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Cobra Kai funzionerà sempre perché gli anni Ottanta non finiranno mai

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ATTENZIONE: l’articolo potrebbe contenere spoiler sulle cinque stagioni di Cobra Kai!!

Gli anni Ottanta, i mitici anni Ottanta. Magnifici e contraddittori, entusiasmanti e ingannevoli. Più passa il tempo, più quel decennio assume i contorni indefiniti del passato che si fa storia, mito, leggenda. Le serie tv ambientate negli anni Ottanta rischiano di diventare un genere a sé, una sottocategoria di period drama impostata entro canoni specifici, finalizzata a suscitare nello spettatore quell’effetto nostalgia in grado di riportarlo indietro con le lancette della storia a un’epoca che si rievoca sempre con un pizzico di malinconia. La televisione degli anni Ottanta ha poi contribuito notevolmente a forgiare quei miti di cui ancora oggi parliamo con un certo senso di deferenza e rispetto. Le grandi saghe cinematografiche di quel periodo hanno segnato generazioni di giovani spettatori che hanno tratto parte della propria formazione culturale anche dai modelli televisivi allora in più in voga. The Karate Kid usciva nel 1984, lo stesso anno in cui al botteghino incassavano pure pellicole come C’era una volta in America, Ghostbusters e The Neverending Story. La storia di formazione del giovane Daniel Larusso, un ragazzino bullizzato da Johnny Lawrence e deciso a prendersi la propria rivincita sul ring grazie al supporto del suo sensei giapponese, ebbe negli anni Ottanta uno straordinario successo. Successo che si è dilazionato nei decenni successivi, fino a giungere alle soglie del Duemila, epoca nuova per forme, stili e gusti culturali. L’operazione Cobra Kai è risultata da subito vincente. Non tanto per la serie in sé, quanto piuttosto per ciò che è in grado di rievocare. Poteva essere un progetto fallimentare – abbiamo visto tante serie sequel, remake e nuove stagioni andare a sbattere contro una sonora bocciatura di ascolti – e invece ha colto pienamente nel segno, bilanciando bene gusto vintage e tendenze moderne.

Cobra Kai (640x360)
Cobra Kai (640×360)

Diverse serie tv hanno saputo usare con intelligenza l’effetto nostalgia senza essere stucchevoli, Cobra Kai è decisamente una di queste.

Quel che ha maggior presa sul pubblico, nella serie con Ralph Macchio e William Zabka, è proprio il legame con la saga di The Karate Kid. I personaggi che avevamo lasciato ragazzini negli anni Ottanta, li ritroviamo qui adulti e maturi, non più alle prese con le bizze adolescenziali, ma totalmente immersi nella vita dei grandi. Johnny Lawrence e Daniel Larusso hanno il viso invecchiato, indurito dal passare degli anni, ma ancora perfettamente riconoscibile. Sono cambiati (neanche troppo), maturati (forse solo un pochino), ma restano il prodotto del loro passato, delle vecchie faide e dei conflitti non risolti. La storia dello show realizzato da Jon Hurwitz, Hayden Schlossberg e Josh Heald è sostanzialmente questa. Il resto ci viene costruito attorno. Ci sono nuovi personaggi, nuovi ragazzini con nuove problematiche, ma è la nuova versione del vecchio che seduce lo spettatore e lo incuriosisce. Quel che funziona di più in Cobra Kai è la suggestione vintage, il desiderio di sapere che ne è stato di quei personaggi lasciati quasi trent’anni prima e ritrovati a distanza di tanto tempo. Svuotato della sua presa nostalgica, lo show rischia di diventare una serie come tante, neppure particolarmente brillante. Un teen drama d’azione che somiglia più a una comedy che a una serie drammatica.

Cobra Kai (640×360)

La quinta stagione, disponibile dal 9 settembre su Netflix, ha dimostrato di avere qualche problema, con scelte narrative che a volte sono sembrate un po’ azzardate, schemi talvolta ripetitivi e qualche spericolato salto in avanti. Tutto sommato però, abbiamo continuato a guardarla con lo stesso interesse di sempre. Perché? Perché la magia degli anni Ottanta seduce e incanta e riesce ad irretirci nella trappola consegnandoci alla fascinazione del decennio d’oro. Cobra Kai l’ha capito e prova a sfruttare a proprio vantaggio l’elemento malinconico. Sono tanti i riferimenti e le citazioni sugli anni Ottanta: a parte i flashback e le immagini estrapolate direttamente daThe Karate Kid, c’è molto altro a ricordarci l’epoca vissuta da Johnny Lawrence e Daniel Larusso. Musiche, canzoni, mode, stili, riferimenti espliciti ai mitici anni Ottanta occupano buona parte degli episodi di Cobra Kai, rinsaldando ancor di più il legame diretto con la saga. Cobra Kai vive ancora sulla scia di The Karate Kid. Ne ha ereditato i contrasti, la voglia di rivalsa, la predisposizione all’azione. Ma anche i gusti e la forma mentis. La serie continua a funzionare perché si riallaccia a una tradizione cinematografica e culturale che ha segnato tutta una generazione di spettatori che oggi faticano a trovare qualcosa di simile nell’offerta televisiva attuale. Una tradizione che ha funzionato allora e che, somministrata a piccole dosi, continua a funzionare ancora oggi.

Cobra Kai (640x360)
Cobra Kai (640×360)

Quanto più Cobra Kai si avvicina ai modelli canonici dei teen drama moderni, tanto più emergono difetti, imperfezioni e cose che non funzionano. Le piccole beghe personali dei personaggi giovani sono interessanti e incuriosiscono il pubblico, ma alla lunga rischiano di suonare ripetitive. Se si lasciano inglobare invece dal flusso di Cobra Kai – un flusso la cui sorgente è sempre quel The Karate Kid a cui la serie guarda costantemente -, riescono a sprigionare maggior forza attrattiva, perché parlano di una storia che è intramontabile e che riaffiora semplicemente sotto altre forme. Non è solo il precedente del film che ritorna, la piccola faida tra Daniel Larusso e Johnny Lawrence che si riaccende, quanto piuttosto un modo stesso di pensare che riprende vita e si rinnova rievocando vecchi modelli. Le generazioni cresciute nel mito degli anni Ottanta hanno subito il fascino di quelle storie in cui c’erano sempre i buoni a respingere le prepotenze dei cattivi. Storie in cui la separazione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato era piuttosto netta. Storie che mettevano al centro il sacrificio e che davano la sensazione di poter raggiungere la vittoria anche quando questa appariva distante e illusoria. La generazione degli anni Ottanta è una generazione venuta su con quel briciolo di fiducia nel futuro che oggi sembra parzialmente archiviato, una generazione allenata alla speranza, capace di distinguere il bene dal male e abituata a credere che esiste per tutti una possibilità di redenzione. Tutti valori che in Cobra Kai riemergono a più riprese e che invece nell’attuale offerta televisiva appaiono sempre più appannati e confusi. Il pubblico che Cobra Kai è riuscito a fidelizzare è affezionato non solo alle vecchie faide di Daniel-San, Johnny Lawrence e degli altri personaggi riemersi dalla saga di The Karate Kid. Ma soprattutto a un’idea di mondo, a una tradizione culturale e a un modo di essere che sono sopravvissuti all’avvento del terzo millennio e riposano nascosti in tutti i nostalgici degli anni Ottanta, in attesa di essere risvegliati. Ecco perché Cobra Kai funzionerà sempre: perché gli anni Ottanta non finiranno mai.