Non è passato nemmeno un anno dall’ultima volta, eppure eccoci ritornati ancora una volta nella Valley, tra faide sul karate che si tramandano di generazione in generazione, drammi adolescenziali e tante, davvero tante, botte: si parla di Cobra Kai 5, l’attesissima nuova stagione della serie di Netflix sequel del franchise di Karate Kid, sbarcata sulla piattaforma streaming il 9 settembre con tutti i suoi 10 episodi. Trattasi di una serie che di anno in anno ha generato sempre più consensi riuscendo a ottenere le grazie sia dei fan storici della saga sia di nuove leve. Giunti ora alla quinta avventura, gli spettatori possono dire di aver ormai appreso la ricetta di Cobra Kai, un misto tra commedia e dramma dove a essere al centro di tutto, più di una trama sempre più esageratamente complessa, stanno combattimenti ottimamente coreografati e personaggi in continua e perenne evoluzione.
Cobra Kai 5 sarà quindi riuscita a confermale questa formula vincente? Restate con noi per scoprirlo con la nostra recensione rigorosamente senza spoiler!
Partiamo da questo presupposto: la quinta stagione di Cobra Kai ci ha saputo piacevolmente intrattenere per qualche ora, facendoci ancora una volta immedesimare con questi invasati del karate, catapultandoci all’interno di una narrazione divertente (seppur esageratamente fuori dalle righe) e conquistandoci grazie a scontri ben coreografati e degni dei migliori shonen giapponesi. Tuttavia, non abbiamo potuto fare a meno di segnalare alcuni problemi sui quali agli esordi della serie potevamo soprassedere, ma che, arrivati a questo punto della narrazione, iniziano a stonare un po’.
La quarta stagione di Cobra Kai ci aveva lasciato con tantissimi punti interrogativi e tante storyline aperte e in sospeso: da un lato troviamo infatti la fuga di Miguel Diaz (Xolo Mariduena) in Messico in cerca del padre, dall’altro invece la vittoria di Tori comprata da Terry Silver presso il torneo di All Valley, con annessa la sconfitta del Miyagi-Do e la confermata supremazia del Cobra Kai. Mentre Robbie (Tanner Buchanan) fa ammenda e prova a riconciliarsi con il padre e Sam si sente in colpa per aver perso l’incontro, Danny LaRusso (Ralph Macchio) di certo non sta con le mani in mano e chiede aiuto all’ex nemico Chozen per smascherare Silver (che nel frattempo ha spedito Kreese in prigione e ha assunto il comando del suo dojo) una volta per tutte.
Ed è proprio così che si apre Cobra Kai 5 con la sua ambientazione estiva: la sfida è nuovamente aperta, una sfida non solo tra dojo, ma anche tra diverse filosofie di vita che determineranno il destino dei giovani della Valley, i quali rischiano di essere educati alla violenza e all’inganno dal Cobra Kai di Silver. È proprio quest’ultimo personaggio a costituire quello che da un lato è un punto di forza, ma dall’altro la grande debolezza: il suo essere un villain vero e proprio, senza alcuna possibilità di redenzione e dalle trame così machiavelliche da far impallidire alcune dei più noti cattivi delle serie tv, fa infatti venir meno il meccanismo dell’anti-eroismo di cui si è da sempre fatta simbolo la serie. Come il cattivo di un film alla James Bond, sia esteticamente che caratterialmente, l’uomo sembra infatti disposto a fare la qualunque pur di eseguire il suo piano “malvagio”, progetto che viene preso con estrema serietà (troppa serietà diremmo noi) da lui stesso come da tutti i suoi nemici.
La quinta stagione di Cobra Kai punta ancora di più rispetto al passato sull’elemento dell’intrigo: mai come ora le trame dei protagonisti e degli antagonisti si fanno complicate ed eccessive. Se già nelle precedenti stagioni, infatti, lo spettatore finiva per alzare notevolmente la sua soglia di incredulità di fronte ai comportamenti degni dei migliori antagonisti dei gangster movie dei nemici, Cobra Kai 5 tocca gli estremi, arrivando quasi a compiere il famigerato salto dello squalo. Ma questo è forse un male? Come anticipavamo prima, gli spettatori della serie, abituati da ben cinque stagioni ad adulti intenti a macchinare per avere la meglio nelle faide di karate, sanno da tempo quello a cui vanno incontro. Tuttavia, non sarebbe assurdo se qualcuno dei fan della prima ora della serie finisse per stancarsi di tali meccanismi, soprattutto se la serie smettesse di evolversi e finisse per ristagnare sempre nelle medesime trame.
Quel che è certo è che, in continuità del passato, a risultare maggiormente interessanti all’interno della serie, anche questa volta, sono i percorsi svolti dai personaggi, improntati tra evoluzioni o involuzioni, ma sempre coerenti con il loro vissuto.
Tra i tanti protagonisti della storia, però, a brillare particolarmente anche in questa stagione è il fan favorite Johnny Lawrence, un personaggio ben caratterizzato e reso al meglio dal fantastico William Zabka, davvero irresistibile sia nei momenti più comici che in quelli introspettivi. Johnny in questa stagione, mai come prima d’ora, si ritrova a fare un bilancio delle sue priorità per assumere degnamente il proprio ruolo di padre: pur rimanendo fedele a sé stesso, l’uomo infatti diviene la propria versione migliore e riconquista, come lo era stato agli albori, il proprio ruolo di cardine dell’intera stagione, rivelandosi ancora una volta come il vero e proprio cuore dello show. Tra gli altri personaggi, emergono senza dubbio le figure femminili di Tori e Sam, sempre contrapposte, ma in lotta con sé stesse per ritrovare un proprio equilibrio.
L’impressione che però si ha in generale è che i protagonisti dello show siano forse diventati troppi, cosa che ha in parte penalizzato alcuni membri storici del cast, che hanno visto il proprio screen time calare drasticamente rispetto alle precedenti stagioni, soprattutto perché questa quinta stagione ha visto più al centro gli adulti rispetto ai ragazzi. E per quanto riguarda i cameo e l’effetto nostalgia? I fan del franchise di Karate Kid potranno dirsi ancora una volta soddisfatti sotto questo punto di vista: oltre al ritorno del personaggio di Chozen, che qui dà il meglio sia come bussola morale di Daniel sia come carismatico comic relief, ritroviamo anche il Mike Burns di Sean Kanan direttamente da Karate Kid 3 in una veste del tutto inedita. Ma non finisce qui: tante sono le nuove introduzioni del cast, volte a rendere lo show quanto più corale possibile e a raccontare storie diverse e da differenti punti di vista.
Ancora una volta, le tematiche principali della serie riguardano la ricerca di sé stessi e del proprio equilibrio, il rapporto tra genitori e figli, il desiderio di rivincita: tutti aspetti già affrontati nel corso delle precedenti stagioni, che qui tornano senza particolari guizzi, almeno nella prima metà della stagione. A partire dal sesto/settimo episodio, infatti, Cobra Kai 5 prende una piega molto più interessante, nonché più cinematografica: oltre a una svolta che cambia completamente le carte in tavola, anche il comparto tecnico della serie pare innalzarsi, e non di poco. Scollandosi da quelle storyline che di fatto sembravano non poter portare a nessun cambio dello status quo, la seconda parte di stagione viaggia veloce e intriga grazie a numerose scene d’azione e a un lungo finale davvero emozionante e per nulla scontato, che sorprende e apre le porte alla sesta stagione, probabilmente l’ultima della serie Netflix.
Un’analisi a sé stante va invece alle sempre ben eseguite coreografie delle scene di combattimento, studiate nei minimi dettagli e davvero credibili. Le lotte tra i vari personaggi della serie, da quelle più futili a quelle maggiormente pregne di significato, continuano infatti a essere uno degli elementi di maggior forza dell’intera operazione e non stancano mai, regalandoci sequenze adrenaliniche in grado di fomentare il pubblico e di creare dei veri e propri spettacoli per gli occhi. A dettarne lo stile sono i grandi classici film d’azione degli anni ’80 e ’90, citati in più frangenti all’interno della serie e in grado di trasmettere quella sana dose di effetto nostalgia che fa tornare gli spettatori indietro nel tempo.
In definitiva, dunque, cosa possiamo dire di questa stagione?
Senz’ombra di dubbio la serie riesce nel suo intento di intrattenere lo spettatore, affezionatosi per forza di cose ai tanti personaggi della serie, ma per farlo continua ad avvalersi degli stessi espedienti narrativi che abbiamo più volte visto nel corso delle sue stagioni precedenti. L’idea che ci siamo fatti è che Cobra Kai, pur rimanendo un prodotto godibile e divertente, si stia macerando troppo nel cosiddetto usato sicuro, riciclando spesso e volentieri formule già testate e sperimentate senza osare di più, senza concedere svolte particolarmente innovative, se non per il finale di stagione, che, seppur sopra le righe, ha lasciato tutti con il fiato sospeso e promette grandi cose per il futuro della serie.
Noi aspettiamo con ansia l’annuncio di una sesta stagione, e voi?