Sapete, l’indecisione assume quel ladro carattere dell’assorbimento.
Nulla sa rappresentare un dualismo tanto nefasto che consiste nell’essere sfibrante e faticosa ma al tempo stesso totalmente inutile ed infruttuosa.
Essere indecisi è forse una delle passive decisioni peggiori.
Nel mondo delle serie televisive, questa è una delle condizioni più note. Qui, per giunta, l’indecisione si fonde alla limitata conoscenza dovuta alla vastità di materiale a disposizione nel ramo.
Un lingotto in ferro massiccio ricoperto da una sottile patina color oro ha lo stesso valore di uno interamente in oro, finché non ne viene grattata la superficie e scoperta la materia interna: è questo il lavoro di “Consigli Seriali“, la rubrica che capovolge il prodotto e ne legge gli ingredienti al fine di autenticarli, che apre la scatola e sentenzia sulla rinomata incognita rivelando se il gatto è vivo o morto; rompendo uno degli anelli dell’inerzia che muove l’indecisione.
L’oggetto di oggi è “The Strain“, la trasposizione televisiva di Benicio Del Toro e Chuck Hogan della trilogia di romanzi “Nocturna“, da loro stessi ideati e scritti.
La trilogia si compone dei capitoli “The Strain” (La Progenie), dal quale è tratta la prima stagione e dal quale prende nome l’intera serie, “The Fall” (La Caduta), dal quale è tratta la seconda stagione, e “The Night Eternal” (Notte Eterna), da cui è tratta la terza stagione ancora in produzione.
Il protagonista è Ephraim Goodweather, virologo di New York, col suo ossessivo stacanovismo che lo porta a smarrire miseramente il controllo del suo matrimonio, finendo solo e con un figlio di cui ha perso l’affidamento.
Un fatale giorno, un aereo atterra al J.F.K Airport di New York con segnale radio e luci fuori uso, rimanendo spento e fermo sulla pista per ore, prima che la torre radio appuri definitivamente l’impossibilità di avere contatto audio con quello che sembra un autentico relitto inanimato.
Viene fatta irruzione, ed all’interno vengono trovati tutti i passeggeri e membri dell’equipaggio morti in condizioni anomale e sconosciute. Tutti tranne quattro passeggeri, quattro pozze d’acqua in un deserto che sanno di arido e tortuoso enigma da risolvere.
Successivamente, nell’aereo, viene rinvenuta anche un’enorme cassa contenente del terriccio.
Il nostro protagonista, Eph, viene informato dell’accaduto e chiamato in causa dai sospetti che vedrebbero la tragedia come la conseguenza di un contagio virale.
L’arrivo sul posto di una criptica ed inusuale figura, un anziano uomo con un bastone dal manico d’argento, però, gli lancia quello che ha le altisonanti sembianze di un avvertimento: lo esorta ad uccidere tutti i “cadaveri” all’interno del relitto e di bruciare la cassa. Chiaramente, l’uomo viene denigrato, prelevato e portato a debita distanza dalle forze dell’ordine.
I cadaveri cominciano a sparire dall’obitorio ed Eph, affiancato dalla sua collega di lavoro Nora Martinez, comincia ad avere il dubbio che l’anziano potesse sapere qualcosa a loro ignoto.
L’incontro con l’anziano uomo, un sopravvissuto all’Olocausto dell’era nazista di origine armena di nome Abraham Setrakian, è rivelatore seppure non del tutto convincente, inizialmente, agli occhi dei due epidemiologi: un male atavico, antico come le origini dell’uomo, è tornato a minacciare l’umanità dopo quasi un secolo dall’ultima manifestazione (che si scoprirà essere avvenuta proprio nell’era nazista, durante la prigionia di Setrakian), e si manifesta attraverso la trasformazione degli esseri umani in creature dalla pallida pelle, bulbi oculari totalmente neri ed un viscido e filiforme pungiglione sfoderato all’occorrenza per prosciugare il flusso sanguigno della vittima, infettandola di conseguenza.
Volgarmente, gli esseri sono definiti “strigoi“, o meglio vampiri, e sono occhi ed orecchie di un essere superiore che ne manipola la volontà, il Deus Ex che domina l’intera specie sotto ogni aspetto, anche quello della coscienza: il Padrone, il capo-stirpe a cui Setrakian da la caccia da un’intera vita.
Ogni icona, nel quadro fiabesco che vanta essere “The Strain”, rappresenta un significato unitario proprio e tutte insieme ne formano uno complessivo: una profezia.
Il dinamismo della struttura si intreccia a quello dei temi presi in causa da quella che è una mitologia creata per essere seguita staccando la mente e godendosi il pregevole tratto “fantastico” tipico, appunto, di una fiaba.
A proposito di tale parentesi, un elemento degno di nota sono alcune delle intro, come quella della prima puntata della seconda stagione, che vede un’anziana signora raccontare una fiaba al proprio piccolo nipote (Abraham Setrakian in un flashback), una storia che nei propri tratti caricaturali e prelibatamente presentati in forma magica ed onirica, è esplicativa delle origini della “leggenda” degli strigoi.
L’inconfondibile influenza fantasy della mano di Del Toro, dunque, si insidia in una miscela idrofila di scienza, fantasia ed orrore.
Una miscela che si ramifica ulteriormente a livello inter-testuale, nel corso della storia, quando la conturbante lotta contro il Padrone ed i suoi strigoi arriva ad un momento cardine.
Una battaglia che finisce per essere combattuta su più fronti dalle assortite menti che si apprestano ad affrontarla: quello scientifico, che vede Eph e Nora alla ricerca di un vaccino per quello che credono poter debellare come un virus, i cui risvolti si riveleranno interessanti e classica somatizzazione del più tipico “la soluzione è ciò che ricevi mentre cerchi qualcos’altro“; quello paranormale, con Setrakian dedito in maniera commovente ed autodistruttiva alla ricerca di un secolare tomo magico che conterrebbe il segreto per sconfiggere il Padrone; quello socio-politico, con la sezione militare che opta per la protezione del perimetro di Staten Island ed adotta la “politica terrore” per intimorire e tener lontana la minaccia; ed una rivalsa interna tra fazioni del male, con protagonista la tacita rivolta de “Gli Antichi” contro il Padrone.
Del Toro sa bene che l’arte difficilmente diventa virale, ma l’oscurità sa essere contagiosa. Può funzionare, da affascinante semplicità.
Così, con un leggiadro flusso di classicità narrativa, leggere dinamiche tipiche degli zombie movie nelle sequenze action, una mitologia che stravolge la biodiversità con l’innesto di figure sempiterne nella nostra cultura come quella dei “vampiri”, ed una cornice buia quanto l’oscurità dentro la quale sono costretti ad incombere i cittadini di New York, nasce una serie il cui maggior pregio è il piacere di lasciarsi guardare con spensieratezza.
“The Strain” è una fiaba horror che assume il ruolo di un virus che rompe le barriere formate dalle alte aspettative per permettere, per un breve e permissivo momento, una visione distensiva, più guardata che pensata.