produzione Cattleya con VIS per RAI e Paramount+ Italia, con la regia di Andrea Molaioli (Suburra, Bella da morire, Fedeltà), è accurata, frutto di ricerca storica, ben scritta senza sfociare in melodrammi e storyline secondarie poco utili e dispersive.
Rimane protagonista Donatella, superstite che non si dichiara vittima ma giovane donna che chiede giustizia per se stessa e per la sua amica, che vuole tornare a vivere. Ne ha diritto, no? O deve piangere, e non può andare a ballare, e non può fare audizioni per il teatro e il canto, perché deve rimanere vittima soggiogata? Perché, solo così, la giuria in aula e il giudicante popolo italiano infiammato dai media e dai cortei femministi, può riconoscere la gravità del delitto?
Donatella rappresenta anche questo, la necessità di riscattarsi e riprendersi la propria vita.
Emerge uno splendido legame tra Teresa e Donatella interpretata da Ambrosia Caldarelli. Un dialogo dove privato e pubblico si fondono e restituiscono un racconto vivo, sentito.
Le serie italiane vivono un momento felice e Circeo è una di quelle che vi suggeriamo di non perdere.
Assume ancora più valore se la visione si associa al film e alla lettura dell’illuminante volume di Edoardo Albinati, uno spaccato profondo e inarrestabile della società italiana che cambia.
La serie non parla solo ad amanti di cronaca nera, cultori del giallo e del true crime. Non parla solo a una generazione, quella dei nati negli anni ’40 e ’50 che hanno fatto il ’68. Parla ancor di più alle ultime, ai Millennial che hanno visto conquistare il cambiamento delle leggi, e alla Gen Z per comprendere come si sia arrivati ai risultati di oggi, di libertà acquisita, di diritti non più negati, di denunce possibili, disponibili.
Infine, è appena uscito nelle librerie – per chi volesse approfondire un documento dell’orrore della mente autoincensante di Angelo Izzo,“Io sono l’uomo nero. Dal Circeo a Ferrazzano la storia mai raccontata di Angelo Izzo e dei suoi crimini” edito da Rai Libri. Un libro duro che contiene stralci del suo memoriale narcisistico, scritto in carcere, in cui la ricostruzione delle efferatezze vanno di pari passo con l’analisi del profilo patologico scioccante, senza pentimento, prendendone sempre le distanze di scrittura. Come fa anche la serie, denotativa, intensa nell’empatia con le protagoniste, e repellente allo stesso tempo come le facce e i sorrisi dei 3 mostri, di cui Izzo diverrà nella storia mediatica nazionale il più malvagio.
Albinati dedica un capitolo al riassunto dei fatti così crudo che vengono i brividi a leggerlo e, come nel primo episodio della miniserie, viene da coprirsi gli occhi.
“La versione del delitto del Circeo fornita da Angelo è trasognata, sonnambolica (…). Angelo confessa candidamente tutte le bugie raccontate alle ragazze, Ma forse mente anche confessando le bugie (…). I suoi cambi di umore e di atteggiamento sono repentini. Quando ha inizio il sequestro vero e proprio Angelo narra quel momento come se vi fossero forze incontrollabili che agivano in lui avendo la meglio sulla sua stessa coscienza.”
Il delitto del Circeo non uccide e annega solo una ragazza e ne tortura un’altra, ma uccide e annega la coscienza umana tutta, dissolta, sparita.
La serie adesso disponibile su Paramount+, come molte serie italiane che trionfano prima sulle altre piattaforme e solo dopo in Rai, dovrebbe presto arrivare in chiaro su Rai 1.