Se c’è un anime che ha tutto il diritto di definirsi “unico nel proprio genere“, questo è sicuramente Cowboy Bebop, un prodotto dotato di uno stile tanto peculiare e personale da non trovare rivali nel panorama seriale. Amata da pubblico e critica sin dalla sua prima messa in onda sul finire degli anni ’90 (e in Italia dal ’99 durante la storica Anime Night di MTV), il Cowboy Bebop di Shinichiro Watanabe è uno di quei prodotti che trascendono la tipologia di medium e costituisce una di quelle serie che, a parer nostro, tutti dovrebbero visionare almeno una volta nella vita, a prescindere che si sia esperti o appassionati di animazione giapponesi. Perché, vi chiederete voi? Perché si tratta di un prodotto di inaudita qualità sotto tutti i punti di vista, da quello narrativo a quello tecnico. Due aspetti che, a dispetto di tutti gli anni passati, hanno fatto sì che la serie non paresse invecchiata nemmeno di una virgola, continuando anche oggi a lasciare il pubblico a bocca aperta per la sua profondità e per la sua spettacolarità.
Per incuriosire chi ancora non avesse avuto modo di approcciarsi a questa meravigliosa serie, vi lasciamo qui la nostra recensione senza spoiler di Cowboy Bebop, sperando che vi faccia venire voglia di recuperarla su Netflix.
La serie è ambientata in un futuro non troppo remoto, tra pianeti e satelliti del nostro sistema solare, dopo che la Terra è collassata su sé stessa diventando inabitabile. Tuttavia, su Marte, così come su Ganimede e su altri corpi celesti, l’umanità continua a essere la stessa di sempre: corrotta e disposta a tutto pur di ottenere ciò che vuole, anche a sporcarsi le mani. Qui entrano in gioco Spike Spiegel e il suo socio Jet Black, cacciatori di taglie dal passato misterioso che inseguono i propri bersagli viaggiando per lo spazio profondo, come cowboy del futuro a bordo dell’astronave Bebop che, col procedere degli episodi vedrà aumentare il proprio equipaggio.
Quando si parla di intrattenimento, parlare di perfezione sembra sempre essere un pericoloso azzardo. Eppure, quando pensiamo a Cowboy Bebop viene davvero difficile dosare il nostro entusiasmo per un prodotto che se non raggiunge le massime vette in termine di qualità gli si avvicina almeno a distanza ravvicinata. Forse perché l’anime incentrato sulle avventure di un gruppo di cacciatori di taglie spaziali riesce a superare qualsiasi barriera uno spettatore possa aver costruito introno a sé con estrema facilità, forse perché è in grado di renderci vittima della sindrome di Stendhal a quasi ogni suo frame.
Una serie pienamente originale che, pur prendendo come riferimenti alcuni generi cinematografici come l’hard boiled, la fantascienza e addirittura il genere western (il titolo che caratterizza la serie non è certo casuale) offre un risultato inedito e innovativo, soprattutto per il periodo in cui uscì per la prima volta. Cowboy Bebop, infatti, non è una semplice serie dall’ambientazione fantascientifica dalle tinte action: pur narrandoci missioni che ci portano in tutto il Sistema Solare alla ricerca di criminali da assicurare alla giustizia per riscuoterne la taglia, assistiamo a episodi pregni di significato, dalle tinte mature e adulte, che spaziano focalizzandosi su una vasta varietà di tematiche e che indagano la natura umana come in pochi altri prodotti.
Merito di una sceneggiatura sapiente capace di scrivere personaggi complessi e in cui lo spettatore riesce subito a immedesimarsi, a partire dal protagonista Spike Spiegel, carismatico, apparentemente infallibile ma dal passato misterioso e oscuro, passando per il burbero ma saggio Jet Black, la sensuale e pericolosa truffatrice Faye Valentine, dall’apparenza superficiale ma che nasconde una grande solitudine interiore, la giovanissima hacker Ed e il super-intelligente Corgi Ein. Personaggi che evolvono e che ci vengono raccontati piano, ma con grande coerenza e approfondimento, tanto da risultare speciali e iconici.
Questo avviene perché Cowboy Bebop è un prodotto che ci parla della vita a tutto tondo, catapultandoci in storie dalle forti tinte malinconiche e in profonde riflessioni esistenzialiste che colpiscono i più radicati pensieri e i più profondi recessi della nostra mente.
Seguendo le missioni dei protagonisti e scoprendo progressivamente la loro interiorità e il loro vissuto, il pubblico non fa altro che viaggiare tra le contraddizioni e le ipocrisie dell’umanità tutta. Così lo spazio, che a differenza di molte altre serie, mantiene caratteristiche molto più terra terra e simili in quanto a estetica al nostro mondo, diventa solo un pretesto, uno spunto di partenza per parlare delle più profonde emozioni e pulsioni umane, come la ricerca dell’altro e il rifiuto della solitudine, il sentimento di vendetta e la continua e implacabile insoddisfazione che caratterizza le nostre esistenze così come quella dei protagonisti, in continua ricerca dell’ennesima taglia da riscuotere.
Tra episodi verticali che non risultano mai fini a se stessi, ma che esplorano le caratterizzazioni dei suoi personaggi, dai principali a quelli apparentemente meno centrali, e altri che invece sono funzionali a portare avanti la viscerale trama orizzontale, i 26 episodi che compongono la serie non annoiano mai, ma, anzi, riescono sempre a risultare memorabili non solo per i temi trattati, ma anche per la loro resa tecnica, grafica e musicale. Ogni puntata della serie presenta elementi che impreziosiscono la narrazione: dai meravigliosi dialoghi, resi perfettamente anche dal magistrale adattamento italiano della serie, alla resa estetica di luoghi, di ambientazioni, di scene statiche e di combattimenti fino ad arrivare alla musica che, forse ancor più dei suoi meravigliosi personaggi, costituisce la vera protagonista della serie.
A partire dall’iconica sigla, che risulta davvero impossibile voler saltare, la colonna sonora, scritta dalla talentuosissima compositrice Yōko Kanno, diviene elemento fondamentale e cardine di tutta la serie. La musica, accompagnata da un fenomenale montaggio che impreziosisce i momenti più importanti della serie, riesce infatti a incorniciare perfettamente qualsiasi tipo di scena, da quelle più adrenaliniche a quelle più introspettive e di dialogo in maniera mai scontata o casuale, variando spesso genere di riferimento, partendo spesso dal jazz, ma arrivando a sfociare nel soul, nel folk e nel rock.
Infinità dello spazio profondo, squallide periferie urbane, sale lussuose, vetrate colorate…
Grazie a un incredibile lavoro nel comparto artistico, che ha saputo ben caratterizzare non solo il character design dei protagonisti, dei veicoli e delle ambientazioni, se lo spettatore volesse provare a premere il tasto pausa durante una puntata di Cowboy Bebop , si ritroverebbe di fronte a delle piccole opere d’arte destinate a imprimersi nella sua mente. Un dato di per sé ancora più straordinario se si pensa che questo anime è del tutto originale e non può contare sulla base delle tavole di un manga, che anzi, venne creato proprio dopo il successo della serie. Le animazioni, tra le quali brillano sopra tutto quelle ambientate nello spazio, e gli sfondi realizzati dallo studio Sunrise, infatti, sono curati fino al minimo dettaglio e riescono a imprimersi in maniera immediata e indelebile nelle nostre menti. Detto questo, non riusciamo davvero a dirci sorpresi in merito al fiasco del remake in live action della serie (cancellato solo dopo una stagione), che vuole riproporre un cartone troppo amato da pubblico e critica per poter offrire ulteriori spunti interessanti e di difficile resa su schermo.
In definitiva, se volete lasciarvi catturare da una storia profonda e filosofica ma che sappia anche farvi sgranare gli occhi dalla meraviglia di fronte alla poetica bellezza delle sue immagini, Cowboy Bebop è decisamente quello che fa per voi.