Clark è arrivata su Netflix in silenzio, di soppiatto, facendo tutto da sola. Poca pubblicità, nessun annuncio riguardo al suo arrivo. Nessuno la stava davvero aspettando, e anche il suo atterraggio sulla piattaforma – per un primo momento – non ha fatto granché rumore. Ma qualcosa poi è cambiato. Non sappiamo quando o perché, ma è cambiato. Piano piano, la Serie Tv svedese con a capo il talentuoso Bill Skarsgård (di cui avevamo già notato il talento nell’opera cinematografica IT) faceva un passo in più verso la top ten Netflix, fino a quando non l’ha non solo conquistata, ma anche dominata. Con le sue forze, così, si è imposta all’interno della piattaforma narrando uno degli eventi che sconvolse non solo la Svezia, ma l’intera Europa. Ed è così che con sei episodi composti da un’ora ciascuno, Clark narra le vicende di Clark Olofsson, il criminale svedese a cui diversi psicologi (e non solo) si interessarono a seguito di una drammatica vicenda. E’ stato lui, infatti, a guidarli – inconsapevolmente – verso una particolare sindrome mentale in quel momento ancora sconosciuta: la Sindrome di Stoccolma.
Ma Clark non è solo questo. Clark è, per prima cosa, un ritratto intimo e personale della mente di un criminale. Risulta per questo semplice comprendere che la storia narrata sia in realtà tratta dalla sua autobiografia, motivo per il quale possiamo considerare suoi gli occhi attraverso cui l’abbiamo vissuta. Nonostante ciò, non bastano comunque sei puntate per rispondere alle domande che ci siamo posti: è tutto vero? la sua autobiografia è sempre stata sincera? che fine ha fatto adesso? Per ognuno di questi quesiti esiste una risposta, e noi siamo pronti a consegnarvela.
Cominciamo il viaggio all’interno della realtà di Clark Olofsson, una realtà che – scoprirete – è andata avanti fino a qualche tempo fa.
Nella mia vita ho fatto davvero di tutto e il f*****o contrario di tutto, tranne lavorare. Sono stato in Sud America, quattro volte in Giappone, ovunque tranne che in Australia. Sono vissuto come un re, come un re felice.
Queste parole risalgono a una delle ultime interviste di Clark Olofsson. Tutto ciò che la serie racconta è frutto di ciò che lui – in prima persona – ha narrato attraverso la sua autobiografia che comincia fin dai tempi della sua nascita. Nel dettaglio, Clark nasce nel primo febbraio 1947, a Trollhättan, in Svezia, da una cassiera e un operaio. Il padre rappresenta il suo vero incubo, il trauma della sua infanzia. Era alcolizzato e, soprattutto, violento. Non comunicava più con l’ausilio delle parole, ma solo con quello delle mani. Il peggio. per un attimo, sembra passato quando va finalmente via di casa, ma è solo un’impressione. La madre, per la disperazione, finii infatti in un ospedale psichiatrico, e così Clark venne affidato a delle famiglie che – in realtà – non sempre avevano qualcosa di più sano e confortevole della sua. Come vedrete all’interno della serie, la parte riguardante la malattia psichiatrica della madre viene omessa. I motivi hanno a che fare con la scelta di Clark di tutelare una parte di vita momentanea (si riprese poco dopo) dell’unica persona a cui lui abbia davvero tenuto.
L’adolescenza di Clark ha avuto come protagonista principale l’illegalità. Ognuno dei suoi ricordi ha questo aspetto come denominatore comune, cosa che ha reso i riformatori i posti in cui ha trascorso più tempo. In particolare, nella serie, viene raccontata l’incursione all’interno della dimora del primo ministro. Nella realtà, Clark e suoi amici, entrarono davvero nella casa con l’obiettivo di rubare degli ortaggi, ma non incontrarono mai il primo ministro. Al contrario, furono inseguiti dal giardiniere.
Dopo questo reato, Clark ne commise subito un altro di natura ancor più grave. Lui e un suo amico – durante una rapina – aggredirono un poliziotto. Come vediamo nella serie, a sparare non fu lui, ma Clark venne comunque processato in quanto complice dell’omicidio. Questo reato gli costò ben otto anni di carcere.
Durante la sua prigionia venne chiamato dalla polizia svedese per collaborare a un particolare caso. Nel dettaglio, Olsson – un suo amico di vecchia data – prese in ostaggio dei dipendenti della Sveriges Kreditbanken a seguito di una rapina. Olsson non contrattò per il rilascio di questi ultimi, dichiarando che questo sarebbe arrivato soltanto se Clark lo avesse raggiunto nell’immediato. La polizia – ormai priva di altri rimedi – accettò l’offerta, liberandolo temporaneamente. Quel particolare momento vide la figura di Clark scontrarsi con quella da criminale. Le persone, anche i media stessi, cominciarono a vederlo come un eroe che stava rischiando la vita pur di raggiungere il rapitore e, quindi, liberare gli ostaggi. Durante quelle ore – 130 per l’esattezza – il rapinatore e Clark si comportarono, secondo le vittime, in modo molto gentile. Prestavano delle attenzioni, erano generosi. Gli ostaggi arrivarono perfino ad avere più timore della polizia che dei loro rapitori, e fu proprio questo aspetto psicologico a introdurre per la prima volta il concetto di Sindrome di Stoccolma.
Qualsiasi cosa sia successa all’interno di quelle mura, Clark ne uscii da eroe. La polizia, in merito a questo, decise di fargli scontare solo la precedente condanna, riconoscendo in lui – per la prima volta – un barlume di umanità.
Ma la calma apparente durò poco. Il 20 marzo del 1975 Clark scappa nuovamente dalla prigione e, senza perdere troppo tempo, organizza un altro colpo alla banca di Copenaghen rubando ben 194.000 corone svedesi. Il denaro racimolato gli permette di comprare una barca e navigare per ben tre mesi nel Mediterraneo. Dopo la fine di questo viaggio, Clark viene beccato per ben due volte dalla polizia, riuscendo a scappare in ognuna di queste.
Le cose, come previsto, vanno degenerando. Siamo durante il freddo marzo del 1976, e Clark Olofsson compie la più grande rapina mai vista fino a quel momento: 930.000 corone svedesi. Ciò che Clark in quel momento non sa è che di quei soldi non ne vedrà neanche uno. Viene infatti arrestato solo nove ore dopo dal colpo. I poliziotti riescono a recuperare solo una parte del bottino (230.000 corone), la restante somma non è mai più stata trovata.
Non pensate che questa storia sia giunta alla fine, perché Clark – tre settimane dopo il verdetto che lo condannava a otto anni – scappa di nuovo, riuscendo a far perdere tutte le sue tracce per oltre due settimane, venendo poi ricatturato il 31 luglio ad Halmstad.
I giorni in carcere passano come al solito, fino a quando non ottiene un congedo di qualche ora. E’ in quell’occasione che Clark, forse per la prima volta, si macchia le mani. Durante una festa di mezza estate, infatti, discute animatamente con un pescatore a cui – come vedremo anche nella serie – risponderà con delle drammatiche e violente coltellate. L’uomo riesce a sopravvivere, ma questa aggressione costerà ben altri due anni e mezzo di prigionia, durante i quali comincia a studiare giornalismo presso l’università di Stoccolma.
Questa storia vede come protagonista un uomo che non ha mai conosciuto redenzione. Il semplice fatto di riuscire a fuggire dalle carceri è sempre stato – forse – uno dei motivi per cui lui non ebbe mai davvero paura delle conseguenze. E’ inevitabile che, una volta giunti a questo punto, ci si chieda che cosa sia successo dopo. Che fine ha fatto adesso Clark Olofsson?
Qualche notizia, sarete felici, l’abbiamo. Durante gli anni 90 Clark ha più volte cambiato nome e rinunciato alla cittadinanza svedese (per poi riottenerla). Durante quegli anni ha rapinato ancora altre banche e – nel 2008 – è stato beccato con un enorme carico di droga, che gli è costato altri quattordici anni di carcere. Dal 2014 è ufficialmente libero, e le sue tracce sono oramai state completamente perse. Non sappiamo dove sia e come viva. E’ probabile, a quanto si dice in giro, che in questo momento si trovi in Belgio sotto una nuova identità. Non sappiamo come stia continuando la sua vita, né cosa sia rimasto di quel ragazzo che non ha mai conosciuto alcun limite. Ciò che sappiamo è che, in un modo o nell’altro, Clark ha sempre voluto vivere sotto i riflettori, come suggerisce lui stesso nella sua biografia. Voleva essere ricordato e, una volta fatto, poi sparire. E chissà, forse ricominciare da zero.